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Il Labirinto degli Avatar, il libro di Sabrina Gasparini. Intervista all'autrice

Il Labirinto degli Avatar, il libro di Sabrina Gasparini. Intervista all'autrice

In uno scenario dominato dalla strenua ricerca di fonti energetiche saranno quattro giovani nel 2030 a riscattare il destino dei loro coetanei sottomessi al volere del Grande Motore di Ricerca. Un libro per i ragazzi e per gli adulti

Venerdi, 31/05/2024 -

Educatrice, pedagogista e scrittrice, Sabrina Gasparini ha recentemente pubblicato “Il Labirinto degli Avatar” (ed Ferrari), un fantasy in chiave filosofica che fornisce molti spunti di riflessione sulla condizione socio economica del nostro tempo. In uno scenario dominato dalla strenua ricerca di fonti energetiche saranno quattro giovani nel 2030 a riscattare il destino dei loro coetanei sottomessi al volere del Grande Motore di Ricerca. Il libro, pensato per i ragazzi, ha il pregio di fornire anche agli adulti suggerimenti per ragionare sui valori da trasmettere per costruire una società più giusta e umana.
Obiettivo del romanzo è “dimostrare che il pensiero critico è necessario per formare cittadini partecipi e attivi, capaci di superare la pericolosa indifferenza verso le questioni etiche, atteggiamento che attraversa oggi tutte le generazioni”.  Abbiamo intervistato l’autrice per comprendere alcuni aspetti del libro.
 

Tra i temi che affronta, c’è quello della relazione tra uomo, natura e tecnologia. In che modo?
Il romanzo è attraversato dalla dicotomia uomo-natura, intesa come prevaricazione dell’essere umano sull’ambiente nella ricerca continua di risorse energetiche, e uomo-tecnologia, ossia il complesso insieme di strumenti che hanno permesso innovazione scientifica ma che, riflettendo sull’uso dei social e dello smartphone, hanno diminuito la capacità reattiva delle nostre menti. I giovani subiscono le maggiori conseguenze a livello emotivo e cognitivo. Pensiamo agli studenti: disattenzione, indifferenza, bisogno di mostrarsi quanto di nascondersi, percezione dell’inadeguatezza rispetto a canoni estetici e di eccellenza gestiti dai mass media, sono solo alcuni dei segnali di disagio che dovrebbero farci riflettere. Inoltre, come racconto nel libro, i “covidiani” (la generazione della Pandemia) rimangono indifesi bersagli di una pubblicità che invade il web con i volti di opinionisti e venditori di sogni: la conoscenza non è più dialogo aperto, bensì un prodotto misurabile in like e follower. E questo ci rende docili cittadini da manipolare (non a caso nel libro ho citato Huxley!).

Lei usa il libro in occasione dei laboratori che tiene nelle scuole o comunque tra i giovani? Quali reazioni registra? Parlando del Labirinto nei percorsi di educazione civica, ho constatato il risveglio dell’attenzione e del dibattito. Dopo un fisiologico iniziale silenzio, le tematiche sfidanti del romanzo stimolano discussioni inerenti alla sfera personale dei partecipanti.  Ovviamente ognuno di noi ha credenze ed opinioni che provengono dal contesto sociale e che, spesso, considera vere proprio perché acquisite come dati di fatto. La storia narrata nel libro, invece, mette in discussione quello che i giovani assumono per veritiero senza giudicarlo criticamente. Intendo quell’insieme di stereotipi legati a parole come ambiente, violenza, donna, genere, rifugiato, mai spiegate integralmente. Quelle stesse parole svincolate dagli slogan dei mass media e inserite in un contesto articolato, quale un libro o un dialogo aperto e in tutte le forme artistiche, espandono il loro significato e consentono ai giovani di pensare il mondo diversamente. “Non voglio più essere una passiva spettatrice!”, dichiara una delle protagoniste del libro e aggiunge, “Sono stanca del video game della mia vita”.  

Questo libro sta riscuotendo successo anche tra i lettori adulti. Era sua intenzione mettere in crisi perfino loro?
Anche gli adulti cercano d’immergersi nel labirinto, sebbeneal primo impatto si sentano perduti più dei giovani. Infatti questi ultimi non temono l’azione e la reazione alle ingiustizie sociali, perché vogliono cambiare il mondo.Noi adulti, al contrario, sembra chenonabbiamo il tempo per fermarci a riflettere e, quando lo troviamo, lo usiamo edonisticamente per liberarci dalle ansie quotidiane. ‘Il labirinto di Evelyn’, invece, costringe il lettore a pensare criticamente la realtà, sebbene proprio utilizzando degli avatar!  

I protagonisti femminili sono molti. Perché?
La figura della filosofa Evelyn Fanter Gulack domina la scena. “La burattinaia di uomini e avatar” rappresenta la forza e la tenacia con cui le donne lottano per l’emancipazione e la libera scelta. Non potevo che lasciare a lei, dal futuro distopico del 2353 DC, il compito di ridare vita alla natura attraverso un labirinto spazio-temporale costruito per rispondere a quesiti che ho immaginato solo una donna-filosofa potesse affrontare: “Che cosa s’intende per bene comune? Che cosa accade se rinunciamo al bene di un singolo, magari diverso e fragile, per il bene degli altri?”. Insomma, “Che cosa significa una libertà entro i limiti umani e dell’ecosistema stesso?”. Non poteva che spettare a Evelyn tale fardello conoscitivo ed emotivo. I personaggi femminili del libro vogliono opporsi alle ideologie dominanti. “Dove si smaltiscono le armi?” chiede coraggiosamente Teresa, la giovane protagonista del 2023 che ha vissuto la Pandemia e non vuole più pensare tramite le opinioni propagandate nei social, al suo professore di scienze. Poi ci sono Irene, Tera, la prof.ssa Carroll…Sì, direi che le donne sono le mie protagoniste, sebbene abbiano compagni di avventura maschi altrettanto interessanti.

La natura e l’arte attraversano il racconto. Perché questa scelta?
La natura è il centro del racconto perché nel descrivere il rapporto dell’uomo con l’ambiente, ho voluto mettere in evidenza come l’atteggiamento depredante del nostro millennio si ripresenti nel futuro attraverso lo sfruttamento doloroso delle piante, che nel libro hanno un’anima senziente capace di comunicare con Evelyn quanto con il mondo del 2030. Mi piaceva l’idea che l’obiettivo del gioco di Evelyn, la libertà delle piante dall’uomo, significasse la possibilità per gli individui di comprendere la “natura” attraverso una riflessione profonda sulla “propria natura”. Per questo il libro racconta di un labirinto immaginario attraverso un labirinto di giochi linguistici, che esprimono la ricchezza del pensiero nei limiti della sintassi. E confermo che la narrazione rappresenta un elogio e un omaggio all’arte in ogni sua forma. Nel mondo distopico di Evelyn l’arte è stata abolita perché portatrice dell’inaspettato, del cambiamento, della riflessione autonoma. Questo ha reso gli uomini deboli e passivi. Per contrappasso, la natura è diventata un’anima senziente capace d’immaginazione e di ribellione al potere massificante. Sento profondamente la mancanza del senso artistico che trasfigura il mondo in mille sfaccettature, perché rappresenta una forma di libertà che non ha eguali. Per questo ringrazio l’illustratore della copertina, apprezzata moltissimo per lo stile unico e accattivante, Mauro Calibani, avendo dato forma e colore alla complessità del mio labirinto.

Intervista a cura di Ivana Carpanelli


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