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Il coraggio verrà di Sara Poma

Il coraggio verrà di Sara Poma

La profonda spiritualità di Maria Silvia Spolato, una delle creature più misteriose del movimento dei diritti LGBTQ del secolo scorso. Morta sola e dimenticata in un ospizio nel 2018

Lunedi, 20/03/2023 -

Sara Poma, con il libro Il coraggio verrà, HarperCollins, si discosta dalla forma romanzo tradizionale. La scrittrice pavese, infatti, attraverso una narrazione sospesa tra il saggio e il romanzo, riflette sulla vita, gli amori, le scelte di Maria Silvia Spolato, la prima donna a fare coming out, durante la manifestazione dell’8 marzo 1972, a Campo de' Fiori a Roma. Fino a quel momento non c’era mai stato nessun comitato, nessuna presenza organizzata che rappresentassero le lesbiche in Italia.

Sara Poma non si limita a raccontarne o romanzarne la vita, ma intreccia un fitto dialogo dove da una parte c’è la ragazza Maria Silvia che “nel 1972, a trentasette anni, compiendo un atto politico rivoluzionario innesca una rivolta contro l’emarginazione e il silenzio come unico antidoto per sopravvivere” alla propria omosessualità e l’altra è la scrittrice stessa. Ma attenzione, c’è a ben vedere molto poco dell’autrice stessa. Sara Poma racconta e riflette sulla donna e sulla scrittrice che è, oltrepassando l’autobiografia. Nell’io, in quell’io potente che emerge in più punti, l’autrice racconta la sua esperienza di donna lesbica, in cui molte sicuramente si riconosceranno. Per gradi, infatti, in Il coraggio verrà Poma effettua un processo di mimesi letteraria che la porta a proiettare la vita della giovane attivista sulla propria e a specchiarsi in lei. “Nella ricerca spasmodica di correlazioni fra me e la mia protagonista, c’è un indizio che mi fa pensare che Maria Silvia ed io possiamo aver vissuto questa specie di devastante, ostile tristezza nello stesso momento  della vita, durante i trentotto anni”, annota l'autrice. 

Nodo della storia della donna e dell’attivista, matematica, insegnante e giornalista Maria Silvia Spolato è la scelta di dare voce a un mondo che in Italia non sembra esistere: una donna si può innamorare solo di un uomo, non di un’altra donna. Dare voce significa non solo raccontare il dramma di chi voce non ha avuto, ma anche criticare l’idea che esisteva in quel momento in Italia riguardo all’omosessualità maschile e femminile.

Leggendo la storia di Maria Silvia Spolato si rimane interdetti a constatare come gli psicologi e gli psichiatri ritenessero non solo l’omosessualità una malattia da curare, ma come fossero arrogantemente convinti che ci fosse una terapia molto invasiva, peraltro che avrebbe restituito loro una natura eterosessuale. E come ci fosse alcuna volontà dei medici di ascoltare la voce dei ‘pazienti’, per cercare di trovare un senso alle diverse storie di persone omosessuali. Nel libro si racconta anche della Milano di Giò Stajano, delle prime riviste per gay e dei primi bar ‘di genere’ che aprono. Nel resto dell’Italia, il silenzio. Il silenzio di una legislazione, il silenzio delle vite, il silenzio dell’opinione pubblica.

Poi, ovviamente, ci sono alcuni articoli di alcuni giornali come Il Tempo o Panorama che invece di comprendere e indagare, o quanto meno riportare, una parte della realtà, la rendono grottesca e la irridono. Parlano di terzo sesso. E quello che scrivono è più per ironizzare su delle scelte di vita, che per comprenderne il senso.

Della vita della giovane attivista rimane ben poco: le persone che l’hanno conosciuta non parlano o sono morte, i pochi che hanno vissuto quel periodo non la ricordano bene. Maria Silvia Spolato dopo aver fondato il movimento Fronte Liberazione omosessuale (F.L.O.), dopo aver avuto una vita complicata alle spalle una famiglia di provincia benestante che non tollera l’omosessualità della figlia, una laurea in scienze matematiche, alcuni anni trascorsi alla Pirelli, il superamento di un concorso alle superiori, in quello che definisce come villaggio, il suo declassamento a insegnante delle medie alla periferia di Roma, alcuni viaggi in Olanda  si chiude “in un progressivo silenzio decide di andarsene e di isolarsi perché aveva un’anima raminga”. Di lei rimane poco. Qualche traccia, qualche scritto. È come se a Maria Silvia Spolato spettasse il bisogno di scomparire, consapevole che le sue parole, ciò per cui voleva lottare, era destinato a rimanere nell’ombra. Così l’attivista si sente in dovere di soffrire come le tante persone attorno a lei che amano, ma non vengono considerate da nessuno. Così il bisogno di aderire alla sofferenza dell’altro e di soccombere al silenzio viene da sé. Dal non essere considerata, se non dal Movimento Femminista di Via della Longara di Roma. Per poi lasciarsi andare.

