Conversazione con le operatrici della Casa famiglia ‘Piccola comunità’ di Viterbo. Tre generazioni a confronto intorno al lavoro di cura con i minori
“Ero occupata con successo in un’agenzia di marketing pubblicitario - spiega Marilena Menghini - ma ad un certo punto mi sono resa conto che stavo sprecando il mio tempo: non era quello il lavoro giusto per me. Ho ricominciato da capo, iscrivendomi all’università per intraprendere un nuovo cammino che non ho più lasciato”. Dopo un’esperienza con i minori in comunità, dove ha capito il contesto in cui maturano i loro problemi, ha cercato il modo “di intervenire prima che la situazione deflagri, per evitare che i minori siano tolti alle famiglie in difficoltà e dati in affido”. È l’incarico che la cooperativa Zoe le ha affidato, l’assistenza alle famiglie. “È un lavoro delicato perché entro in spazi privati e devo rispettare l’ambiente che mi accoglie. Sono il tramite dei servizi sociali e la famiglia si affida a me, ma prima si deve fidare. E la fiducia va conquistata piano piano”.
Per Claudia Pietrini, presidente della cooperativa da oltre 20 anni, il cammino è stato impegnativo.”Siamo partite dalla Casa famiglia e abbiamo sempre continuato nel sociale ampliando via via le attività anche al campo culturale e socioculturale. Oggi siamo circa 140, quasi tutte donne, e lavoriamo in vari comuni del viterbese: gestiamo una casa famiglia per disabili adulti, ci occupiamo di minori con disabilità legate allo spettro autistico, curiamo musei e parchi archeologici cercando l’integrazione possibile tra sociale e culturale. Stiamo inoltre seguendo un progetto di rigenerazione del territorio urbano ad Acquapendente, dove abbiamo fatto l’inserimento lavorativo di tre ragazzi con varie problematiche: stanno operando in una parte abbandonata dove sorgerà un giardino dei semplici e sensoriale, con elementi di colori, profumi, suoni. Sarà molto bello”.
Tra le difficoltà che la cooperativa ha affrontato negli anni, c’è stata quella di conquistare una credibilità. “Inizialmente era difficile farci ascoltare: avevamo un coordinatore e notavamo che, pur dicendo le stesse cose, se a dirle era una figura maschile assumevano un altro valore” osserva Sara e la presidente aggiunge “non è stato facile superare questa situazione, ci siamo riuscite col tempo dimostrando la forza dell’équipe: abbiamo fatto comprendere l’importanza del lavoro di gruppo. Siamo diventate autorevoli quando è mancata quella figura maschile, è accaduto perché siamo riuscite a ritrovare in noi stesse la forza del gruppo”.
Un lavoro che si è sviluppato così in profondità non può non aver inciso nella cultura amministrativa e delle politiche sociali del territorio. “In questi decenni abbiamo lavorato bene con tutte le amministrazioni - spiega Claudia Pietrini - che, anche per i rapporti corretti costruiti con la struttura amministrativa, hanno sempre visto in noi interlocutrici affidabili e competenti. È una fiducia conquistata sul campo e basata sulla professionalità: ne andiamo fiere”.
C’è un’altra angolatura del prisma che, parlando di lavoro cooperativo nei servizi, va considerata, ed è la percezione, da parte dei cittadini e dell’utenza, dei valori di cui le operatrici sono espressione. “Ci sono situazioni in cui il valore del nostro lavoro è chiaramente percepito - osserva la presidente -, soprattutto quando non ci sono automatismi e dove bisogna tenere conto delle sensibilità e dei rischi. Poi, certo, ci sono anche interlocutori che ti vedono come la soluzione ‘furbesca’ che non deve rendere conto del proprio operato, ma non è vero. Posso dire che in questi 20 anni le complessità di gestione della cooperativa sono aumentate enormemente sotto il profilo strutturale, organizzativo e normativo. Continuiamo ad essere percepite come un qualcosa di secondo piano, quando in realtà abbiamo obblighi e incombenze analoghe alle imprese profit”.
Accanto alle complessità di gestione dell’azienda, una cooperativa che opera con materiale umano deve costantemente modellare la relazione interpersonale tenendo conto delle varie peculiarità: carattere, indole, esperienze, sofferenze. “Essendo la più giovane - spiega Giorgia - non ho difficoltà a relazionarmi con le adolescenti della Casa famiglia, penso all’uso dei social o ai problemi di tutti i giorni. Però rimango un’educatrice e faccio attenzione a mantenere il rapporto su questo binario”. Altro sguardo è quello di Maura che, essendo la più grande, fa i conti con il fatto che 15 anni fa un’adolescente la vedeva coma una mamma ma oggi potrebbe essere la nonna. Un passaggio non da poco in un equilibrio complesso ma Sara, pragmaticamente, spiega che “possono cambiare dei comportamenti, ma i problemi dell’adolescenza sono sempre gli stessi”.
A cambiare in questi 20 anni - e parecchio - sono state invece le problematiche familiari e le ragioni che portano all’allontanamento dei minori dai genitori.”Se anni fa il disagio sociale lo trovavi con l’alcolismo, oggi il tema dominante è la deprivazione culturale, nel senso che le famiglie hanno difficoltà a parlare con i figli. Per noi il lavoro non è più difficile, è solo diverso. Ma noi siamo abituate a confrontarci con situazioni sempre differenti, ogni volta dobbiamo capire e cercare le soluzioni, trovare le modalità per il rientro in famiglia, se possibile, oppure trovare una nuova famiglia”.
E i ritorni in famiglia avvengono? “Possono esserci, anche se è molto difficile. Bisogna fare un lavoro sulla rete che può attivarsi intorno alla famiglia e alla madre. Devono esserci capacità intellettive di base che, insieme ai servizi sociali e agli aiuti economici, possono sostenere un percorso positivo. In qualche caso siamo riuscite”. Pochi casi, nonostante il grande impegno….
“Con il nostro lavoro in Casa famiglia ci adoperiamo per offrire delle opportunità a ragazzi e ragazze che non ne avrebbero avute. Quando il reintegro funziona, è una vera gioia per noi. È il caso di una bimba arrivata qui a due anni e che siamo riuscite a far tornare a casa. Oggi sappiamo che va all’università”. Un esito positivo che certifica le ragioni di un lavoro importante e complesso, che richiede professionalità e che non può prescindere dal rispetto dei minori e di tutti gli adulti di riferimento.
Testimonianze raccolte nell’ambito del progetto
‘Da sole non c’è storia. Donne al lavoro tra passato
e futuro’ sostenuto dalla Regione Lazio. #lavoroXlei
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