Sono tutti colpevoli i tre personaggi di questo romanzo e tutti e tre innocenti. Il male, vero tema del libro, e le ambiguità umane hanno elementi in comune. Contro una moglie
L’autrice dipinge il ritratto di un uomo cinico, che non ha creduto in niente. O forse che ha perso la speranza in tutto. Il medico ha sposato una ragazza di 17 anni. L’amore tra i due, però, si è consumato in fretta. L’uomo ha iniziato così a disprezzare la sua sposa. E gli sembra che la donna faccia di tutto per rendergli la vita impossibile.
Il dottore, infatti, pensa che sua moglie lo abbia preso in giro. Bissam Sobnath sa di essere un uomo complicato, consapevole di non controllare la sua rabbia. Non riesce, però, a cambiare o a migliorare.
L’odio si trasforma ben presto in violenza. Un giorno Bissam Sobnath esasperato del pianto del bambino, picchia la moglie perché la sua ninna nanna non tranquillizza il neonato. Un altro giorno, invece, stufo di una casa in disordine, usa un bisturi per tagliare la parte più riccamente ricamata del sari di sua moglie.
Il dottor Bissam Sobnath proviene da un ambiente povero e la moglie da una famiglia benestante. Le diverse classi sociali contribuiscono al conflitto. Lui vorrebbe una donna colta e acuta, invece lei è ingenua. Lui desiderava ardentemente un figlio, ma il bambino muore. Il risentimento cresce gradualmente dentro di lui.
Per il dottore, le figlia e la nipote, che sono ora in casa con lui, sono una persecuzione. Non lo lasceranno in pace finché non avrà raccontato la sua colpa. Nei confronti delle donne l’uomo usa un tono beffardo. Il suo disprezzo si manifesta nel linguaggio.
Chi ha ucciso la sua nani? Malika, la nipote del dottore, lo vuole sapere. In una scena del romanzo, addirittura imbavaglia il nonno, gli toglie il pigiama e gli versa addosso del succo di canna. Guarda con piacere il liquido che gli cola addosso. Gli scontri con l’uomo morente si susseguono in tutto il libro. La tensione si diffonde tra le pagine. Le donne non hanno intenzione di perdonarlo.
Quanto di vero c’è nelle parole dell’uomo? Quanto c’è di falso? Quanto immaginato? Quanto frainteso?
Nel suo monologo il dottore racconta di aver aggredito la moglie. Ma la verità non sembra essere del tutto svelata.
A un certo punto il dottore rivela (non si sa se per ripicca, stia mentendo o dicendo la verità) di aver gettato del cibo mal cotto in faccia alla moglie, ma nega di aver dato fuoco al suo sari verde. O di averne provocato la morte.
Le confessioni portano il lettore nel passato e poi nel presente e poi si torna indietro, di nuovo. Questo cambiamento costante crea tensione narrativa e mantiene vivo l’interesse. Ananda Devi racconta l’ambiguità. E ci riesce: tutto potrebbe essere vero o falso. Le tendenze violente del medico potrebbero anche essere una pista falsa, un espediente letterario per indurre a credere che sia lui l’assassino.
L’autrice piazza abilmente falsi indizi per confondere il lettore. Si tratta di menzogne? Di verità parziali? Ma soprattutto esiste una netta differenza tra il carnefice e la vittima? Così si arriva al momento in cui il dottore rivela, in un sorprendente colpo di scena, che lui non ha ucciso la moglie.
Le confessioni mettono a nudo i pensieri e i sentimenti dei tre personaggi nella loro crudezza. Il linguaggio dell’uomo è brutale perché si scopre che le due donne vogliono che si assuma la colpa della morte della moglie.
In un gioco di specchi Ananda Devi lascia che la storia rimanga senza una verità chiara e tersa. Sono tutti colpevoli i tre personaggi di questo romanzo e tutti e tre innocenti. Il male ‒ vero tema del libro ‒ e le ambiguità umane hanno elementi in comune. Senza alcuna redenzione, neanche la morte può restituire la verità.
Lascia un Commento