Grande indignazione per l'invito al rapper Junior Cally e per le esternazioni del presentatore Amadeus al Festival di Sanremo. Ma anche qualche voce che difende i due artisti in nome di una presunta libertà artistica
Giovedi, 23/01/2020 - Quello che colpisce favorevolmente nella vicenda della settantesima edizione del Festival della canzone italiana di Sanremo sia in relazione alla partecipazione alla gara del rapper Junior Cally, sia per le note dichiarazioni del presentatore Amadeus, è che ci sia stata un’ondata di indignazione e di proteste provenienti non solo dal mondo del femminismo e dell’associazionismo femminile, ma anche da altri ambienti culturali. Indignazione e proteste perchè la Rai non può accettare e ammettere alla gara un cantante che con i suoi testi trasmette un modello culturale sessista e violento e che il presentatore di una delle manifestazioni più seguite in Italia, lanci messaggi in cui le donne sono, ancora una volta, rappresentate attraverso stereotipi.
Non può perchè la Rai è un servizio pubblico e, come scrivono puntualmente in una lettera indirizzata ai vertici della nostra televisione pubblica le associazioni Rete per la parità e Donne in quota, la Rai è soggetta a tenere comportamenti in linea con il Contratto di Servizio Pubblico Rai-Mise 2018-2022 che prevede fra i suoi punti una serie di prescrizioni che sono state puntualmente disattese.
Il punto è che in queste vicende non è stata rispettata la dignità della persona, sono stati riproposti stereotipi di genere che minano l’immagine e la dignità della donna, discriminandola; ma la cosa più grave è che vengono proposti modelli di riferimento, misogini stereotipati e non paritari ad un pubblico anche di minori quale è quello del festival della canzone italiana, attratto proprio dalla musica proposta dal rapper , certamente a loro più vicina ma che nei testi, ascoltati senza un ‘opportuna decodificazione può risultare un modello negativo particolarmente dannoso per gli adolescenti.
Molti obiettano che per altre situazioni analoghe, in anni passati, non ci sia stata questa sollevazione popolare e probabilmente è vero perchè molte sono state nel corso dei 70 anni del Festival o di programmi televisivi della Rai, canzoni, trasmissioni e programmi che non hanno tenuto conto del rispetto della parità di genere o hanno veicolato messaggi violenti e sessisti.
Fortunatamente la società evolve e qui sta l’aspetto positivo di cui parlavo all’inizio: i concetti di parità, di rispetto della persona, della promozione di una società non violenta e sessista, piano piano si stanno facendo strada, anche se pur con tanta fatica.
Ci auguriamo quindi che la Rai tenga in dovuto conto quello che in questi giorni stanno esprimendo milioni di persone e che assuma i provvedimenti necessari e più opportuni per garantire il rispetto della parità di genere, il concreto impegno per la diffusione di un’immagine non stereotipata delle donne e il contrasto a comportamenti violenti e offensivi.
Purtroppo riscontriamo che a fronte di questa ondata di indignazione c’è anche una frangia di persone: giornalisti, conduttori televisivi ed altri che hanno tirato in ballo la presunta libertà artistica di un autore o di un conduttore televisivo di potersi esprimere come vuole.
Eh no, non ci siamo proprio, in questo modo sdoganiamo qualsiasi comportamento e fra un pò qualcuno dirà che la violenza contro una donna usata magari da un artista per una sua installazione o video è un’opera frutto del suo intelletto e della sua arte. E vanifichiamo in una sola serata anni e anni di lavoro culturale che femministe, associazioni, centri antiviolenza stanno portando avanti faticosamente nella società e nelle scuole in particolare.
E’ una grande ipocrisia, un alibi per perpetuare modelli che alimentano la violenza perchè ormai chi non l’ha ancora capito che la violenza contro le donne nasce dai modelli trasmessi in tutti i contesti? Non barattiamo il rispetto, la parità, la conquista della consapevolezza di quanti danni possono fare i modelli stereotipati e le discriminazione per la nostra società a cui siamo faticosamente pervenuti in questi anni con la presunta libertà artistica.
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