Ogni scelta umana, in ambito sociale, politico economico ha un effetto, nel medio o nel lungo tempo, sull’ecosistema in cui siamo immersi e con cui siamo in perpetuo dialogo...
Domenica, 13/06/2021 - Il termine “ecologia” fu coniato nel 1866 dallo scienziato tedesco Ernst Haeckel, il quale intendeva così designare tutto l’insieme delle relazioni tra le varie specie, animali e non. Come sappiamo, “ecologia” altro non è se non l’unione delle parole greche οἶκος e λόγος per indicare un “discorso sull’ambiente” come se quest’ultimo fosse la nostra casa. Da allora, questa analogia ha costituito una costante tanto nello sviluppo della disciplina quanto nel nostro modo di percepirla.
La pandemia, con i conseguenti stati più o meno rigidi di confinamento, ci ha costretto a trascorrere all’interno delle nostre case un tempo infinitamente maggiore non solo se comparato alle nostre abitudini ma anche rispetto alle aspettative che avevamo circa le porzioni temporali di vita quotidiana da trascorrere tra le mura domestiche. Questo improvviso cambiamento ha creato diversi problemi, giacché ha fatto sì che criticità normalmente tollerabili, soprattutto se soppesate insieme con aspetti come la collocazione dell’abitazione nella planimetria cittadina, attualizzassero altresì il loro potenziale dannoso.
Nella speranza che quella appena vissuta sia soltanto una drammatica parentesi, abbiamo pensato comunque che la pandemia potesse costituire un’occasione per ripensare filosoficamente la casa e il nostro rapporto con essa, sia per mostrarci recettivi rispetto a un’urgenza che mai avremmo immaginato di dover riconoscere tale, sia per capire come non farci trovare impreparati – facendo i dovuti scongiuri – nel caso in cui dovessimo trovarci ad affrontare un momento analogo. Per questa ragione, abbiamo ritenuto di proporre un ribaltamento dell’analogia che fonda la parola “ecologia”, suggerendo un “ritorno a casa” di quest’ultima. Un ritorno a casa da intendersi tanto in senso etimologico, ossia intendendo letteralmente οἶκος, quanto dal punto di vista strettamente contenutistico, cercando di riflettere sulla casa come se fosse il mondo. Il tutto, senza perdere di vista il rapporto tra questa ecologia “domestica” e l’ecologia classica.
É sempre più evidente, ormai, che l’uomo è parte integrante della natura e che riconosce in questa una casa a cui appartiene e su cui esercita un’influenza notevole. “Ad ogni azione corrisponde una reazione”. Ogni scelta umana, in ambito sociale, politico economico ha un effetto, nel medio o nel lungo tempo, sull’ecosistema in cui siamo immersi e con cui siamo in perpetuo dialogo. Emanuele Coccia, in La vita delle piante. Metafisica della mescolanza, riconosce agli esseri viventi questo status immersivo della vita, che lo porta a riconoscersi come parte del contesto in cui vive. Non a caso proprio l’ambiente domestico viene descritto come: qualcosa di intimo, una porzione di mondo che ha una relazione particolare con il nostro corpo, una sorta di estensione mondana e materiale del nostro corpo.
La pandemia globale dovuta al Sars-coV-2 ci ha ulteriormente costretti ad immergerci nelle nostre mura domestiche ovattando il resto, come, appunto, se si vivesse sotto acqua, o meglio, in una boccia di vetro. Abbiamo quasi dimenticato tutto il mondo al di fuori delle nostre mura. Eppure, anche quello è parte della nostra casa. Come ha affermato il Papa nell’udienza generale del 16 settembre 2020, non possiamo pretendere di continuare a crescere a livello materiale, senza prenderci cura della casa comune che ci accoglie. Di recente, è stato coniato il termine Antropausa, per indicare questo improvviso blocco dell’attività umana massiva all’interno dell’ecosistema. Siamo consapevoli, nel bene e nel male, che l’uomo è stato in grado di modificare radicalmente l’aspetto e l’andamento globale da un punto di vista prettamente naturale. I paesaggi cambiano, crisi climatiche, aumento del livello delle acque e animali in via d’estinzione.
