Nel libro di Maria Vittoria Vittori edito da Iacobelli sette storie di libertà e di coraggio
Il mondo del circo è allo stesso tempo incantato e durissimo, proprio perché non c’è libertà senza coraggio. Il libro ce lo racconta attraverso sette storie, molte di donne ma non solo, alcune di personaggi celebri, come Charlot o Moira Orfei, ma non solo. L’originalità dell’approccio scelto dall’autrice, insegnante e critica letteraria, consiste nell’evidenziare il rapporto da lei stessa vissuto addirittura come «simbiotico» fra il mondo del circo e quello della letteratura – due mondi che hanno in comune di modificare o anche di rovesciare la nostra visione convenzionale della realtà.
Le personagge e i personaggi del libro sono personagge e personaggi di altri libri, sono anche coloro che quegli altri libri li hanno scritti, e così l’autrice ci trascina in un gioco di specchi dove la passione del circo emana sia da chi vive la vita in pista sia da chi quella vita l’ha fatta sua raccontandola, pur non vivendola personalmente. Ad esempio Contessa Lara, eccentrica scrittrice e cronista culturale chiacchierata della Roma umbertina, che nel romanzo L’innamorata ci narra la storia di una cavallerizza : mestiere che a quei tempi, declinato al femminile, accendeva perturbanti fantasie nell’immaginario collettivo.
Il libro comporta alcune illustrazioni, ma l’immagine più impressionante, l’immagine che permane nella mente anche molto tempo dopo la fine della lettura sorge dalle parole di una bambina che sera dopo sera ha visto la propria madre appesa per i capelli in cima al tendone. La bambina, diventata poi scrittrice col nome di Aglaja Veteranyi, è nata a Bucarest nel 1962. Ha seguito i genitori acrobati, che hanno fatto carriera in seno al celebre circo svizzero Knie, e anche lei, da adolescente, si è esibita; ma la sua scelta di vita è stata un’altra, quella della scrittura. E il titolo del libro che l’ha resa nota, Perché il bambino cuoce nella polenta, riassume tragicamente il misto di fantasia e di crudeltà della storia di una famiglia circense da lei prima vissuta e poi raccontata.
Il libro di Maria Vittoria Vittori, di dimensioni e di stile che rendono la lettura agevole, è tuttavia molto denso di idee, protagonisti, vicende, informazioni storiche sulle origini del circo come espressione culturale, testi teorici che ne illuminano i molteplici significati. Particolarmente interessante è la problematica della mostruosità, emblematica di un tipo di spettacolo che per definizione confronta spettatrici e spettatori ai più svariati rappresentanti di una umanità diversa dalla loro. Diversa non solo per il comportamento e lo stile di vita ma anche, talvolta, per il corpo anomalo, ambiguo come quello della (o del) trapezista Fevvers nel romanzo Notti al circo di Angela Carter; un corpo di cui non si sa bene non solo se sia femminile o maschile (e al giorno d’oggi sappiamo che non è per forza necessario decidere), ma nemmeno (e qui l’ambiguità rimane sconcertante) se sia veramente un corpo umano, con la sua straordinaria capacità di volare come un uccello.
Prodigi della natura, che suscitano allo stesso tempo attrazione e repulsione. Vengono designati col termine freaks, e secondo la filosofa Rosi Braidotti ci invitano a rinnovare radicalmente il pensiero della differenza. Rimane però un malessere. I prodigi della natura sono anche i fenomeni da baraccone che al circo e altrove sono stati per tanto tempo esposti e umiliati: la donna più grassa del mondo, l’uomo che mangia di tutto, anche cibo non commestibile… Li troviamo nel romanzo Mi chiedo quando ti mancherò di Amanda Davis, che vuole vedere nel circo uno spazio di emancipazione dal giudizio altrui, di ricostruzione di se stessi, insomma il contrario di una fabbrica di vittime. Ma il mondo di fuori, andrebbe detto, rimane quello che è sempre stato, spietatamente normativo, forse ancora di più oggi che nel passato, con la complicità dei social.
*Maria Vittoria Vittori, "La rivoluzione in pista. Storie di donne, circo e libertà" (Iacobelli editore, 2022, 139 p.).
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