La biografia firmata da Flavia Amabile edita da Einaudi racconta la vita di "Elvira", artista talentuosa e libera, quindi sgradita alla censura fascista
Fu una rivoluzionaria inconsapevole di esserlo, Elvira Coda Notari, donna dotata di un’intelligenza del cuore e dell’intuito che fu un nome importante nella storia del cinema italiano agli albori. Ma non rifulse come attrice di punta del cinema muto, bensì nel ruolo inedito di regista e produttrice e fu persino, nelle sue immagini, anticipatrice del neorealismo.
Ne approfondisce la personalità e le vicende esistenziali Flavia Amabile, giornalista de’ La Stampa e scrittrice che, come Elvira, ha radici familiari a Cava dei Tirreni, enclave pre-Costiera, luogo che, con gli scorci bucolici del suo circondario, ispirò i pittori dell’età del vedutismo ottocentesco, specie gli aderenti alla scuola di Posillipo come Pitloo, Giacinto Gigante, Smargiassi, Duclére, Achille Vianelli, i fratelli Carelli e i fratelli Palizzi, in particolare Filippo.
Il libro “Elvira”, edito da Einaudi, arrivato in libreria lo scorso 17 maggio, ha il pregio di raccontare in maniera credibile, ricostruendo dai pochi elementi certi che è possibile reperire negli archivi e nelle cineteche, la storia di questa donna battagliera e con un’inconfessata sofferenza spirituale che ha subito, nei decenni, un’ingiusta damnatio memoriae.
Troppo avanti per quegli inizi del Novecento sul guado della Guerra di Libia e della Prima Guerra mondiale, troppo determinata ad affermarsi per la sua personalità così inconsueta a quei tempi, troppo ‘visionaria’ e audace.
Un “combinato disposto” ha congiurato affinché la sua vita non fosse tramandata con lo spessore che meritava, se non superficialmente, nella storia del cinema, in quella di Napoli e nella storia tout court: innanzitutto, era una donna del fare e affrontava il destino a viso aperto, sapendo trasformare eventi avversi in nuove opportunità (chissà se non possiamo ascriverle l’utilizzo del cosiddetto “pensiero laterale”); in più, fu messa di fronte a una scelta esulcerante, che la segnò nella sua vita di madre, di moglie, di donna. Quale fu, rimarrà impressa a chi ne legge la biografia che Flavia Amabile ha saputo disegnare con la complessa delicatezza di una lettura al femminile di tale figura così emblematica, ma non voglio spoilerare questo particolare così essenziale.
Infine, ci si mise l’avvento del regime fascista a tarparle le ali: Elvira raccontava la realtà del popolo, in particolare, delle donne dei vicoli di Napoli, dei ragazzini dotati di un talento naturale nel teatro della vita e questo smentiva lo storytelling edulcorato che Mussolini e i suoi accoliti promuovevano per inseguire le fanfaluche della grandezza dell’Italia e di un Impero di cartapesta.
I film di Elvira furono falcidiati della miope, bieca censura, che la tacciò sottilmente di eresia e le svuotò le pellicole, con assurdi tagli e correzioni: non bastò che i film da lei diretti e prodotti fossero dei bestseller negli Stati Uniti, idolatrati dagli italoamericani, di successo anche in patria.
Quando Elvira gettò la spugna e si chiuse in esilio in un villaggio di Cava dei Tirreni, nel 1930, Mussolini era ancora in una certa amitié con la talentuosa critica Margherita Sarfatti e dunque, almeno apparentemente, in grado di apprezzare i talenti intellettuali di donne di spessore.
Alla Corte dei Miracoli del Duce, però, Elvira Coda Notari non andava giù, così sopra le righe rispetto agli ideali maschilisti che propugnavano i gerarchi e, soprattutto, così espliciti nel denunciare, con copioni veritieri, le violenze domestiche e quelli che noi oggi chiameremmo femminicidi.
La cornice familiare che circondò Elvira trasse beneficio, anche economico, dal suo talento professionale e organizzativo: il ramo maschile, il marito Nicola, il figlio Edoardo, il padre Diego subirono la fascinazione della sua volitività, della sua ostinazione e la assecondarono; la figlia Dora sviluppò uno scontro di personalità tale da deteriorare i loro rapporti. C’è fra le due una situazione che Dora non capisce e non perdona, soffocando il loro dialogo e aumentando così il basto di rimorsi sulla coscienza di Elvira.
La madre, volitiva, coerente nelle sue scelte fu consequenziale tutta la vita. È una virtù, questa, che per lei diventò un boomerang quando si trovò davanti al baratro. Gettò la spugna, semplicemente, rientrando dietro le quinte, dopo aver lottato 28 anni per affermarsi per quello che era: Elvira Coda in Notari, una donna.
La prima donna regista italiana, quasi 60 anni prima di quella che finora, nell’opinione pubblica, è stata ritenuta tale, Arcangela (Lina) Felice Assunta Wertmüller von Elgg Spanol von Braueich, che, nata due anni prima che la Coda Notari si ritirasse a vita privata, seppe, seppure in situazioni storiche, sociali e culturali diverse, raccoglierne il testimone. Anche lei fu attenta alle situazioni sociali dei suoi tempi e di qualche femminicidio, sia pure con l’ironia che la contraddistingueva, raccontò.
Leggendo il libro di Flavia Amabile, sentiamo riflessa Elvira in tutte noi, per le scelte difficili che, in ogni tempo, ci troviamo a fare e per quel maschilismo che, strisciante, è ancora un bieco burattinaio dei giorni nostri. E noi non ci isoleremo: combatteremo per noi e anche per lei.
Annamaria Barbato Ricci
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