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Identità, genere, linguaggio

Identità, genere, linguaggio

Attenzione al dilemma femminismo - transfemminismo. Il vero problema è ancora il patriarcato e gli artigli acuminati e potenti dei suoi meccanismi di assimilazione

Martedi, 18/01/2022 - Spinta dal desiderio di capire, mi pongo e pongo una domanda su una questione che si è affacciata con forza come elemento divisivo nel dibattito politico e che sta generando aspri conflitti anche all’interno del femminismo: cosa vuol dire identità di genere? A me, non so se sbaglio, questa espressione al primo impatto mi appare un ossimoro. Se infatti noi donne, in una ricerca ancora in parte incompiuta, siamo da tempo impegnate a smontare pezzo per pezzo il genere imposto dal patriarcato, come è possibile collegarlo all’identità, termine che richiama a qualcosa di definito e definibile? Il genere inoltre, come è noto, è da sempre associato al corpo sessuato, ma se il dato puramente biologico è oggi anch’esso rimesso in discussione dando vita ad una frammentazione molteplice di soggettività, che senso assume in questo nuovo contesto la parola identità?

Provo a delineare per sommi capi questa nostra contemporaneità che, sia pure in un clima di persistente violenza e discriminazioni, dentro un modello di sviluppo che tende a togliere libertà a tutte/i, è indubbiamente segnata dall’affermarsi di soggettività più libere ed autodeterminate. Rispetto al ruolo tradizionale noi donne in tante oggi esprimiamo modi inediti di esserlo; pur definendosi uomini non pochi stanno uscendo dal modello virilista e stanno provando a vivere la propria mascolinità in altre forme; liberato dall’obbligo all’eterosessualità, l’orientamento sessuale è vissuto con maggiore agio rispetto al passato. Ma c’è anche chi, e non solo a partire dal corpo, per vari motivi non si riconosce in una appartenenza al maschile o al femminile, trans-migra in soggettività nuove operando una radicale decostruzione del binarismo sessuale, uno sconfinamento tra i generi verso una molteplicità di opzioni identitarie rappresentate dal logo Lgtbq (lesbiche, gay, transessuali, bisessuali, queer+); andando oltre la definizione binaria del sesso, rifiuta quello attribuitogli/le alla nascita e legittimamente lotta per difendere libertà e diritti per sé. Negli ultimi decenni in vari luoghi il percorso del femminismo si è andato intrecciando con le lotte lgtbq+ ed è nato il Transfemminismo, un movimento trasnazionale che ha aperto uno scenario inedito molto più complesso. Il rischio a mio avviso è che porti in sé non poche confusioni sul concetto di libertà e metta in ombra il soggetto donna come significante primario e senza dubbio più destabilizzante di altri rispetto al dominio patriarcale ed etero patriarcale poiché, ricordiamolo, è proprio contro il corpo generativo femminile che gli uomini hanno ingaggiato quella lotta millenaria da cui ha preso forma ogni altra costruzione materiale e simbolica dell’alterità.

Un elemento di confusione attiene in primo luogo al linguaggio ed è su questo aspetto che intendo brevemente soffermarmi, a partire da me. Io sono certamente una donna, parola che ha subìto nel corso di due secoli una torsione semantica, un discostamento da un simbolico legato esclusivamente alla procreazione, alla soddisfazione del potere e piacere maschili e all’esclusione sociale, culturale e politica. Sono certamente una “persona assegnata femmina alla nascita”, così mi suggeriscono compagne transfemministe. Ma a questa condizione umana legata alla mia sessuazione biologica ho sempre dato il nome che dalla lingua italiana le è stato assegnato: donna. Donna è un termine che, come ho accennato, insieme a tante e nel corso di oltre due secoli ho riattraversato faticosamente e sottoposto ad una ridefinizione che ha inteso rovesciare il simbolico patriarcale che si porta dietro da millenni. Io oggi sono orgogliosa di essere e di definirmi una donna, cosa alquanto diversa, a livello corporeo, psicologico, sociale dal sentirsi una donna da parte di una persona assegnata maschio alla nascita. Sono convinta che le differenze, tutte, vadano accolte, rispettate, nominate; ogni scelta consapevole che porti il segno della libertà e della responsabilità è per me legittima. Non voglio perciò che il termine donna esca in modo improprio dal vocabolario. Quello che certamente va fatto è una iscrizione simbolica di queste nuove soggettività anche nel linguaggio affinché risulti il più possibile inclusivo. C’è bisogno di nuove nominazioni che comprendano tutte le differenze in cui si articolano i soggetti che siamo, ma, ripeto, alla parola donna, ormai liberata dalle gabbie identitarie patriarcali e risignificata io non intendo rinunciare. Come non intendo essere di nuovo cancellata da regole grammaticali sessiste e concettualmente sbagliate. La ricerca delle soluzioni giuste è opera complessa che ha bisogno di confronti sereni e di tempo, non di schieramenti e reciproche delegittimazioni.

A monte di questo mio ragionamento c’è, come potete capire, il dilemma femminismo - transfemminismo, questione su cui sono più volte intervenuta in Non Una di Meno (NUDM) Roma visto che, nato come movimento femminista, oggi NUDM si definisce anche transfemminista. Io, che ho partecipato dall’inizio con convinzione ed entusiasmo a questo straordinario e travolgente soggetto politico, ho difficoltà a seguirlo in questa nuova veste. Potrei definirmi transfemminista solo se volessi mettere al centro del mio femminismo in modo prioritario il superamento del binarismo sessuale eteropatriarcale. Ma non è così per me, non mi basterebbe, la mia storia politica dice altro. So che la più radicale scommessa del femminismo è non solo l’uscita dal binarismo sessuale, ma da tutto l’impianto binario del pensiero occidentale, dal suo modo contrappositivo e gerarchico di conoscere e costruire ogni alterità. Per questo dirmi femminista significa avere dentro di me un potenziale trasformativo universale, che vale per tutti e tutte, che mi assicura uno sradicamento profondo dal patriarcato e dai suoi danni, e non c’è bisogno di aggiungere altro. Come giustamente sostiene bell hooks “il femminismo è per tutti”, cioè per la liberazione di tutte/i per cui non può che essere intersezionale e dunque antisessista, anticlassista, antirazzista, antifascista, anticoloniale, antischiavista, anticapitalista, antispecista, ecologista… Né potrebbe mai essere omofobo né transfobico. Il femminismo per me resta la chiave di lettura di sé e del mondo più alternativa al sistema di dominio maschile, alla sua attuale veste neoliberista e ha ancora tanta strada da fare, viste le ostinate resistenze di fronte alla sua carica pacificamente rivoluzionaria.

Mi piacerebbe parlarne anche su queste pagine per cercare insieme nuove definizioni, nuove parole in fedeltà a ciò che sentiamo, che desideriamo e che siamo, in una dimensione soggettiva di autenticità. Ma occorre ragionare al di fuori di contrapposizioni sterili, in un reciproco ascolto, nella consapevolezza di quanto siano difficili, dolorose a volte, le nostre scelte di vita, accerchiate da un patriarcato che ha ancora artigli acuminati e potenti meccanismi di assimilazione.


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