Sabato, 03/07/2021 - Proprio in questi giorni si ricordano i 30 anni dalla feroce e sciagurata guerra dei Balcani in cui terribili atrocità furono commesse in nome della religione cattolica contro quella musulmana, a due passi dalla democraticissima Europa, che non seppe o non volle bloccare il conflitto.
Due gli episodi più efferati e più noti tra i tanti: l’assedio della città di Sarajevo il più lungo della storia contemporanea, durò dall'aprile del 1992 al febbraio del 1996. Durante quei terribili anni vennero presi di mira i civili anche con l’impiego di cecchini. E il genocidio di Srebrenica, quando le truppe serbe e cattoliche del generale Mladic entrarono nella cittadina e uccisero 8372 uomini e ragazzi musulmani, gettandoli poi in fosse comuni. Il tutto avvenne nonostante la presenza sul territorio di un contingente di caschi blu ONU olandesi. I responsabili, serbi e croati, dei massacri sono stati giudicati dal Tribunale internazionale dell’Aja.
Un poeta restò a Sarajevo in quei terribili anni dell'assedio: Izet Sarajlic. Nato in Bosnia nel 1930 morì a Sarajevo nel 2002. Era molto famoso sia in Jugoslavia che nei paesi del Patto di Varsavia: pare che la gente recitasse i suoi versi a memoria.
Nulla mi era impossibile finché tu eri con me,
avrei potuto anche volare nel cielo di Sarajevo
come dipinto da Chagall. E' strano che la polizia non mi abbia mai arrestato per turbativa dell'ordine pubblico.
I poliziotti dovevano essere anch'essi innamorati
Era un intellettuale, camminava rasente ai muri di Sarajevo quando i cecchini dal cimitero ebraico sparavano sulla città in cambio di cento marchi per ogni persona uccisa. Era un intellettuale, stava in fila per l’acqua o per il pane, e restava dov'era il suo posto: nella sua città, a condividere la storia della sua gente. Avrebbe potuto fuggire dalla città assediata, ma rimase.
Rimase come Vedran Smailovic che durante l'assedio della città di Sarajevo, dopo che un colpo di mortaio aveva colpito la gente in fila per acquistare il pane, uccidendo 22 decise di scendere in strada, sedersi sulla voragine, e nel silenzio dell'assedio, suonare l'Adagio Albinoni per 22 giorni di seguito.
Mi piace definire entrambi gli artisti due rivoluzionari.
Il libro di Laura Guercio “La toga, il contratto e il violino” (ed Augh!) si rifà proprio a quella guerra e a quegli anni raccontando di tre sconosciuti che s’incontrano all’aeroporto di Vienna: Mihaj giovane avvocato di origini bosniache che si sta recando a Pristina, in Kosovo, per concludere un contratto decisivo per la sua carriera, Chiara, giovane violoncellista che deve raggiungere il Centro della Memoria di Sarajevo per la cerimonia d’inaugurazione il cui ospite d’onore è un giudice del Tribunale penale internazionale per i crimini nella ex Jugoslavia, che le siede accanto.
Voglio entrare nel vivo del romanzo di Laura Guercio prendendo spunto proprio dal titolo perché rivoluzionario è l'aggettivo che mi viene in mente quando penso alla figura del giudice in questo romanzo.
Rivoluzionario è una parola con un senso nobile che evoca il coraggio di rischiare, di mettere in gioco la propria vita e di pensare di cambiare il mondo e di misurare le proprie idee tra le persone con cui vivi.
La nobiltà di chi rimane fedele ai suoi ideali senza irrigidirli in un'ideologia. E che cerca modi nuovi diversi per incarnare quegli ideali, modi attenti alle esigenze dell’ora, alle sofferenze vere del presente, nel suo orizzonte più largo come in quello più vicino.
Chi crede nella giustizia deve trovare argomenti alla speranza di realizzarle almeno un po’ queste cose invisibili, una vita che valga la pena di vivere per tutti e non solo per pochi, una chance di felicità anche e soprattutto per i più giovani, la speranza per quelli che verranno.
Dice il giudice rispondendo ad una domanda sulla giustizia giusta
“anni di processi per la ex Jugoslavia mi hanno fatto riflettere su quanto sia stato più che necessario direi dovuto, porre un punto finale per l'accertamento e la condanna dei fatti storici. Ma se non si crede che questo passaggio giudiziale del passato sia anche un elemento che contribuisce a ricomporre l'anima di una società dovremmo concludere che il nostro lavoro di giuristi è un lavoro morto che non ha alcuna utilità per il presente e per il futuro”
Ed ecco che parlando di giustizia si passa facilmente al secondo personaggio il giovane avvocato Mihaj.
Ma questo personaggio del libro che nel titolo viene evocato con la parola contratto per me si identifica col ricordo, la memoria.
Memoria e ricordo sono due vocaboli di significato analogo e tuttavia diversi.
