Un luogo da valorizzare per far conoscere, soprattutto alle giovani generazioni, il cammino della tecnologia nelle telecomunicazioni. E poi telescriventiste, centraliniste, postine: il prezioso contributo delle donne
Offre innumerevoli e piacevoli sorprese il Museo storico della Comunicazione ospitato nella sede del Ministero dello Sviluppo Economicoa Roma (quartiere Eur) e soprattutto accompagna chi lo visita in un affascinante viaggio attraverso l’evoluzione degli scambi delle informazioni, dall’antichità al ventesimo secolo. Le sale sono molte e si susseguono con una impressionante quantità di documenti e materiali che spaziano dalla Tavola Peutingeriana, la preziosa copia realizzata nel Medioevo di una antica mappa delle vie stradali dell’Impero romano, pannelli di Roma del IV secolo d.C. (eseguiti da Giorgio Belli pittore, scultore e ceramista romano), fino ai satelliti e ai primi computer. Sono esposti circa 1600 cimeli e oggetti e altrettanti sono conservati nei magazzini; per la filatelia si conta oltre un milione di pezzi e per la marcofilia si raggiungono circa 86mila esemplari.
Di particolare interesse, dal punto di vista di NOIDONNE, è il filo rosso che ha segnato nelle comunicazioni la presenza femminile. Per esempio sono quadri o sculture di donne a rappresentare le varie allegorie: del telegrafo, della posta o della radiofonia. Il progresso delle tecniche di comunicazioni agevolano la presenza femminile. Infatti nei primi del Novecento con l’Apparato Rowland le donne diventarono telescriventiste mostrando, oltre alle competenze, la ferma volontà di superare l’offesa di essere pagate poco e lo stigma di un lavoro che, svolgendosi 24 ore su 24, richiedeva turni che impedivano loro di conciliare la cura della famiglia. Però poi le donne furono determinanti per mantenere in efficienza le comunicazioni in alcune fasi storiche, come quando durante la prima guerra mondiale sostituirono gli uomini, partiti per il fronte. Che dire poi delle centraliniste, spesso rappresentate in affollate e rumorose sale alle prese con fili e spinotti che nelle fasi iniziali della telefonia permettevano collegamenti e conversazioni. Questi contributi, così importanti, e talvolta decisivi, hanno meritato un omaggio che è arrivato con “Il voto delle donne. La storia di un diritto illustrata dai francobolli” (ideata da Chiara Simon, co-autrici del progetto Simonetta Freschi, Ester Pacor, Camilla Pasqua), una mostra itinerante che in questi mesi è esposta in vari uffici postali documentando come questa importante conquista è stata celebrata in vari Paesi.
Da richiamare il libro di Laura Savelli, “L’autonomia femminile e dignità del lavoro, Le postelegrafoniche” che fa emergere le tante donne invisibili spesso nella storia ufficiale, da Teresina Gramsci, sorella minore di Antonio, a rappresentare quella storia di giovani modeste e desiderose di cultura alle quali lo studio dell’alfabeto Morse offri l’occasione di essere assunta alle Poste, Romilda Troise, dirigente del Comitato pro-suffragio attivissimo nelle campagne per i diritti delle donne, nota per il suo impegno sindacale, Maria Zannini, telefonista entrata giovanissima nella Società alta Italia, attiva sindacalmente e anche direttrice de’ “La difesa delle donne lavoratrici”. Da non dimenticare, infine, Matilde Serao che inizia a lavorare come ausiliaria telegrafista.
Alcune collezioni conservate nel Museo sono probabilmente uniche, come quella delle antiche buche delle lettere scolpite nella pietra o forgiate nel metallo,oppure le raccolte dei francobolli emessi a livello internazionale, a partire dal primo: il famoso Penny Black ideato da Sir Rowland Hill per conto del Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda nel 1840. Un’invenzione che rivoluzionò la consegna della posta imponendo il pagamento al momento della partenza delle lettere e non della consegna, come era in uso fino ad allora.
Da segnalare che in una sala è conservato l’apparecchio telefonico con cui nel 1878 avvenne la prima interurbana tra l’ufficio di Tivoli e il Palazzo del Quirinale, a 32 chilometri di distanza. Questo cimelio, importante simbolo della tecnologia e non solo, è in compagnia di una bella collezione storica di telefoni.
È esposto in una vetrina il brevetto di 7777 di Guglielmo Marconi, per dire della cura con cui sono documentati i passaggi salienti del percorso del sistema delle telecomunicazioni a distanza via onde radio; è commovente il modellino del panfilo Elettra, la nave-laboratorio dalla quale lo scienziato effettuò alcuni esperimenti di radiofonia, e sono interessanti i suoi strumenti elettronici originali che hanno accompagnato lo sviluppo della telegrafia senza fili, fortunatamente salvati dalle distruzioni della guerra.
La storia della posta, anche come affermazione del diritto allo scambio e al viaggio, si apprezza attraverso un'eloquente iscrizione in latino incisa su una lapide risalente al 1633 e proveniente da Borgo Cerreto, che recita “al ricco e al povero è consentito di viaggiare”. Ad ospitarla è una bella parete in cui è esposta una collezione di buche delle lettere antiche e artistiche, realizzate in pietra o in metallo.
Si può entrare in un “Ufizio di Posta” di due secoli fa, perfettamente ricostruito e arredato con attrezzature e cimeli storici provenienti dal Granducato di Parma, Piacenza e Guastalla; a testimoniare la fedeltà dell’allestimento c’è persino la riproduzione della rimessa per la diligenza, luogo indispensabile quando i cavalli erano protagonisti del servizio postale. A raccontare di minacce ricorrenti, dalle quali ogni epoca si difende come può, è in mostra anche un fornetto, ancora funzionante, utilizzato per la disinfezione delle lettere con vapori sulfurei.
Molto spazio è dedicato alla storia della televisione e, tra i tanti strumenti e apparecchi esposti, ci si limita a segnalare il satellite che nel 1962 ha effettuato il primo collegamento televisivo nello spazio, ricordato anche con la speciale emissione di un francobollo.
NOIDONNE ha potuto costruire il racconto, anche in video, di questo particolare luogo grazie alla disponibilità di Graziella Rivitti, Elisabetta Angelini e Annarita Insalaco, dipendenti del Ministero e appassionate della materia, che ci hanno accompagnato lungo il percorso museale con dovizia di spiegazioni e illustrazioni.
L’auspicio è che il Museo storico della Comunicazione, oggi aperto solo su richiesta e poco conosciuto, possa essere valorizzato come meriterebbe, in particolare offrendo alle giovani generazioni informazioni indispensabili nell’era della comunicazione totale e pervasiva in cui sono immerse, anche per renderle consapevoli del cammino che la tecnologia ha compiuto per arrivare ai device che sono nostri indispensabili compagni di vita.
Ha collaborato Graziella Rivitti
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