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La mattina dopo di Mario Calabresi

La mattina dopo di Mario Calabresi

Cosa accade la mattina dopo un evento forte, che sia bello o doloroso? Da dove si attinge la forza per ricominciare? Come ci si rialza il giorno dopo un lutto, una perdita, uno stravolgimento?

Martedi, 17/12/2019 - Mario Calabresi, La mattina dopo, Mondadori 2019
Com’è stata la vostra mattina dopo? Sì, quella dopo il grande giorno, dopo il matrimonio, dopo la laurea, dopo il parto, dopo l’operazione, o dopo il lutto, dopo. Dopo che l’onda violenta si è schiantata a riva e tu rimani a guardare i pezzetti di conchiglie accerchiati dalla schiuma sul bagnasciuga. E sai che quelle conchiglie sono pezzetti di te, da raccogliere e ricomporre, con coraggio e pazienza.
L’idea su cui si articola il nuovo lavoro di Mario Calabresi è davvero brillante: di solito le storie, i romanzi, i film, nascono allo scopo di raccontare un preciso momento, preparano il lettore o lo spettatore a seguire gli eventi che portano a un fatto preciso, dopo il quale cala il sipario. Quello che qui invece si indaga è il dopo, quando i riflettori sono puntati altrove, perché non è più interessante, e si cercano nuovi scenari. Quante volte la cronaca va a cercare i protagonisti delle storie raccontate, ma molto più in là degli eventi che hanno scosso, commosso, indignato? Ai nostri giorni, poi, il consumismo dell’informazione divora le vicende e i loro personaggi. Invece qui l’autore ci invita a fermarci, come ormai accade di rado, e a sbirciare oltre la parola “fine”.
“Mi ha sempre fatto sorridere il successo di libri e programmi televisivi sull’arte terapeutica del riordino” afferma l’autore, eppure questo suo lavoro è un perfetto esempio di riordino. Il suo giorno prima è il licenziamento improvviso da direttore de “La Repubblica”, che stravolge il suo senso di tempo e di spazio, disorientandolo: “Continuo a fare lo stesso sogno, ogni notte. Arrivo alla riunione del mattino al giornale, sono tutti già attorno al tavolo, mi siedo e inizio a proporre idee per la giornata, segnalo un titolo che non funziona sul sito e chiedo spiegazioni sul perché non sia stato fatto un pezzo. Nessuno risponde, tutti stanno in silenzio, finché qualcuno mi fa un cenno e scuote la testa. Solo allora mi rendo conto che con la riunione io non c’entro più nulla e mi alzo. A quel punto mi sveglio e mi arrabbio con il mio inconscio che continua a tornare là”. Questa rabbia lo aiuterà a reagire, mandare giù le chiamate e le mail che si riducono drasticamente, la folla intorno che a un tratto si dirada, e a prendere in mano una delle tante liste di cose da fare, esaminarne le priorità e mettersi al lavoro. Infatti, a parte alcuni episodi con persone estranee, è dentro di sé che Calabresi decide di fare ordine, nella sua storia, andando a vedere quella persona, facendo ricerche su quell’evento, chiudendo quei cerchi che nella vita rischiano di rimanere aperti per troppo tempo, trasformandosi in voragini. E così sfilano tra le altre le storie dell’amico, della nonna, della madre, vicende a cui mancava quella parola, quella chiusa, quel gesto, per poterle lasciare andare. E affrancarsene.
“Sono anni che mi interrogo sul giorno dopo, tutti sappiamo di cosa si tratta, di quel risveglio che per un istante è normale ma subito dopo viene aggredito dal dolore. La prima volta di solito è per la fine di un amore, ai tempi della scuola, poi la vita ne ha in serbo tanti altri, per alcuni troppi. La morte di un genitore, di un amico, di un compagno, di un figlio, la perdita del lavoro, un tragico errore (…).”
Si tratta di un percorso, come indicato dalla splendida epigrafe di Antonio Machado: camminante, non esiste il cammino, il cammino si fa andando. E passo dopo passo, Calabresi comprende che non si deve “guardare al passato con rabbia. Non si può cambiare ciò che è successo, bisogna farci pace. E prima lo si fa meglio è”. Dal precipizio in cui si è ritrovato, decide di saltare nelle vite delle persone, nei misteri della loro forza di vivere anche quando questa sembra impensabile, nella caparbia ostinazione a esistere anche dopo l’orrore, la paura, la perdita. E farsene contagiare, vedendo ad esempio con altri occhi le tenaci e rassicuranti abitudini di quando lavorava al giornale: “Se guardo indietro e scorro il calendario mi sembra un imbuto capovolto. All’inizio le giornate erano soffocanti, mi tenevo stretto per non perdermi, poi piano piano lo sguardo ha cominciato ad allargarsi”.
L’aspetto meraviglioso di questo libro è la delicatezza con la quale l’autore ci accompagna lungo il tragitto. È come se ci prendesse per mano e ci parlasse piano. Con lo stile che contraddistingue questo scrittore, il racconto è delicato, lieve. L’impressione è che l’autore sia un tuo vecchio amico e ti invitasse a bere un buon bicchiere di vino, per poi iniziare a raccontarsi. Gentile, a modo, elegante. Mai un parolone da cercare sul dizionario, perché con un amico non si userebbe, mai un accenno di rabbia, che pure talvolta sarebbe sacrosanta. Una celebrazione del riassetto e dell’alleggerimento per ottenere la liberazione. Ognuno di noi ha il suo elenco: quella lettera da scrivere, quella chiamata da fare, quell’ultimo desiderio da esaudire.
“Il giorno dopo finisce quando i conti sono regolati, quando ti fai una ragione delle cose e puoi provare a guardare avanti, anche se quel davanti magari è molto diverso da quello che avevi immaginato”.
Qui il riguardo per il lettore, e forse per l’autore stesso, è assoluto: non c’è niente che possa scuotere troppo, i passaggi si fanno in punta di piedi, anche i momenti forti sono detti con garbo. La pacatezza. Come alla fine del libro, quando “rimaneva ancora una cosa dare, per mettere ordine e fare i conti con il passato”: incontrare l’uomo che aveva organizzato l’omicidio di suo padre. Al lettore allora si accappona la pelle, viene l’agitazione, legge in punta di pagina per la tensione e invece l’autore, rispettando un momento tanto delicato, dirà solo di un uomo molto magro, dagli occhiali da sole quadrati, e di un vento fortissimo.
Sembra il percorso di un uomo a cui venga detto di avere poco tempo da vivere, e allora si precipita a compiere ogni incompiuto. Invece all’autore la vita dice che è tempo di vivere, ma la lista delle cose da fare e delle persone da incontrare è la stessa, e la spunta con la stessa foga, sapendo che solo a percorso ultimato si potranno far tornare i conti, eliminare i sospesi e spingere lo sguardo più in là, finalmente, oltre la mattina dopo.


Roberta Yasmine Catalano

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