Martedi, 26/03/2013 - Abbiamo eletto un Parlamento largamente rinnovato e con belle energie, con tante donne e tanti giovani: potrebbero essere le premesse per imprimere un’accelerazione alle riforme necessarie, per abolire rendite di posizione, per rivedere vecchie procedure e consuetudini, per cancellare odiosi privilegi, per modificare nel profondo il sistema che non funziona e la burocrazia inutile che inquina, inibisce e non regola. Per i meccanismi della vigente legge definita ‘porcellum’ dagli stessi ideatori - legge da tutti critica ma che non è stata abolita - il PD, pur essendo il primo partito, al Senato non ha la maggioranza dei seggi e per formare un governo deve ricorrere ad alleanze politiche o tecniche. Ma veti incrociati rendono ardua la ricerca di una sintesi in un Parlamento diviso in tre (…M5S non intende votare la fiducia a nessun governo, il PdL esclude un dialogo con M5S, il PD non intende allearsi con il PdL ma chiede l’appoggio a M5S che però si rifiuta…). Il segretario del PD Pier Luigi Bersani sta svolgendo le consultazioni per formare un governo su (pre)incarico del Presidente Napolitano che a metà aprile lascia il Quirinale, passaggio che apre un’altra complessa partita politico-istituzionale. Impossibile fare previsioni perché è difficile ricondurre quanto sta accadendo ad una logica ed è grande il rischio di buttare alle ortiche il potenziale positivo che si è addensato. Anche il semplice buon senso vorrebbe che chi è entrato in Parlamento al grido di ‘cambiamo tutto’, poi voglia farlo. Invece no, perché prevalgono i diktat di partito. Paradossalmente, ora che il ‘paese reale’ ha occupato (fisicamente e simbolicamente) le ‘stanze del potere’, ci sentiamo in una crisi senza via d’uscita. Il punto su cui sembra incagliarsi la possibilità di creare un governo è la fiducia che i due rami del Parlamento devono votare, ma in realtà la questione è profondamente politica. E di genere. Di fronte alla possibilità concreta di riempire di contenuti la parola ‘cambiamento’, costantemente invocata, si pone una questione decisiva: cambiare per andare dove, per fare cosa, in che modo, con chi? Il bivio davanti al quale siamo bloccati è affollato di uomini: quelli che danno incarichi e quelli che li accettano, quelli che arringano nelle piazze cittadine o virtuali. Uomini che dettano regole, che chiedono, vietano, impongono. Uomini annebbiati dalla profonda crisi esistenziale del patriarcato ma sulla quale le 290 parlamentari - mai così tante elette!! – non intervengono. Il 30% di donne potrebbe esprimere la forza numerica di un partito, ma sappiamo che non c’è unità di intendimento al femminile e così quella forza rimane potenziale. C’è sulla carta, ma non esprime una comune progettualità e, quindi, una capacità di indirizzo politico. Possiamo sentirci risarcite dall’elezione di Laura Boldrini alla Presidenza della Camera? Senza sminuire l’importante riconoscimento attribuito al percorso professionale e umano di una donna, dobbiamo riconoscere che la sua scelta è stata prima di tutto una risposta alla crisi di rappresentanza che vivono i partiti. Sarebbe indispensabile che le tante elette ricerchino le possibili e sane trasversalità che la situazione consente, che costruiscano nuovi equilibri al di là delle singole appartenenze. Ma per intraprendere in simile cammino ci vuole coraggio, onestà intellettuale e profonda libertà delle menti, tratti che per ora non emergono anche come semplice prospettiva di condivisione ampia. È vero: occorre una nuova legge elettorale, bisogna riformare i partiti e dare trasparenza ai costi della politica. Ma l’urgenza vera è scegliere per questo Paese un futuro giusto e sostenibile. Declinato al femminile, possibilmente.
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