Giustizia e bioetica: uno sguardo lungo verso il futuro del pianeta e degli umani
In arrivo la quinta edizione del Festival di Bioetica (Santa Margherita Ligure, 22-23 agosto 2021). Intervista a Luisella Battaglia
Martedi, 20/07/2021 - Torna, il 22 e 23 agosto 2021 a Santa Margherita Ligure, il Festival di Bioetica centrando l’attenzione sul tema della Giustizia con osservazioni espresse da vari punti di vista. Sui contenuti dell’evento abbiamo interpellato la prof.ssa Luisella Battaglia, ideatrice del Festival e fondatrice dell’Istituto Italiano di Bioetica che organizza l’evento ponendosi - anche grazie a questo appuntamento - come punto di riferimento nella molteplicità dei temi che trovano in questo ambito un terreno di proficuo confronto. Non è un caso che nel 2020 alla prof.ssa Battaglia sia stato attribuito il prestigioso Premio internazionale Fritz Jahr per la bioetica. Si tratta di un riconoscimento di particolare importanza sia perché per la prima volta è assegnato ad una donna e filosofa in Europa, sia quale valorizzazione dell’impronta teorica seguita dall’Istituto Italiano di Bioetica che promuove lo studio della materia nel solco tracciato negli anni Venti del secolo scorso da Fritz Jahr, studioso che coniò il termine e secondo il quale tutti gli esseri viventi hanno diritto al rispetto e devono essere trattati non come mezzi, ma come fine in sé stessi. (vedi anche interviste a Ivano Malcotti e a Maria Galasso)
Questa quinta edizione del Festival di Bioetica si incentra sul tema della Giustizia, che vuole essere osservato nei suoi vari "significati e declinazioni". Quali sono le premesse teoriche e pratiche di tale scelta?
Il Festival intende partire dalla complessità della nozione di Giustizia, il valore più universalmente rivendicato – chi non la invoca o la esige? Il rivoluzionario come il conservatore la rivendicano entrambi con la stessa enfasi – ma insieme il più ‘confuso’, data la sua irriducibile polisemia, la straordinaria ricchezza dei suoi significati. Pensiamo, per fare un esempio, alla formula più classica con cui si esprime: “a ciascuno il suo”. L’accordo pare facilmente raggiungibile: dare a ciascuno ciò che gli spetta, un’istanza e una regola del tutto ragionevole e condivisibile. Sennonché i problemi sorgono appena ci si addentra nella formula e ci si pongono le prime fondamentali domande. Chi è quel “ciascuno”? Intendiamo i nostri concittadini, i nostri connazionali, gli europei, gli extraeuropei, i membri dell’intera comunità mondiale? Non solo quel “ciascuno” avrà un’identità diversa in termini di estensione spaziale ma anche - a ben riflettere - temporale. Ci si riferisce, in altri termini, solo chi vive attualmente sulla terra, i nostri coevi, i nostri figli, nipoti o anche chi vivrà dopo di noi, decenni e secoli dopo la nostra scomparsa, le cosiddette ‘generazioni future’, il cui destino dipende dalle nostre scelte? E ancora, per “ciascuno” intendiamo soltanto gli esseri umani o anche gli animali non umani? Anche per costoro la richiesta di giustizia può essere avanzata, come dimostrano le odierne teorie dei diritti degli animali. Si aprono in tal modo i grandi capitoli della giustizia planetaria, della giustizia intergenerazionale e della giustizia interspecifica. È questo lo scenario in cui si muove la bioetica intesa come etica dell’intero mondo vivente. Nell’ambito della sua riflessione sarà di conseguenza la stessa nozione di “prossimo” ad essere messa in discussione, sganciandosi sempre più, come si è visto, dal concetto di “prossimità” spaziale, temporale e di specie per delineare quelle che la filosofa Martha Nussbaum, in uno dei suoi testi più significativi, chiama “le nuove frontiere della giustizia”.
La questione dei "Diritti delle generazioni future" ci interpella sul piano etico e allo stesso tempo rende improcrastinabile interventi immediati. C'è dunque una doppia questione che riguarda da un lato la riflessione necessaria a svolte epocali come quelle da compiere in questa fase, che condizioneranno il futuro del pianeta e dell'umanità, e d'altro canto la rapidità con cui compiere queste scelte. Rapidità che mal si concilia con i tempi della riflessione. Lei è preoccupata da questo punto di vista? Come vede questo intreccio?
