La Bellezza la puoi vedere sempre attorno a te, la bontà la puoi cercare tra le pieghe
Le nostre figlie e i nostri figli diversamente abili restano sempre un po’ bambini. Dobbiamo credere e lavorare ora perché ce la possano fare senza di noi domani e dobbiamo sperare che saranno trovati e sostenuti dalla Bontà
Giovedi, 19/12/2019 - Metti una sera a cena a casa mia, tra amiche. Una rimpatriata. Siamo un gruppetto di mamme che fino al 2010, una volta a settimana, il mercoledì mattina, dopo avere accompagnato a scuola i propri figli, s’incontravano al bar. Io sono madre di due ragazze con autismo e mai, prima d’allora, mi ero sentita così inclusa. Loro mi volevano, mi reclamavano quando io schiva e intimidita per le esperienze passate tendevo a escludermi da sola. Manca Elena, lei non c’è più, e ad Elena sarebbe piaciuto essere con noi l’altra sera. Una volta, mi disse che a casa nostra stava e mangiava benissimo. Era una donna pragmatica Elena. Apro il mio diario perché mi ricordo di un appunto che la riguarda:
Roma, 14 maggio 2008:
[…] Facciamo colazione e passiamo una mezzoretta a confrontarci. Ognuna dice la sua. Stamattina, ho parlato delle mie difficoltà ed Elena mi ha detto:
- Sai Marina, mia madre è insegnante e mi ha spiegato chiaramente che nel nostro sistema scolastico i ragazzi deboli vengono lasciati indietro. -
Attorno a noi, il gelo. So che le altre mamme hanno pensato che Elena sia stata molto indelicata, ma io so che ha detto la verità. Ci sono rimasta male, è vero, ma si sa che la verità fa male.
Gli anni sono passati, ma io sono rimasta della stessa idea: ben vengano nella mia vita tutti coloro che mi fanno un po’ male dicendomi una verità, o comunque qualcosa di molto prossimo a una qualche verità. Guardare in faccia alla realtà è l’unica opportunità che abbiamo per tentare di migliorala. Dopotutto, il Principio di Realtà non vieta di godersi la vita, né a noi genitori, delusi e preoccupati, di disabili mentali gravi di sperare in un mondo migliore o di provare a fidarsi del prossimo, come io posso fare con le mie amiche, ma sicuramente riporta la speranza per il futuro e la fiducia nei confronti del prossimo e del mondo in genere entro certi limiti di aspettative e di azione. Insomma, anche i più audaci, se hanno dei figli incapaci di intendere e di volere, quando si tratta di fidarsi del mondo debbono essere molto cauti. Per questo, perché avevo invitato a casa persone buone e solidali, l’altra sera a cena ho invitato Elena, anche lei madre di un ragazzo bisognoso si attenzioni particolarissime come le mie figlie.
La prima volta che ho visto Elena è stato alla presentazione del mio libro Sarà una Missione. Alla fine della presentazione, si è avvicinata, mi ha abbracciato, mi ha dato il suo libro Storie di ordinaria diversità e mi ha detto: - Non sei sola, se hai bisogno, chiama. -
Sul libro che mi ha regalato ho trovato una dedica:
“A Marina, con affetto sincero nella speranza di una nuova sorellanza. Con stima. Elena.”
E niente, non vorrei mai deluderla. Adesso, proprio mentre scrivo, mi rendo conto che anche lei si chiama Elena, una coincidenza. Diceva il mio amico Gabriele, anche lui non più tra noi, che le coincidenze sono sincronicità che la logica non può spiegare e che, forse, dovremmo pensare che nel mondo delle coincidenze tutto ruoti intorno al concetto di amore.
Anche Elena, non dubito che, come me, debba avere conosciuto a fondo la vera natura della maggioranza delle relazioni umane, visto con i propri occhi come vanno le cose quando i giochi si fanno duri: la gente strada facendo svanisce, così, per non morire di dolore, perché l’abbandono fa proprio male, si deve guardare al bicchiere mezzo pieno e ammettere che l’altra faccia dell’abbandono è la liberazione dalla gente inutile … ma le mie amiche, loro, non sono persone inutili. Le mie amiche sono persone buone. Quelle persone buone che madri come Elena e io abbiamo bisogno di credere troveranno i nostri figli Dopo di Noi, quando non ci saremo più.
Persone buone come Annamaria, anche lei da me invitata alla mia cena. Non ci speravo, che venisse intendo, invece è venuta nonostante sia una donna molto impegnata. Lei riesce sempre a stupirmi. Credo che lei non si renda veramente conto di quanto è umana e gentile.
