Una mostra fotografica di Valter Darbe e un libro di Tiziana Montaldo raccontano la realtà delle vedove indiane. Visitabile a Torino fino al 26 settembre e poi a Firenze
Mercoledi, 02/10/2019 - Sulle pire bruciano i cadaveri in India e i resti dispersi, ma le fiamme non distruggono solo i corpi ma si portano via anche le vite e le identità delle mogli degli uomini morti.
Quarantadue milioni di donne indiane induiste hanno perso la loro identità così e il loro numero cresce di pari passo all’aumento dell’aspettativa di vita, all’inasprirsi dei conflitti, come in quello in Kashmir o del peggioramento delle condizioni di vita come per i contadini che si suicidano per lo scarso raccolto, i debiti. Se fino all’Ottocento, sulle pire venivano spinte o convinte a buttarsi tra le fiamme le mogli nel nome di “sati”, da due secoli perdura una pratica solo in apparenza meno inumana: “sati alive”.
È la lettura patriarcale delle scritture religiose ad avere inventato Sati alive. Che si traduce nel quotidiano in un lunghissimo elenco di prescrizioni: costrette ad abbandonare i saree, gli abiti tradizionali dai colori sgargianti e indossarne di cotone ruvido e bianco, simbolo della nullità, le vedove sono sottoposte a un elenco infinito di prescrizioni limitanti. Considerate portatrici di morte e di sfortuna, sono bandite da matrimoni, feste religiose e sociali, non possono ballare, cantare, truccarsi, portare ornamenti.
A questa storia poco conosciuta in Italia è dedicata la mostra “I was my husband" con gli scatti pluripremiati del fotografo Valter Darbe che restituiscono in bianco e nero tutta l’intensità del vissuto di queste donne. Accompagna l’esposizione il libro fotografico con i testi della giornalista Tiziana Montaldo.
“Ciò che più mi ha colpito – dice Tiziana Montaldo – è l’accanimento con il quale nel nome di una tradizione interiorizzata come non-discutibile, si infierisca su queste donne per cancellarne l’esistenza, da vive. Le vedove devono essere invisibili ovvero non-essere più”. Il progetto nasce da un viaggio nei diversi ashram, pubblici e privati, della città delle vedove di Vrindavan raccogliendo le storie di queste donne, e documentando le condizioni di come vivono. Un’occasione preziosa di incontrare anche persone straordinarie come Mohini Giri, candidata a Premio Nobel per la Pace, attivista, autrice di numerosi libri sul tema che si batte per il loro diritti da tutta la vita e per questo è stata insignita da numerosi premi internazionali e nazionali. La Giri è autrice della prefazione del libro e si dichiara ottimista: “La situazione delle vedove sta cambiando: oggi c’è più consapevolezza che non si tratta di offrire loro solo un tetto, un saree pulito, una ciotola di riso, ma di rispondere a bisogni complessi: le anziani hanno bisogno di cure sanitarie, di difficile accesso, di integratori e di tenere la mente impegnata per non pensare alla morte; le donne giovani non possono rimanere parcheggiate tutta la vita in un centro. Devono rifarsi una vita: studiare un mestiere, trovare un lavoro e cercare di risposarsi per rientrare nella società”. Nei suoi centri per questo ci sono corsi per infermiere, sartoria e informatica. Anche il governo e numerose associazioni e filantropi indiani si sono impegnati per migliorare la situazione fornendo assistenza, case di accoglienza. Ma la strada è in salita.
Nel paese di Bolliwood, dai grattacieli di nuovissimo design che spuntano dal giorno alla notte a Gurgaon, periferia in ascesa di Nuova Delhi, delle linee della metropolitana alimentate a pannelli solari, perdura una cultura per la quale l’indipendenza economica di una donna è difficile da accettare: le molestie sessuali sui posti di lavoro sono una realtà ma anche un ottimo pretesto per le famiglie dei mariti per impedire alle nuore di lavorare. Ma è la possibilità di un lavoro e di uno stipendio che minerebbe davvero dalle fondamenta la pratica di sati alive.
Eppure, “No women, no sexual harassment, no problems” tagliano corto ancora molte aziende. Tuttavia, le donne continuano a combattere per il loro diritto di far parte della società a pieno diritto. Da depositarie della tradizione sotto il colonialismo inglese, si stanno ritagliando un ruolo nella società del business pur con grande fatica. “Le donne unite in associazioni e movimenti si stanno battendo contro questa cultura patriarcale che vuole escludere le donne dalla società, relegandole ad una porzione di vita, quella di madri e di custodi della tradizione. La loro voce si sta facendo sempre più forte e sono sicura che fosse anche tra 30 anni – dice Mohini Giri – ce la faranno e con loro si emanciperanno, e di conseguenza anche le vedove”.
La mostra fotografica “I was my husband” è visitabile da Fine Art Images Gallery a Chieri (via San Giorgio 2) dall’ 11 al 26 ottobre; si sposterà poi a Firenze dal 22 novembre al 16 dicembre alla Biblioteca delle Oblate, in occasione della giornata internazionale contro la violenza sulle donne e a Milano.
Alcuni scatti esposti si sono aggiudicati i riconoscimenti dell’International Photo Award (IPA) di New York, Prix de la Photographie di Parigi e il Malta International Photo Award (MIPA).
Per saperne di più: https://www.fine-art-images.com/ oppure via email iwasmyhusband@gmail.com
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