Il tema delle generazioni future è, a mio avviso, uno dei più nuovi e interessanti di cui si occupa la bioetica. Se, infatti, è generalmente ammesso un obbligo morale nei confronti della generazione prossima alla nostra, non altrettanto chiara e condivisa è l’idea di una responsabilità verso i nostri discendenti più remoti. Esistono obblighi morali nei confronti delle generazioni future? E, in caso di risposta affermativa, che cosa esigono? Quali sacrifici possono richiedersi in vista dei loro interessi? Indubbiamente oggi la tecnologia ci ha dotato di un potere molto più grande, rispetto al passato, di influire sul destino e la qualità della vita delle generazioni future contribuendo, ad esempio, alla preservazione o al degrado dell’ambiente in cui dovranno vivere. Alla luce di queste considerazioni si potrebbe parlare non solo di nostri doveri ma anche di loro diritti morali. Quali? Ad esempio, di usufruire di uno spazio vitale, di un suolo fertile, di un’aria pulita etc., tutti quei beni, cioè, di cui noi abbiamo usufruito e che a loro sarebbero negati per il nostro comportamento predatorio. Si tratta di un forte appello ad un’etica delle responsabilità, secondo la ben nota tesi del filosofo Hans Jonas. Proteggere il nostro ambiente non sarebbe più soltanto una questione di prudenza razionale, all’interno di una gestione oculata delle risorse ambientali, bensì di giustizia e cioè di rispetto per i diritti dei futuri abitanti del pianeta. Importanti sono i riflessi sul piano giuridico di questa nuova visione. Si parla infatti sia di un diritto all’ambiente – che dovrebbe garantire il diritto umano ad un ambiente sano e vivibile - sia di un diritto dell’ambiente – che riconosca l’ambiente come dotato di un valore intrinseco, un bene universale da preservare in quanto patrimonio dell’umanità. In questo quadro si colloca la proposta di istituire un Tribunale Internazionale dell’Ambiente destinato a perseguire i crimini ambientali a livello mondiale, un tema questo cui sarà dedicato ampio spazio all’interno del Festival di Bioetica.
Il Festival si occuperà anche delle diseguaglianze economiche e sociali e dell’esclusione dai processi sociali e politici. Questo riguarda molto le donne e le grandi disparità che di cui l’Istituto Italiano di Bioetica si è sempre interessato. In che modo il programma di questa edizione, dedicato alla giustizia, affronta i temi di genere?
Fin dalla sua fondazione, nel 1993, l’Istituto Italiano di Bioetica si è impegnato a “dare voce alle donne”- allora in gran parte assenti o scarsamente rappresentate nei Comitati di maggior rilievo politico, a partire dal Comitato Nazionale per la Bioetica, organo della Presidenza del Consiglio dei Ministri – promuovendo una “Bioetica di genere” e valorizzando i contributi del pensiero femminile e femminista ai diversi settori della bioetica: medica, ambientale, animale. Oggi il Festival di Bioetica pone al centro dei suoi lavori il grande tema della “giustizia di genere” delineandone una sorta di Road Map. Con la ripresa post Covid si impone infatti una riflessione a tutto campo sull’empoverment femminile elaborando una serie di proposte non generiche, ma divise per aree di intervento. Molte sono le domande cui rispondere dinanzi alle sfide poste dalla pandemia che ha fortemente aggravato le diseguaglianze a causa del suo impatto, in particolare, sulla partecipazione delle donne al mondo del lavoro. Se il Covid ha rallentato il percorso verso la parità (in Italia il 98% di chi ha perso il lavoro è donna) ha aumentato parallelamente i carichi di lavoro per chi ha ruoli di caregiver. Un quadro ulteriormente peggiorato dal fatto che partiamo nel nostro paese da una situazione di arretratezza clamorosa, dove solo il 48% delle donne è occupato e altissimo è il numero delle inattive e il pay gap, la differenza tra gli stipendi, raggiunge il 16%. In una visione globale, come dimenticare che, secondo l’allarme lanciato da Save the Children, a causa della pandemia 11 milioni di bambine e adolescenti “rischiano di non tornare mai più a scuola, imprigionate in una situazione di lavoro minorile, matrimoni forzati e gravidanze precoci, in una situazione che nell’ultimo anno è drammaticamente peggiorata”? Per questo occorre impegnarsi, esigere politiche sistematiche e permanenti di tutti i governi contro la violenza sulle donne, investimenti in servizi pubblici e supporti alle Ong che garantiscono l’autodeterminazione delle donne. Ma anche investire sulla medicina di genere nel quadro di un piano culturale che preveda un approccio educativo diverso che parta dal mondo della scuola per evitare gli stereotipi e assicuri l’accesso alle nuove tecnologie in campo digitale. Con uno sguardo rivolto al futuro sostenibile che dovrebbe vedere le donne in prima linea per salvaguardare, anche per le generazioni future, la salute del pianeta.
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