Ricordo deriva invece dal latino “re-cordor” e significa “richiamare al cuore”: è quindi un termine attinente al campo dei sentimenti più che della ragione, ed è decisamente più soggettivo; implica inoltre una sorta di filtro, in base al quale alcune esperienze del passato riaffiorano quando meno ce l’aspettiamo, per un profumo, una canzone, uno scorcio di un panorama. Ti ricordi quando giocavamo, ti ricordi quel sapore, ti ricordi il primo bacio...
“La vita non è quella che si è vissuta”, dice Gabriel Garcia Marquez, “ma quella che si ricorda e come si ricorda per raccontarla”.
Ed ecco che in visita a Sarajevo mentre va a spasso nella sua città natale così a lungo dimenticata, perché arrivato da piccolo con i genitori a Monaco di Baviera, riaffiorano i ricordi dell'infanzia di Mihaj: il nonno che lo accompagnava a giocare a calcio, la pasticceria con i dolci di zucchero e cocco, i suoi giochi da bambino, mentre i genitori sedevano davanti al camino.
Ma è durante il concerto di inaugurazione del Centro per la memoria di Sarajevo che gli ritornano in mente i momenti difficili e terribili dell'attraversamento del tunnel che li avrebbe portati alla libertà. I ricordi di Mihaj riaffiorano con la musica potente dell'Adagio di Albinoni:
“gli ritornarono nitide le immagini di quella notte quando in braccio a suo padre e con sua madre che di dietro li seguiva percorsero quel tunnel che separava la vita dalla morte”.
La memoria però è qualcosa di diverso. La parola viene dal greco ‘”mimnésco”, indica un’attività della mente collegata ad un valore anche etico: la facoltà di mantenere in vita i contenuti del passato.
E proprio mentre passeggia per Sarajevo Mihaj vede dei fori circondati di resina rossa: nell'asfalto, accanto ai negozi e ai tavolini dei bar, sui muri degli edifici. Sono le rose di Sarajevo:
“Sono più di un ricordo, pensò, sono un monito all'uomo a non ripetere gli stessi errori”.
Sono un monito a non dimenticare, perché non accada mai più.
NUNCA MAS, mai più, dicono gli argentini ripensando alla dittatura di Videla degli anni '70.
Ecco che il ricordo diventa memoria, memoria collettiva, memoria civica.
Esiste nella tradizione classica una Musa della Memoria, chiamata Mnemosyne, che è nota come madre delle nove muse, come a intendere che le arti hanno il compito di perpetuare la bellezza nel tempo. E la bellezza ci porta direttamente alla terza parola del titolo: il violoncello e al personaggio di Chiara che rappresenta la musica, la cultura, la bellezza.
La bellezza, la cultura, la conoscenza servono anche a dare spazio alla creatività e alla libera espressività, per essere, divenire e agire da cittadine/i responsabili, per una cittadinanza attiva. Per dare l'opportunità a chi lo desidera di cambiare direzione alla propria vita e costruire un futuro più vivibile.
La criminalità perde dove germogliano bellezza e conoscenza.
Ecco i tre archetipi del titolo: la giustizia, la memoria, la bellezza.
Ma niente di tutto questo sarebbe stato possibile senza un deus ex machina o meglio senza una dea ex machina. E mi piace pensare che l'autrice non l'abbia deciso a caso.
Il quarto personaggio è Angela Visconti, una giovane avvocata impegnata con una ong a Pristina per lavorare ad un rapporto sul crimine transnazionale in Kossovo.
Angela rappresenta il libero arbitrio, rappresenta ognuno di noi che sceglie di agire e di fare la cosa giusta. Rappresenta chi si sporca le mani, chi lascia l'agio, la vita sicura l'impiego prestigioso per l'incerto, il difficile, il pericoloso.
“prima lavoravo in un ministero in Italia, ma il mio capo diretto era uno che si è rivelato professionalmente incapace e umanamente misero.” (a quante di noi è capitato di incontrare un capo così) “non vi è nulla di più bello della libertà. Certo costa...ma le soddisfazioni di essere indipendente sono impagabili”.
E sarà proprio lei a dare la spinta, lo spunto e la conoscenza di come stanno realmente le cose, a Mihaj che partirà per Sarajevo per ritrovare se stesso, la sua città natale, l'amore.
Un romanzo, quello di Laura Guercio, che inneggia quindi all'amore: per la bellezza, per la giustizia, per il ricordo e la memoria, per il rispetto di se stessi e degli altri, per l'umanità dolente, per la pace, per il proprio Paese, per un uomo o una donna.
Voglio allora terminare con una poesia di Izet Sarajlic, il poeta bosniaco dell'amore che ha cantato l'amore per la sua città Sarajevo e l'amore per una e una sola donna: sua moglie.
Guardavo passarmi davanti le donne,
le presenti e le future,
i paesaggi
e i pali del telegrafo,
ho visto il giorno e la notte
succedersi in silenzio.
Scenderò giù a qualche stazione
pazzo di questi mutamenti di colori e linee
per comunicarti
che al cinquecentesimo chilometro dell’amore
ti amavo esattamente come al primo.
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