... vorremmo invece divenisse dimora storica, che fosse preservata e destinata a perpetuare la sua memoria e il suo operato
Nel 1976 avevo appena letto il libro di Joyce Lussu Padre Padrone e Padreterno, una contro-storia dall’età romana fino al Novecento della condizione femminile, una breve storia di schiave e matrone, villane e castellane, streghe e mercantesse, donne proletarie e padrone.
Mi venne fatto di scriverle. In quegli anni, si parlava davvero tra lettrici e scrittrici, molti libri di allora erano proprio una fucina di incontri. Sapevo che Joyce abitava nelle Marche a Capodarco di Fermo. Le scrissi le mie impressioni.
Se fosse stata ad abitare in una città, la mia lettera non le sarebbe mai giunta. Ma Joyce abitava là, nella sua casa che era stata dei suoi. Fedele, tenace anche in quel suo abitare in quella dimora ottocentesca a S. Tommaso di Fermo, contrada Paludi, situata tra le colline ascolane e la foce del fiume Tenna.
Dopo pochi giorni, ricevetti da lei una telefonata, mi disse di andare a trovarla, aveva da ospitarmi, avremmo parlato.
Andai, era il 3 gennaio 1977; avevo tre giorni ancora prima che riaprissero le scuole, all’epoca insegnavo alle scuole superiori. Alla stazione di Porto S. Giorgio venne lei a prendermi, con la sua cinquecento. Faceva molto freddo.
Nella sua casa, entrate che fummo, la grande stufa panciuta e verticale che stava in un angolo della stanza a pianterreno, ci donò ristoro, e parlammo. Intenzionate davvero a conoscerci. Lei, Joyce Lussu, partigiana, scrittrice, traduttrice, poetessa, medaglia d’argento al valor militare, capitano nelle brigate Giustizia e Libertà, e tanto altro ancora, a intrattenersi con una giovane che aveva al suo attivo solo due libri e tanto da apprendere.
In quei giorni Joyce mi parlò di un progetto cui stava pensando, di un libro in cui diverse scrittrici, di varie regioni d’Italia raccontassero storie di donne della propria regione, mi disse che già alcune avevano acconsentito e mi chiese se volessi partecipare anch’io scrivendo storie di donne della mia regione, la Campania.
Joyce era così, la più fattiva delle persone che abbia mai conosciuta, sempre a ideare, a progettare e a coinvolgere altre. Nacque così, pubblicato due anni dopo, il libro L’erba delle donne e che, ho appreso, recentemente è stato ripubblicato.
Io scrissi il capitolo Le streghe nel Cilento. E fu, grazie a lei, che mi misi a studiare, a consultare processi a donne nel Cilento al tempo dell’Inquisizione. Non fosse stato per lei, non avrei mai incontrato quelle donne, e non avrei mai scritto di una di esse in particolare, condannata per blasfemia, una donna cui morivano uno dopo l’altro tutti i figli che partoriva e che, tanto provata, aveva cominciato a dare in escandescenze, a bestemmiare. Oggi la medicina sa di cosa morissero i suoi neonati. Fu condannata. E però, caso unico, come potei scrivere, non fu condannata al rogo, la sua pena fu commutata. Tanto povera e disgraziata dovette apparire anche agli Inquisitori!
Joyce era così, metteva assieme donne di oggi con donne del passato, ne stanava le storie e rendeva possibili scritture che altrimenti non sarebbero mai divenute libri.
Da quella prima volta, tante altre volte fui a S. Tommaso. A partecipare, d’estate, a grandi tavolate, a condividere, a stare insieme, ricordo Pietro e Tommaso i suoi nipoti allora bambini, i loro genitori Paola e Giovanni l’amatissimo figlio suo e di Emilio Lussu. Con Joyce, poi, demmo di nuovo vita ad un borgo rimasto spopolato, Cerreto; lì nei pressi, acquistammo una casetta ognuno e con altri ed oggi quel borgo tuttora è popolato. Conservo il libro I Cerretani che Joyce mi regalò, quando ero in attesa della mia prima figlia, nel 1980, con la dedica alla piccola cerretana che sarebbe venuta al mondo.
Ecco, Joyce era questo e tantissimo altro. Le sue opere, il suo percorso di vita, il suo impegno costante, il suo prodigarsi affinché libri nuovi e necessari venissero scritti, affinché borghi spopolati rivivessero, affinché donne del passato e del presente e del futuro fossero unite a raccontarsi, a mutare i destini nel presente e nel futuro.Ad impegnarsi.
Martin Heidegger in Costruire abitare pensare invitava a recuperare il senso originario dell’abitare la terra da parte degli uomini, egli lo chiamava Geviert Quadratura.
Stamane ho appreso, che la casa di Joyce Lussu è in vendita. La sua dimora, che tutti noi vorremmo invece divenisse dimora storica, che fosse preservata e destinata a perpetuare la sua memoria e il suo operato.
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