Mercoledi, 01/11/2023 - La storia che vi presento dalle colonne di questo storico giornale mi ha tenuta occupata per mesi. Da quando, seduta al tavolo di un ristorante, ho intercettato una conversazione tra la sindaca di Celle di San Vito (FG) con la console generale di Francia in Italia, Lise Moutoumalaya, venuta nel piccolo paese della Puglia per inaugurare la statua di Carlo I d’Angiò, fondatore del paese, mi si è accesa la voglia di conoscere questa storia dimenticata.
È stato nel luglio di quest’anno. Le mie ricerche sono partite subito, non appena ho conosciuto il nome della “principessa” che è sepolta a Celle: Adelaide Modena.
Non avrei mai immaginato che, scavando in questa storia personale e familiare, mi si sarebbe aperto un mondo ancora oggi sconosciuto e del quale non si parla mai sui libri di scuola: quello degli internati della Prima Guerra Mondiale.
Tutti i Paesi belligeranti, allo scoppio del conflitto, si servirono di una legislazione speciale di guerra in virtù della quale espulsero o internarono tutti i cittadini degli Stati nemici.
Si trattò di un periodo oscuro della storia europea, che costituì il precedente preferito del regime fascista, il quale si limitò solo a perfezionarne gli strumenti repressivi adottati.
Su questo periodo della storia per niente conosciuto nelle scuole, esiste nel Friuli una letteratura vecchia di almeno quarant’anni e, da vent’anni, il lavoro che sta portando avanti l’Università Ca’ Foscari di Venezia attraverso la rivista DEP-Deportate Esuli Profughe, www.unive.it/pag/31776/, unica nel suo genere. Unica, perché rivolge uno sguardo particolare alle storie delle donne vittime di deportazione.
Gli internati della Prima Guerra Mondiale sono stati migliaia, forse settantamila, se non molti di più, tutti vittime della legislazione speciale di cui si è detto. Dopo che nel 1915 l’Italia ruppe il patto con la Triplice Alleanza ed entrò in guerra con l’Austria, iniziarono i rastrellamenti di persone sospettate di avere simpatie per questo Paese. Civili di ogni ceto e di ogni condizione sociale (massaie, cameriere, aristocratici e nobildonne, sacerdoti, bambini) furono spediti da zone come il Trentino ed il Friuli verso lontane destinazioni a Sud della penisola ed anche in Sardegna.
Adelaide Modena era una contessa. Apparteneva ad una antica famiglia che deteneva vasti possedimenti nella bassa friulana, a Scodovacca, ed il cui patrimonio diventerà sempre più esiguo nel corso tempo per via di carestie, debiti contratti durante il regime napoleonico, allontanamento dai terreni durante la guerra e, non da ultimo, per questioni ereditarie. Lei ed il suo figliastro Augusto (che, in effetti, alla nascita fu registrato come Agostino) furono mandati prima in Toscana, tra Firenze e Lucca, poi in Puglia: Augusto a Lucera, dove pare vendesse biciclette, e Adelaide in un paesino poco distante, Celle di San Vito, il più piccolo centro della Puglia. Fu forse internata in una delle cellette dove anticamente abitavano i monaci e dove Carlo d’Angiò, nel Milleduecento, fece installare alcune decine di famiglie che si era portato dietro dalla Provenza, durante le lotte nelle quali sconfisse Federico II di Svevia. Dall’atto di morte di Adelaide si ricava il suo domicilio ed è proprio lì dove un tempo stavano i monaci. Vi passò tutto l’inverno del 1915 ed a marzo dell’anno successivo vi morì, a soli 54 anni.
Nel cimitero del piccolo paese si trova ancora oggi la storica tomba che il figlio Augusto (che il marito di Adelaide, Carlo Augusto, aveva avuto da una precedente relazione) pose per accogliere il riposo eterno di questa donna, su cui finora mai nessuno aveva indagato.
Fino alla fine del Novecento le cellette dei monaci erano ancora lì e nel castello ne esistono ancora due. Imponenti lavori di ristrutturazione hanno modificato tutta l’antica struttura e, semmai Adelaide ha scritto qualcosa, non ne è rimasta traccia. L’inverno è rigido da quelle parti e si può solo immaginare lo strazio e la desolazione patiti da una donna completamente sola, in un paese straniero con poche anime ed esposta in una zona estremamente ventilata anche d’estate, dove l’inverno è feroce. Si possono fare solo congetture sulla sua prematura scomparsa: tisi? Arresto cardiaco? Non lo sapremo mai. Sappiamo solo, dalla testimonianza di una sua diretta discendente, che fu prelevata da casa sua con la sola camicia da notte addosso e caricata su un mezzo che doveva portarla là dove la morte la attendeva. Così come tanti altri. «Non era nemmeno necessario che sussistessero motivi specifici di sospetto: bastava che le persone fossero ritenute “capaci” di esercitare lo spionaggio, o dimostrassero non solo diffidenza, ma anche semplicemente indifferenza verso il nuovo Stato». (Giovanna Procacci, L’internamento di civili in Italia durante la prima guerra mondiale, DEP n.5-6 / 2006, pag. 39).
Ma perché Adelaide fu internata? Nei documenti che la riguardano, è scritto che ella è sospettata di “austriacantismo”, in quanto moglie di un alto e pluridecorato ufficiale dell’Impero asburgico. Il marito si chiamava Carlo Augusto Modena e tra i due, oltre a 28 anni di differenza, c’era parentela (infatti il matrimonio fu celebrato con dispensa papale).
«Quando, nel 1919, fu permesso a Augusto Modena il rimpatrio, questi si impegnò a fondo per il miglioramento (coltura dei fondi in questione, indebitandosi per un’ingente somma di denaro). Due consecutive cattive annate misero però in ginocchio la famiglia, provocandone il declino e la rovina. Il conflitto rappresentò quindi una delle principali cause della decadenza della famiglia Modena, alla quale tra l’altro erano stati sottratti già nei primi giorni di guerra la maggior parte degli averi in termini di mobilio, documenti e bestie da lavoro» (dal libro di Sara e Giorgio Milocco, Fratelli d’Italia. Gli internamenti degli italiani nelle “terre liberate” durante la grande guerra (2002)).
La storia dolorosa di Adelaide suscita un sentimento di pietà e di umana compassione per quanto toccato a lei ed a moltissime altre persone, colpevoli solo di essere nate in una zona dove il conflitto era particolarmente violento e pieno di risentimenti e rivalità nazionalistiche. Proprio per questo la sua triste vicenda, così come quella dei tanti profugati dimenticati dalla storia come lei lo è stata, è oggi così attuale. Il “sostegno incondizionato” a questa o quella nazione, che si parli del conflitto tra Russia e Ucraina o tra Israele e Palestina, è quanto mai problematico ed anche pericoloso, perché ci fa perdere lucidità e genera feroci contrapposizioni, alimentando la guerra e non la pace. Niente giustifica la morte di una madre o di un bambino innocente, a qualunque parte essi appartengano: italiani e austriaci un tempo, russi o ucraini, ebrei o palestinesi oggi. Non c’è etichetta o linguaggio d’odio che tenga. Sono madri e figli. Proprio come nella storia di Adelaide e di suo figlio.
Se volete conoscere tutta la storia di Adelaide Modena cliccate qui: https://lepartageculturel.wordpress.com/2023/10/10/la-storia-sconosciuta-di-adelaide-modena-profuga-di-guerra-dal-friuli-alla-puglia/#ace20051-3271-4a46-b8b6-4bf256ae9d65-link
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