Se il lockdown ha in qualche modo reso visibile che la natura è disposta a riprendersi i suoi spazi, come ci dimostrano i tanto documentati interventi della fauna selvatica nelle nostre strade in video e foto, mostrando la profonda resilienza che è propria del grande organismo terrestre, è vero tuttavia anche che si palesano diverse importanti criticità per l’ambiente. L’aumento di specie invasive o del bracconaggio, infatti, sono aspetti che sono tornati a svilupparsi nuovamente, nel momento in cui le attività umane di tutela in ambito naturali si sono fermate.
L’uomo è ormai legato a doppio filo con la natura. Infatti, se da un lato egli è frutto e parte di questo organismo, dall’altro è proprio da lui che dipendono quegli spazi non antropizzati che vanno tutelati in quanto parte della casa comune. La pandemia globale ci ha mostrato che la natura è vita, ma anche che ha bisogno di aiuto per riprendersi i suoi spazi o, in molti casi, anche solo per preservarli.
Tra le modifiche naturali ed impercettibili cui siamo stati costretti da questa pandemia, sicuramente le relazioni giocano un ruolo fondamentale, rientrando tra quel tipo di abitudini normalmente date per scontate che, durante il lockdown, hanno subito delle mutazioni radicali. Al di là dell’effetto sul breve periodo, durante la quarantena sono stati condotti diversi studi miranti ad analizzare il cambiamento delle relazioni durante periodi di diversa restrizione. È emersa una tendenza generale definita relationship funnelling: si tratterebbe di un vero e proprio incanalamento delle relazioni che mostra una propensione naturale a preferire le amicizie fisicamente vicine (vecchie o nuove che siano) a quelle più lontane e marginali. Studiare questi cambiamenti ci permette di capire quale tipo di legame dovremmo cercare di priorizzare in questi tempi di crisi, perché, se l’effetto positivo delle videochiamate tra amici e parenti è chiaro a tutti, capire anche la giusta importanza della fisicità nelle relazioni può aiutarci, ad esempio, a porre una maggiore attenzione verso quelle persone che - per vari motivi - sono costrette a venire meno a questo tipo di socialità: chi è impossibilitato a spostarsi da casa, chi ha troppa paura di farlo, chi banalmente preferisce non farlo. La socialità ha un’importanza incredibile nelle nostre vite, altrimenti tendenti a pensieri cospirazionisti e negativi, e ora che ci avviciniamo lentamente verso un ritorno alla “normalità” l’esperienza della pandemia ci invita, per necessità, a compiere con fatica una riorganizzazione ed una nuova attribuzione di senso allo “stare con” l’altro; uno “stare vicino” che può non avere come condizione necessaria il contatto o la vicinanza fisica. Durante il periodo di lockdown la maggior parte di noi ha riorganizzato la sua vita dentro le poche mura domestiche: la nostra casa non è mai stata, forse, così tanto inizio e fine di tutto l’universo relazionale. Ogni ambiente ha visto amplificare il suo ruolo e la sua funzione all’interno dell’ecosistema domestico, divenendo in modo più leggibile di quanto non fosse, una via per rappresentare specifici momenti delle nostre relazioni affettive.
Nella psicoterapia si parla di set e setting della terapia. Si disquisisce su quanto “un divano possa non essere solo un divano”. Su quanto un ambiente caldo e confortevole possa aiutare a costruire una relazione – terapeutica. Su quanto, quindi, nel momento in cui padroneggiamo e siamo consapevoli dei messaggi, dei significati, del valore affettivo che vogliamo comunicare all’interno della relazione con l’altro, possiamo avvalerci dell’ausilio dei nostri spazi, gli oggetti e dell’ambiente, trasformandoli in prolungamenti carichi di significato.
Flavia Antico, Cecilia Paglia, Luigi Maria Romano, Carmine Taddeo
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