Pubblicato con le Edizioni ARTECOM-onlus il poemetto in lingua italiana e romena
L’effimero non è il nulla e l’annientamento che, nel Novecento della letteratura e delle arti, hanno occluso ogni attesa e illusione e speranza. L’effimero ha una sua durata, quella di un solo giorno, ma il giorno – come per il “carpe diem” oraziano – può equivalere all’eterno se vissuto nella sua pienezza che è insieme stupore e terrore, ebbrezza e disperazione. E la poesia, parola chiamata per durare, dell’effimero fa pietra incisa, soffio mutato in accento.
Eugenia Serafini non rifugge l’effimero se lo accoglie nel canto e, dunque, lo elogia, lo ferma, lo scandaglia, lo intona. E dove lo smembra fino al bisillabo, dove lo allude nel segno veloce o in uno stormo irrequieto , che altro fa se non toccarne la brevità e l’incompiutezza in questa fermandosi, e placa l’ansia nemmeno nominandola?
In un tale effimero e nella sua attentata leggerezza si muovono e si pronunciano i momenti dell’esistenza, lacerti di verità accostate. Così la pena e l’allegria, il bisogno d’amore e la sua perdita, il dubbio che consuma e il desiderio che non s’arrende, il pensiero della morte e i meandri della memoria s’intrecciano e si alternano nei versi brevi, nelle frasi in corsa per declivi di inchiostro sottile, dietro cancellature che lasciano trapelare il negato e l’incauto.
Se tutto di questo libro è un viaggio, anche un trascorrere interiore di continuo segnato da una quotidianità cercata, in ogni frase e foglio la grazia e la tenerezza, la nostalgia e il rimpianto si elidono tutti in un vagheggiare di velata melanconia. (< Lascia che torni / un effimero lieve / memoria di affetti / Infantili / lascia che mi abbracci / mi avvolga in / dolci carezze e / baci di madre / di padre / lascia che torni in / effimero gioco.>) E tutto perviene a un segno corto e conciso che rappresenta uno stare.
L’epigrafe di Peter Handke, posta ad apertura del libro, dichiara:< La durata è il mio riscatto, mi lascia andare ed essere.> Dunque, questo durare è fuori delle misure conclamate, fuori delle pretese e delle paure; e l’effimero, vacillante sul baratro, s’apre sul vuoto e respira.
ELIO PECORA
febbraio 2013
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