Annamaria e le mie quattro amiche, Marinella, Silvia, Silvietta e Olivia hanno figlie e figli bravi e promettenti. Loro non ne parlano mai con me, credo per delicatezza, ma quando io chiedo loro dei loro figli e delle loro figlie vedo che gli occhi brillano. Così, quando l’altra sera le mie quattro amiche erano contente per i sensibili miglioramenti delle ragazze che non vedevano da un po’ e mi hanno fatto per questo i complimenti, io sono stata felice e lo è stata anche Annamaria, l’ho notato dal suo entusiasmo e anche perché si interessava molto ai loro commenti. Ho spiegato a tutte loro che da quando mi sono trasferita qui nella campagna romana, ossia negli ultimi dieci anni, mi sono dedicata alla loro educazione, riabilitazione e che ho fatto un lavoro su me stessa. Poi, avrei voluto dire loro quel che già sanno, ossia, che mentre le loro figlie e i loro figli stanno chi proseguendo gli studi, chi laureandosi, chi già lavorando, chi sposandosi e chi, fra poco, rendendole nonne, per quanti miglioramenti abbiano potuto fare, le mie figlie, pur essendo giovani donne, per certi versi restano sempre delle bambine. Così, ho guardato Elena, che guardava lo schermo del suo telefonino e mi sono sentita in una grande intimità con lei, ciò, nonostante la mia sensibilità sia molto simile a quella di Annamaria e nonostante l’affetto immenso che provo per le mie amiche. E niente, senza girarci tanto attorno, a noi è toccata la parte amara della questione, ma non ho detto niente perché in quel momento, assurdamente, io ero felice. Felice che a giudizio delle mie amiche le mie figlie stanno meglio di prima, felice che Elena era riuscita a venire tra mille difficoltà che io ben conosco, felice per le mie amiche, felice del loro amore per noi. Se la felicità è uno stato di grazia non volevo esser pesante, rovinare la festa né esser fraintesa, non volevo che Annamaria, Silvia, Silvietta, Olivia e Marinella si sentissero in colpa senza avere alcuna colpa, se non quella di essere state assieme ai loro figli in questo più fortunate di Elena, me e i nostri figli. Allora, mi è venuto in mente un altro appunto del mio diario e sono andata a cercarlo.
Terracina, 5 agosto 2013
Sono a Terracina. Queste due settimane sono per me anche il periodo del riposo forzato. Chiara e Arianna sono partite per un soggiorno estivo con un gruppo di loro pari: una settimana, a volte due, dipende dalle organizzazioni, dai fondi a disposizione, poi si ricomincia a tempo pieno. Ho grandi responsabilità, tra le quali mantenermi in salute, ma adesso che la salute vacilla devo provare a non crollare. Fortunatamente, tutto risolvibile, ma dovrò curarmi seriamente. Ci sono patologie che, sebbene siano benigne, sono molto invasive e dolorose.
Stamattina, sono andata a fare una passeggiata al mercato, mi piace il mercato della frutta e del pesce. Ho incontrato Rita, la signora Rita dai capelli rossi che una volta aveva il supermercato di fronte alla casa della nonna e della zia. Ci conosciamo da tanti anni. Quante volte Chiara entrava nel suo negozio e ne usciva correndo dopo avere arraffato biscotti, caramelle e cioccolata: mia figlia è una ladra di dolciumi. Tutti siamo ladri di qualcosa.
Stamattina, delle birichinate di Chiara Rita ed io ne abbiamo riso assieme, anche dei conti che trovavo da pagare! Poi, mi ha detto una cosa che non ricordavo di avere detto. È strano sentirsi rammentare dagli altri ciò che si è detto in un momento di verità. Pare che alla sua domanda su cosa avessi in programma per il futuro delle ragazze io le abbia risposto:
- Rita, le mie figlie non crescono mai. Non nel modo in cui intendi tu. -
Ho abbracciato Rita per avere conservato la memoria di una mia risposta sincera. Lei mi ha detto che la mia risposta le è rimasta impressa per il modo in cui io gliela diedi. Allora le ho detto che Chiara è diventata una ragazza molto matura, che è cresciuta, anche se è pur sempre una bambina sotto certi aspetti e nonostante io la tratti da adulta, che per questo non pretendo da lei ciò che lei non è. Questa volta è stata R. ad abbracciarmi. Quindi, ci siamo salutate …
Rita è una donna buona, come le mie amiche. Rita fa parte di quei buoni che le mie figlie e io abbiamo incontrato sul nostro difficile cammino fra migliaia di cattivi persi nella disperazione.
Qualche anno fa, una notte, era un periodo difficile, una voce mi svegliò dal sonno dicendomi: “La bellezza la puoi sempre vedere attorno a te, mentre la bontà la devi cercare tra le pieghe”, le pieghe di quel mondo che tante volte ci ha voltato le spalle e abbandonato.
Questa speranza, madri come Elena ed io, abbiamo bisogno di coltivare in noi per il Dopo di Noi dei nostri figli, il credere nell’esistenza di una parte bella e buona dell’umanità: una fede che come una fiamma interiore diradi la tenebra esteriore. Se persone come noi si scoraggiano è la fine, perché noi abbiamo il dovere d’infondere fiducia nei cuori dei nostri figli, ma non solo, dobbiamo credere e lavorare ora perché ce la possano fare senza di noi domani e dobbiamo sperare che saranno trovati e sostenuti dalla Bontà.
Ma si sa, per avere speranza abbiamo bisogno di essere un po’ bambini, bambini come questi nostri figli che rimangono sempre un po’ bambini, come scrissi nel 2009:
La speranza è negli occhi di un bambino.
La speranza è nell’amore
di chi lotta e difende i nostri figli
in un mondo che sa esser disperato,
ma nel quale non può non confidare.
La speranza è un bambino.
La speranza è credere che,
fra mille cattivi persi nella disperazione,
troveremo un essere buono
che ancora spera e crede in sé, e in te.
La speranza è il bambino
Che è in te, e in me.
Lascia un Commento