Il romanzo di una scrittrice che rivela il mondo della Georgia e dei neri prima di Martin Luther King
Ambientato nella prima metà del Novecento, La terza vita di Grange Copeland racconta la violenza che lacera e si tramanda di padre in figlio, l’oppressione dell’odio razziale e interrazziale. Sono simili le fortune di Grange e di suo figlio Brownfield: non c'è molto di più del duro lavoro nei campi della Georgia meridionale con giornate senza inizio e senza fine, l’assoggettamento da parte dei bianchi, la rabbia repressa e lo sfogo violento sulla famiglia e sulle donne nere. Dopo anni di sudditanza, di misere condizioni, di debiti e una furia crescente nei confronti del mondo intorno, la fuga al Nord per Grange è l'unica possibilità. Oltre ci sarebbe solo una morte autoinflitta. Il Nord è il luogo del benessere della possibilità e della felicità. Oltre che il luogo del proprio riscatto. Solo una volta allontanatosi dalla famiglia, Grange avrà bisogno di ritornare nei luoghi ancestrali e violenti delle Sud. Solo una presa di coscienza dell'oppressione subita può portare e Grange a una metamorfosi che non purifica dalle colpe, ma genera una nuova consapevolezza e una nuova forza interiore, che permette all'uomo di resistere alla sottomissione.
Brownfield, il figlio di Grange, è destinato a compiere gli stessi passi del padre: è violento quando disperato, corrotto dalla miseria e dal sole della Georgia. Brownfield priva le sue figlie Daphne, Ornette e Ruth di una madre e le costringe a una vita di dolore, miseria e oppressione. Le donne nere non sembrano avere alcuna possibilità, se non quella di essere l'ultimo gradino della società. Sono ridotte al silenzio. E a subire tutto. Le donne possono essere uccise, possono essere picchiate o abusate: nessuno le difenderà. Con amarezza Alice Walker le rappresenta.
Come annuncia il suo romanzo d’esordio, l’intera produzione letteraria di Alice Walker si interrogherà sul ruolo della donna per delineare le deformazioni insite in contesti famigliari definiti nell’armonia di una disperazione che diventa metafora del contesto culturale e sociale. L’attenzione per i volti e i luoghi del Sud americano del primo Novecento rivela la condivisione del silenzio, simbolo di una cupa immobilità interiore. Quella di un padre che non è altro che «uno zero, qualcosa che si muoveva a scatti rigidi, se pure si muoveva»; una madre dal viso e dagli occhi di una «vacuità e una tristezza spassionate, come se dentro di lei si fosse spento un grande fuoco e quell’assenza fosse stata notata solo da poco», e quella di figli condannati a vivere l'infelicità e il disprezzo dei bianchi in cui sono nati e cresciuti.
L’intento di Walker evidenzia le contraddizioni insite in circostanze che narrano l’impossibilità di cambiamento, la violenza, le logiche dell’apparenza nella cornice di un’ipocrisia in cui gli «uomini ... tormentano i figli e il sabato notte picchiano le mogli».
La storia di Brownfield rivela il desiderio di distruggere una qualsiasi possibilità di miglioramento, come se la possibilità di un benessere non generato da lui – una casa migliore e un lavoro dignitoso grazie all’istruzione di sua moglie Mem – siano motivo di vergogna e siano perverse fantasie da reprimere con ferocia. Del resto Mem «accettava tutto, i fardelli del marito insieme ai propri e li affrontava grazie alla maggiore grandezza d’animo e alla superiorità culturale. Lui non le portava rancore per la grandezza d’animo ma la cultura non riusciva a perdonargliela. La rendeva simile, in fatto di potere, a quelli là, più di quanto lui sarebbe mai potuto essere». Il corpo di tutte le donne è, all'inizio, sinonimo di devozione fisica per poi diventare, dopo il matrimonio, luogo del disfacimento. Gli uomini adorano il corpo della donna per poi godere del suo annientamento. La giustificazione della violenza è fornita dalla constatazione che un corpo ormai deturpato e imbruttito non meriti altro che ulteriori angherie. In un mondo così la prima cosa a venir meno è la speranza che conduce le vittime a diventare carnefici, perpetuando la violenza subita per illudersi di affrancarsi da quella subita.
Dinamiche di oppressione sociale che si riverberano nella dimensione sessuale: Josie, ripudiata dal padre, è destinata a diventare una prostituta. La sua storia, annodata a quella di Grange e Brownfield, racconta la miseria del vivere: in modo diverso ognuno cerca qualcosa che somigli all’amore, replicando con gli altri le stesse violenze subite. Grange contaminato con il suo odio Brownfield, suo figlio, che abbandona; Mem, che distrugge con la violenza dalla violenza come fa con Daphne, Ornette e Ruth.
La vendetta è il vero sentimento che scorre dentro i personaggi de La terza vita di Grange Copeland. Una violenza che nasce dalle paure e sogni infranti, dai tiri crudeli della sorte.
Il romanzo ha il pregio, però, di descrivere i turbamenti e le contraddizioni di umani violenti, e al contempo di calarsi nella visione di vittime. Fino a quando non compare Ruth, Alice Walker rappresenta, la disperazione di un passato, il mito di un amore e di una terra non sovrapponibili al presente. “Io penso, io ricordo”, ripete la giovane Ruth.
Nell’inesorabilità di una condanna comune, è lei a rappresentare la possibilità, che illumina lo sguardo stanco dell’anziano Grange, di farsi un’idea propria sulle questioni razziali. Si interroga costantemente sulle verità imposte sperimentando la disparità di istruzione e le pesanti discriminazioni. A lui è dato di intravedere l’urgenza di un riscatto, la forza del cambiamento. Sullo sfondo si sente che il mondo sta cambiando, perché in quella stessa terra cotta dal sole della Georgia, inizia a farsi sentire la voce di Martin Luther King e l’avanzamento dei movimenti per i diritti civili degli afroamericani.
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