Lunedi, 18/06/2012 - Nel Lazio ha posto obiezione di coscienza il 91,3% dei ginecologi e ginecologhe ospedalieri e le donne che decidono di fare interruzione volontaria di gravidanza trovano le porte sbarrate in 10 delle 31 strutture pubbliche o convenzionate, che quindi disattendono quanto previsto espressamente dalla legge 194. Inoltre in 3 province su 5 (Frosinone, Rieti, Viterbo) non è possibile eseguire aborti terapeutici. Questa è l’istantanea scattata da LAIGA (Libera Associazione Italiana dei Ginecologi per l’Applicazione della legge 194), che ha monitorato nel Lazio lo stato reale di attuazione della norma che regola l’interruzione volontaria di gravidanza (IVG). Quella del Lazio è una situazione emblematica circa la drammaticità della situazione che riguarda in realtà gran parte delle Regioni italiane, a differenza di quanto è riportato nelle relazioni che annualmente sono presentate in Parlamento dal Ministro della Salute. “Questi dati sono il risultato di un faticoso lavoro di rilevazione che testimoniano lo scollamento esistente tra i dati ufficiali e la realtà negli Ospedali che le donne vivono sulla loro pelle”. Anna Pompili, illustrando i risultati della ricerca, ne ha spiegato gli effetti. “Questa situazione determina una dilatazione dei tempi di attesa che impone alle donne di migrare, spostandosi o in altre regioni oppure a Roma se vivono nelle province che non hanno presidi dedicati. Non è più tollerabile che in questa regione vi siano grandi strutture pubbliche di Roma come il Policlinico di Tor Vergata o l’Ospedale S. Andrea in cui non è previsto il servizio di IVG e dove non è rispettata la legge”. A questa denuncia, puntuale e chiarissima, Cristina Damiani aggiunge un’altra allarmante considerazione. “Tra qualche anno molte/i di noi andranno in pensione, a quel punto non ci saranno più medici disponibili e non ci saranno più neppure medici preparati e capaci di fare IVG con le nuove tecniche semplicemente perché non hanno seguito percorsi di formazione e aggiornamento. Oggi noi mandiamo avanti i servizi addirittura cercandoci da sole le sostituzioni per andare in ferie. Di fronte al fatto che la legge non è applicata vediamo che la regione e le direzioni sanitarie se ne lavano le mani e che neppure la politica presta la necessaria attenzione”. A sollevare la questione dell’impiego della RU486 è Giovanna Scassellati. “Le donne ne chiedono l’impiego sempre più spesso anche se i medici continuano a sconsigliarla. È incredibile, visto che si evita un intervento chirurgico. Senza considerare, poi, che all’estero è utilizzata da anni con ottimi esiti e in Day Hospital. Invece da noi è obbligatorio il ricovero, che però le donne non accettano e infatti firmano per essere dimesse, anche se puntualmente vengono poi a fare i controlli richiesti”. L’iniziativa di LAIGA si inserisce utilmente in una fase in cui la legge 194, e in generale la questione dell’autodeterminazione e il diritto alla piena salute riproduttiva delle donne, subisce attacchi su più fronti, uno dei quali è l’uso strumentale dell’obiezione di coscienza. Non a caso in Parlamento sono state presentate mozioni “bipartisan” che considerano “prevalente e non bilanciabile” il diritto all’obiezione di coscienza del medico. LAIGA ha deciso di passare all’attacco per tutelare sia le donne che decidono di interrompere una gravidanza indesiderata sia gli operatori che le assistono in questa scelta, come ha sottolineato Mirella Parachini: “Il fatto che nel Lazio un terzo delle strutture pubbliche non permetta l’IVG e che in 3 province su 5 non si possa fare l’aborto terapeutico è gravissimo sia per la salute delle donne e per il diritto di scelta che si sono conquistate, sia per noi medici che lavoriamo sotto una pressione pesante da sostenere anche per i ritmi di lavoro”. La questione per LAIGA è aperta e le prossime azioni, ha dichiarato la Presidente Silvana Agatone, “potranno essere avviate anche sul piano legale nei confronti delle direzioni sanitarie delle strutture inadempienti”. Accanto a questo, nell’immediato, è stato richiesto un incontro con i responsabili della Regione Lazio affinché “siano assicurati tempi di attesa più brevi, anche applicando l’aborto medico in considerazione dell’emergenza estate che vedrà molti degli ospedali che attualmente forniscono il servizio ridurre la propria attività”, mentre in prospettiva per risolvere il problema la chiamata in causa è per l’Università e le Regioni, che devono “impegnarsi per la formazione dei giovani ginecologi e per l’aggiornamento di tutto il personale sanitario”. LAIGA non mancherà di dare un contributo fattivo in tal senso, ha precisato la Presidente.
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ESITI DEL MONITORAGGIO DI LAIGA: LAZIO, APPLICAZIONE DELLA L.194
1. Nel Lazio in 10 strutture pubbliche su 31 (esclusi gli ospedali religiosi e le cliniche accreditate) non si eseguono interruzioni di gravidanza. Tra queste, 2 sono strutture universitarie (il Policlinico di Tor Vergata e l’Azienda Ospedaliera S. Andrea), che dunque disattendono anche il compito della formazione dei nuovi ginecologi, sancito dall’art.15 della legge 194.
2. Nel Lazio ha posto obiezione di coscienza il 91,3% dei ginecologi ospedalieri. Se per gli aborti del I trimestre si può fare in parte fronte alla situazione ricorrendo a medici convenzionati esterni o a medici gettonati, così non è per gli aborti terapeutici, sui quali quel 91,3% pesa come piombo. Con il ricorso a medici convenzionati esterni e medici “a gettone” l’obiezione scende all’84%, dato comunque più grave dell’80,2% riferito dal ministro, che non considera nella sua relazione il fatto che una parte dei non obiettori in realtà non esegue IVG.
3. In 3 Province su 5 (Frosinone, Rieti, Viterbo) non è possibile eseguire aborti terapeutici, che costringe le donne alla triste migrazione verso i pochi centri della capitale, sempre più congestionati, o all’estero. Gli stessi centri romani che assorbono anche la gran parte delle IVG entro il 90° giorno provenienti dal resto della Regione.
4. La drammaticità della situazione va considerata anche in rapporto al dato dell’età media dei medici non obiettori, molti dei quali sono alla soglia della pensione e non verranno rimpiazzati da nuovi ginecologi, per la totale assenza di formazione professionale, sia sul piano pratico che scientifico.
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ARTICOLO 9 della LEGGE 194/1978
Può essere utile ricordare quanto previsto dalla legge 194 all’articolo 9, nei passaggi successivi alla possibilità per il personale sanitario di sollevare l’obiezione di coscienza: “…Gli enti ospedalieri e le case di cura autorizzate sono tenuti in ogni caso ad assicurare l’espletamento delle procedure previste dall’articolo 7 e l’effettuazione degli interventi di interruzione della gravidanza richiesti secondo le modalità previste dagli articoli 5,7, e 8. La regione ne controlla e garantisce l’attuazione anche attraverso la mobilità del personale”.
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