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Grande Meraviglia di Viola Ardone

Grande Meraviglia di Viola Ardone

Viola Ardone continua a indagare gli umili e gli offesi dalla società col suo ultimo romanzo: Grande Meraviglia (Einaudi), in linea con Il treno dei bambini e con Oliva Denaro

Mercoledi, 15/11/2023 -

Ardone racconta il legame umano e la fatica di chi sceglie di prendersi cura dei più deboli e lo sforzo a chiarire il senso di un’esistenza. Fatta d’ascolto e d’amore. Incomprensibili come la pazzia.

Come negli altri romanzi l’universo narrativo unisce la prospettiva del singolo, il destino di dolore e di rinascita a un impegno civile, che l’autrice consegna ai suoi protagonisti. Oltre c’è ovviamente la Storia e la memoria comune e ricostruita, che va dal 1972 fino quasi ai nostri giorni. L'autrice procede all’indietro per rimontare i tasselli mancanti della vicenda, e poi va in avanti, fino a seguire le conseguenze del seme d’ingiustizia, quando Mutti, la madre della protagonista, venne allontanata dalla libertà col favore di una società feroce, e internata e costretta a restare fra quelle mura, pur di non perdere la figlia che ha voluto amato e partorito.

I manicomi che dovrebbero essere chiusi, dalla legge di Franco Basaglia, sono ancora lì. La legge ne vieta l’esistenza, ma Elba, la giovanissima protagonista di questa storia, allevata dietro le sbarre continua ad aggirarsi fra le mura dei reparti. Tra quelle mura, esistono ancora l’elettroshock selvaggio, le camicie di forza, il coma insulinico, le contenzioni meccaniche praticate in modo prolungato. Elba vede tutto sa e capisce bene quello che vede. Il motivo della sua presenza è dovuto alla colpa della madre: i medici pensano che, come sua madre, anche lei, da grande, sarà un’adultera e come tale deve ‘essere curata’.

Elba non ha mai visto ciò che vive oltre i cancelli del manicomio, che peraltro lei chiama 'casa'. Anche se come tutti la ragazzina sogna la libertà, ma la paura, di ciò che c’è fuori, la ferma. Non si allontana. Sa che non saprebbe dove andare.

La vita scorre in giornate tutte uguali. Se la vecchia psichiatria e la burocrazia ad essa legata hanno deciso di toglierle tutto, ad Elba rimane la possibilità di immaginare e di raccontarsi il mondo. Di inventarlo. Elba usa un suo lessico segreto. Per dare un senso a quella monotonia Elba inventa in versi dalla rima baciata, filastrocche che restituiscono con il cinismo un destino segnato per sempre attraverso liriche sghembe e infantile, ma non per questo meno struggenti. Sul «Diario dei malanni di mente», Elba appunta pensieri, impressioni e regole di vita, ma anche i fatti del giorno e le disavventure delle malate. E 'nel suo diario' scrive le diagnosi delle malate.

Il manicomio lo chiama, infatti, il ‘mezzo mondo’; dà nomi a tutti i pazienti e ai medici, pensa alle diagnosi si costruisce una verità alternativa alle brutture del manicomio. 

Ecco, allora, comparire Colapesce e Lampadina, i medici del reparto, Gilette, l'infermiera, e Nana, un cane inconsolabile che ha perso i propri cuccioli.

La lingua, che Viola Ardone sceglie e usa, infonde grazia e spensieratezza anche là dove non ce ne sono.

Le cose cambiano quando arriva nel reparto il dottor Meraviglia, che si mette in testa di rispettare la legge e di tirare Elba fuori di lì. Questo permette alla ragazzina, per la prima volta, di uscire dal manicomio e di trovarsi in mezzo agli altri, in una casa borghese che le appare sconfinata. E di essere, finalmente, in una famiglia. Il dottore, infatti, ha deciso adottarla. Così facendo il dottore s’illude di darle una possibilità. In realtà vuole solo riscattarsi: prendersi cura di lei significa fare quello che non ha fatto con i suoi figli: prendersene cura. Il medico sogna un futuro di ricompense per Elba. Quello che il dottore non comprende, però, è che Elba cerca Mutti, sua madre, internata perché adultera e adesso ridotta a un corpo esile senza memoria. Così Viola Ardone finisce per raccontare il singolo personaggio e la storia di un passato che non può trovare alcuna pace.

Ma il romanzo tratta anche lo slancio politico, da una parte, e le disillusioni personali, dall’altra. La politica e le disillusioni si mescolano, come nei romanzi precedenti di Ardone, per ricomporre una storia, quella di Elba, nella complessità del tempo e di epoche diverse con le loro ingiustizie. Ma anche quella dello psichiatra. Da giovane, il dottor Meraviglia ha lottato nelle fila della Psichiatria democratica, è stato legato ai Radicali e in difesa delle sue idee si è fatto perfino la galera. È stato uno psicoterapeuta pieno di speranze, prima che lo sguardo dell’autrice lo riconsegni vecchio e malconcio, con una famiglia disgregata, e l’incedere inarrestabile della malattia, ai lettori. «Questa è la verità. L’infelicità degli altri, alla fine, ti entra nella radice dei capelli, si insinua sotto le unghie, è un tartaro che si incrosta tra denti e gengive, resistente come il calcare sulle fughe delle mattonelle del bagno, a lungo andare ti consuma fino a farti sanguinare i pensieri», dice a un certo punto il dottor Meraviglia. Una frase importante che concentra tutta l'essenza della sua esistenza. E racconta ciò che resta: il legame umano fra chi è nella condizione di salvare l’altro e la vittima che viene tratta in salvo. Nella fatica di chi sceglie di prendersi cura dei più deboli, resta la consapevolezza che è questo sforzo a chiarire il senso di un’esistenza, fatta d’ascolto e d’amore, incomprensibile come la pazzia.


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