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Il segreto di Lucy Joyce di Luigi Guarnieri

Il segreto di Lucy Joyce di Luigi Guarnieri

La figlia sacrificata dal genio inquieto

Martedi, 25/10/2022 -

Da sempre le figlie devono sacrificarsi alle scelte dei padri. Soprattutto se talentuose, come scrittrici o musiciste. Ne  Il segreto di Lucy Joyce (la Nave di Teseo, 2022), Luigi Guarnieri ricerca il segreto dell’infelicità di Lucia Joyce (figlia dello scrittore irlandese) che ha vissuto gran parte dei suoi anni in cliniche e manicomi, e che a lungo ha cercato di affermare la propria identità. Guarnieri racconta la storia di Joyce, per arrivare a quella della figlia. E far capire come entrambe siano connesse. Dipendenti l’una dall’altra.

Il quadro che ne viene fuori è inquietante. Perché anche se si tratta di Joyce notoriamente uomo colto e viaggiatore, conoscitore del mondo questi non si esime dal sacrificare la propria figlia a favore della propria opera e del proprio talento. Così, la figlia più fragile, Lucy, deve cedere alle scelte di suo padre. Lucy non può far altro che avere una vita nomade e soffocata dai continui esaurimenti nervosi di sua madre e dai crolli fisici di suo padre. Cosa che la condurrà a non riuscire a costruirsi un proprio spazio vitale.

Lucy vedrà spegnersi non solo tutte le proprie speranze, ma anche le proprie possibilità, che cerca di seguire e fare proprie. Mentre ai suoi occhi (e a quello del lettore) apparire Joyce non solo come un padre che si interessa di vivere al di sopra delle proprie possibilità, chiedendo sempre agli altri prestiti, ma anche una figura che non si cura dei bisogni più semplici (la stabilità, ad esempio) dei suoi figli.

Lucy nasce a Trieste, e viene così chiamata più per salvare gli occhi dello scrittore irlandese dalla cecità, che non per vera devozione (in quel momento Joyce, da cattolico irlandese, non può far altro che dedicare sua figlia alla santa per problemi agli occhi che gli procurano un gran dolore e in seguito una parziale cecità).

Crescendo, Lucy scopre che è sempre e solo suo padre ad attirare la compassione e l’amore di tutti coloro che gli sono intorno. Tutti finiscono per proteggere questo uomo fragile, nel corpo e nel fisico, nelle continue scappatelle, nel continuo bisogno di denaro, per condurre una vita decorosa, ma al di sopra delle proprie possibilità. E si dimenticano di lei. Compreso Samuel Beckett che, rifiutandola come compagna di vita, le dirà che frequentava casa sua solo avere la stima di James Joyce e i suoi scritti.

Joyce, pur rendendosene conto, ha continuato a vivere come ha sempre fatto: schiacciando sua figlia. Per alimentare con questo dolore la sua scrittura.

Solo James Joyce, ora bevendo, ora vegliando nel bordello più infimo, ora scrivendo o riscrivere parte dei suoi capolavori non compresi, è riuscito, a differenza di Lucy, a schivare l’abisso. Forse perché non aveva mai fatto altro nella vita. O non sapeva essere altro che un equilibrista. Capace di domare le storie che accomunano la follia della bora con le bellezze austroungariche di Trieste. In nessun altro luogo, infatti, questi due personaggi avrebbero avuto la possibilità di venire fuori. Di nascere e di soccombere. Ognuno in modo proprio: Joyce immerso nell’ombra e schiacciato dalla mole impressionante delle pagine dell’Ulisse e del Finnegans Wake, Lucy nelle tenebre di una schizofrenia e alla ricerca del medico più idoneo a curarla.

Lucy riesce a fiorire solo nella sua ribellione. “Legge, scrive lettere, mangia frutta, ingrassa, beve champagne, fuma moltissimo e appicca il fuoco ai suoi vestiti con le scatole di fiammiferi che tiene in tasca, va a pescare, non indossa biancheria intima, cavalca i pony, cerca di sbottonare i pantaloni ai boyfriend delle cugine, distrugge il suo bungalow e gironzola per la promenade indossando un vistoso cappotto di cammello e agitando in aria un bastone, come fosse la padrona del mondo”, scrive Guarnieri ad un certo punto. Per descrivere gli esiti di quella lotta perduta fin dall’inizio. Perché Lucy è sempre stata senza futuro, senza luce dentro, perché tutta la luce gliel’ha presa suo padre.

Con una scrittura tesa e sicura, Luigi Guarnieri riesce a costruire una storia che i più hanno dimenticato o non conoscono. Lo scrittore ricostruisce a volte il mondo dorato e leggero degli anni Venti,altre un mondo vacuo e sterile che ricorda l’Irlanda cattolica e repressiva di Edna O’Brien (dove non sembra esserci mai un buon lieto fine, ma soltanto un castigo). Non solo: Guarnieri racconta anche lo scendere, inevitabile, nell’infero della mente, e il guardare il baratro. Senza possibilità alcuna di salvarsi.


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