Martedi, 16/11/2021 - Quante sono le persone che ci abitano? Quante le anime che dobbiamo tenere a bada quando diciamo “io”? Piuttosto arduo mantenere l’equilibrio cercando di avere un rapporto cordiale con ogni nostro strato.
Fernando Pessoa scrisse che “la letteratura, come tutta l’arte, è la confessione che la vita non basta.” È questo il pensiero che mi ha saltellato intorno mentre leggevo l’autobiografia di Drusilla Foer, “Tu non conosci la vergogna”, edita da Mondadori. Un libro che va ben oltre la crasi tra persona e personaggio. È una storia di vita appassionata e appassionante, e questo è quanto.
È stato delizioso leggerne le pagine avendo la netta sensazione di sentire la sua voce, quel modo di narrare tra l’elegante e il birichino, tra il profondo e il frivolo. Un viaggio attraverso il suo, tra Siena Cuba e New York, carezzando uno a uno i magnifici personaggi che si avvicendano, genitori, domestici, tende dietro cui nascondersi e spiare il mondo dei grandi, quel mondo che le riserverà amori e dolori, intuizioni e follie, incontri e abbandoni.
È una continua sopresa, nel corso della narrazione non si sa in quale stanza Drusilla ci stia facendo accomodare, passando con leggiadria da quella dei sorrisi a quella dei lucciconi. Di certo, c’è un punto dove tutto ha avuto inizio, e quello è Siena: “La città dove si nasce è certamente un luogo fondamentale, la cui appartenenza è inopinabile. È una certezza, e come tale ci costituisce in modo persistente. Qualcosa di simile ai genitori, ai fratelli, ai nonni, alle maestre elementari. Non si scelgono, sono tuoi, che ti piaccia a o no. Penso ai rapporti genitoriali, che sono un punto di partenza per sviluppare una propria individualità, che raggiunge il suo massimo quando si diventa orfani. E allora non si è più figli. Si è in prima linea con la vita, senza quel senso di protezione, fisso e costante come il rumore dei vecchi frigoriferi. Sei certamente adulto da tempo, hai delle convinzioni salde e delle fragilità certe, ma fino a che l’ultimo dei tuoi genitori esala il suo ultimo respiro, sei ancora figlio. Non cambia niente dopo, eppure tutto è diverso. Manca il rumore del frigo”.
E poi c’è lei, la mitica nonna Gera, quella che compare “con la stessa discreta modestia con cui Cleopatra fece il suo ingresso a Roma”, l’affascinante nonna aristocratica cui i nipoti si rivolgono con un ossequioso “signora nonna”. Quella austera insomma, che intimidisce per la grondante intelligenza e la palese appartenenza a un’altra dimensione. La donna che, dopo essersi rivolta alla Madonna, la minaccia di non farsi più vedere se la sua preghiera non verrà esaudita. È a lei che dobbiamo il titolo di questo libro. Tutto accadde una volta in cui la ventenne Drusilla l’accompagnò, ormai anziana, alla messa. “Indossava un abito da giorno scuro, bellissimo, con uno scollo profondo: un’ostinata richiesta di attenzione. Un pretino all’ingresso, pensando di essere simpatico, le disse: ‘Nonnina, si copra le nudità’. Vidi per la prima volta i suoi occhi perdere lo sguardo solido, e questo mi spiazzò. Sentii di doverla proteggere da quella richiesta, forse legittima ma talmente mal formulata da diventare illegittima. ‘Non mi pare che il «padrone di casa abbia problemi con la nudità» dissi, indicando Cristo nudo sulla croce. In quel momento accadde qualcosa che non era mai successa prima: la nonna Gera mi toccò. Appoggiò la sua bellissima mano sulla mia spalla, si coprì la scollatura con un foulard e camminando nel silenzio della navata, mi bisbigliò: ‘Tu non conosci la vergogna, brava. Non devi mai vergognarti di te, mai’. Da allora ci riconoscemmo e, anche se per poco, divenimmo alleate”.
Drusilla Foer dissemina con estrema eleganza e delicata autoironia guizzi di sapienza, sparpagliati qui e là, con quell’aplomb che sa indossare egregiamente. Così, tra personaggi memorabili e avventure di ogni sorta, ti sussurra che “Sapere chi si è, è l’ultima vittoria per cui valga la pena premiarsi”, e ammonisce: “Mai vivere all’insaputa di se stessi”, o ancora, “si può far tutto, basta scegliere di starci dentro”. Sono messaggi in codice, piccoli specchi sussurranti in cui lei stessa di certo si è rimirata, vedensosi bellissima, quale è.
Alla fine del libro, l’autrice elenca una serie di nomi (senza cognomi) a cui rivolge la sua gratitudine. Al termine dell’elenco, avverte: “I doppioni non sono refusi, sono persone”. Anche questa è una frase a doppio fondo, e conferma che questo è un libro-valigia, tutto da scoprire.
Del resto, siamo di fronte a una brillante autrice, a una raffinata cantante, a un’artista dalla rara stoffa, da cui lasciarsi incantare scostando i tendaggi e gli abiti eleganti di cui è tanto esperta.
Una donna che trasuda fascino forse persino oltre le sue intenzioni. Una persona stravagante e dalla mente così sexy che pagheresti oro per prendere un tè con lei, e parlare di qualsiasi cosa, certi che sarà un’esperienza “eleganzissima”. Non per niente la casa editirce è dovuta correre ai ripariri di fronte alle copie esaurite in pochi giorni. Una ragione dovrà pur esserci a tutto questo successo.
Forse è anche per comprenderlo che sono stata alla presentazione romana del suo romanzo. La sala gremita, eravamo tutti letteralmente ammaliati da lei. Momenti esilaranti hanno ceduto il passo a passaggi di commozione, e mentre anch’io ero soggiogata dalla sua voce suadente, mi chiedevo quale fosse il sortilegio che incatenava i presenti, giovanissimi e adulti, donne e uomini, curiosi e cultori. Poi la presentazione è terminata, Madame Foer è uscita per una breve intervista e una fugace sigaretta e io l’ho seguita, senza un’intenzione precisa, volevo solo osservarla più da vicino, magari per un cenno di saluto. Va bene, lo ammetto: volevo ridimensionarla ai miei occhi: che sarà mai, mi dicevo, è un’artista che stimo, certo, ma voglio tirarla giù dal sacro altare su cui l’ho messa, dopotutto è un essere umano e non una dea. Ebbene, ho fallito: appena me la sono trovata a pochi metri, sarà la statura (in ogni senso), il portamento, quello sguardo azzurro cielo che ti si conficca dentro a prescindere da ciò che sta per dire, ho abdicato. La bocca mi si è seccata, le gambe bloccate, e sono rimasta in un angolo, come una cretina, ad osservarla scherzare con alcuni amici, a parlare con gli organizzatori. Poi, quando ha lanciato indietro la testa per richiamare all’ordine il suo ciuffo color ghiaccio, ho capito: è una strega, c’è della magia, e non voglio sapere quale sia.
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