Perso il posto come insegnante, una vita sentimentale forse non all’altezza delle aspettative, devono aver minato un equilibrio già precario. Cosa ci può essere di più dolente di non essere riconosciuti legalmente, tutelati e considerati? Maria Silvia Spolato inizia una vita nell’ombra che la porta verso il baratro: inizia a trascorrere le giornate sui treni che la portano da Roma a Bolzano e da Bolzano a Roma, città nelle quali si ferma per poche ore. Finirà la sua vita in uno ospizio. E morirà dimenticata dai più nel 2018.

Maria Silvia non è mai raccontata vittima, ma una persona responsabile che sceglie. Colpevole semmai è la società italiana nella figura del Preside e delle autorità scolastiche che la discriminano in modo più o meno palese. In quel periodo che è stato il Boom economico e l’affrancamento dal mondo contadino. Oltre la morale cattolica, che non intende considerare i fatti reali: la possibilità delle donne di amare altre donne.

Maria Silvia Spolato sceglie di non salvarsi. Sceglie di non lottare più e di essere quella donna un po’ stramba che va in giro con troppi libri nella sporta ed essere vista come una minaccia dai baristi, da chi aspetta in banchina, da chi è di passaggio. Passare la vita in quei non luoghi le stazioni, i treni, le biblioteche diventa l’unico modo per vivere al sicuro da sguardi indiscreti e moralistici. Probabilmente a leggere e a soffrire come soffrono tutti coloro che non hanno la possibilità di esprimere le proprie idee. E vivere serenamente la propria vita.

Maria Silvia Spolato non è descritta come un’eroina. O una santa martire. È una donna, complessa, da un animo passionale e turbolento, è una donna della fine del Novecento, in cerca di un diverso modo di stare al mondo. Che si interroga sul senso del mondo, dell’esistenza e di ciò che vuole essere.

Il coraggio verrà più che essere una biografia di Maria Silvia Spolato che Poma descrive attingendo a ritagli e frammenti di giornali è uno scavare nel vuoto e nel silenzio. C’è il racconto della provincia, dalla quale fugge. Dal pensiero borghese dei genitori che nonvogliono (e che si vergognano, anche) della consapevolezza di sé della figlia. C’è Frascati, luogo in cui viene mandata a insegnare, dopo aver vinto il concorso, che è ai suoi occhi un luogo ostile. Nel bar della città ha un litigio con alcuni ragazzotti del luogo che la disprezzano per i suoi modi di donna omosessuale. Tra il 1970 e 1971 viene in contatto con il movimento di liberalizzazione dei diritti omosessuali, scrive alcuni articoli per la rivista F.U.O.R.I., nel 1971 è in Olanda, per conoscere quale sia la situazione nei paesi europei. Nel 1972 la foto che la ritrae a Campo de' Fiori durante una manifestazione femminista per l’8 marzo. Specchiandosi nella vita di quella ragazza dai capelli e dall'anima arruffata, Poma incrocia alcuni suoi ricordi con le memorie di letture e incontri, reali o solo letterari, con grandi personaggi della letteratura, come Simone de Beauvoir o Dacia Maraini, che in quegli anni ha conosciuto la donna, ma non l’ha frequentata così assiduamente.

Poma racconta la forza della donna, contro i divieti sociali e sostiene che per Maria Silvia la vita è e continua a essere fino alla fine grande e buona e attraente e eterna. E sembra che quest’idea resista anche nei momenti più bui della sua vecchiaia nell’ospizio.

Con questo affascinante, quanto insolito escamotage narrativo, l'esistenza e la profonda spiritualità di una delle creature più misteriose del movimento dei diritti LGBTQ del secolo scorso vengono così raccontate fino a entrare nella mente e nelle scelte. Sara Poma permette di comprendere meglio non solo la storia, ma anche la scelta di una vita. Con uno stile asciutto e con una forte capacità d’inventiva.


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