"Il tema del romanzo è se il dolore dei figli può diventare voragine, quando il dolore dei genitori è ormai completamente rimarginato..."
Pubblicato e candidato e finalista al Premio Strega 2013, il romanzo di Romana Petri Figli dello stesso padre (Longanesi) è oggi ripubblicato nei tipo della Mondadori.
Petri dimostra ancora una volta una capacità di osservazione e una tagliente riflessione sulla famiglia. Lo ha fatto con i racconti sulla maternità, Mostruosa Maternità (Perrone), nei legami tra madre e figlio nella biografia romanzata dello scrittore Antoine de Saint-Exupéry, nell’ultimo romanzo Rubare la notte.
In Figli di uno stesso padre indaga sul legame forte unisce due fratelli, Germano ed Emilio. Il loro rapporto, si capisce fin da subito, è fatto di stima, d’indifferenza, d’astio e di rancore per situazioni non del tutto risolte. Su tutto è la voce del sangue a vincere, perché questa prima o poi, non solo emerge, ma può anche portare alla distruzione.
Questo è quello che accade ai protagonisti del romanzo: Germano ed Emilio sono figli dello stesso padre, Giovanni, ma hanno madri diverse. Nonostante abbiamo solo metà dello stesso corredo genetico, sentono di doversi vedere, anche se vivono in luoghi opposti e sono separati dall’Oceano. Germano, infatti, vive in Italia e usa l’arte per esprimere la propria rabbia. Emilio, invece, vive in America, dove lavora come matematico, e, grazie alla sua solida famiglia, è riuscito a porre rimedio alle mancanze del passato.
Germano decide di invitare alla sua mostra in preparazione Emilio. Così i due si rivedono dopo un lungo silenzio. Durato anni. Si dimostrano subito diversissimi, accomunati unicamente dall’amore ‘non sempre corrisposto’ per il padre Giovanni ‒ uomo possente, passionale ed egocentrico ‒ ha abbandonato le donne della sua vita, la madre di Germano, perché la sua nuova compagna aspettava un figlio, Emilio, la madre di Emilio perché amava un’altra donna.
Germano, pur essendo sempre stato il preferito del padre, non ha mai perdonato al fratello più piccolo di essere la causa del divorzio dei genitori. Emilio, cresciuto sapendo di essere il figlio non voluto, ha sempre cercato, invece, l’affetto del padre e del fratello. Nei pochi giorni che trascorreranno insieme, i due fratelli non solo si trovano a dover affrontare le antiche rabbie, ma anche il richiamo del sangue. L’idea, insomma, di essere parte comunque di un legame più forte e più importante, al di sopra delle scelte degli altri che li hanno influenzati.
La prima parte della narrazione è dedicata principalmente al passato: l’autrice l’ha fatto di proposito e magnificamente poiché, senza di essa, l’incontro tra fratelli, le sfumature di ogni frase, la rivisitazione dei vissuti non potrebbero esser colte e risultare vive così come appaiono nell’ultima parte del romanzo.
Il ritrovarsi dei due uomini, il breve soggiorno di Emilio in casa di Germano, nella vecchia abitazione di famiglia, che del passato non ha perso neppure gli odori, scatenano sentimenti contrastanti: gioie, frasi che fanno male, l’ipotesi di non vedersi mai più. Germano, pur con la sua stazza e la sua forza si rivela quello con l’animo più sensibile e travagliato ma che ha trovato, nella pittura, il modo di esprimere angosce e risentimenti. Emilio, il matematico, vorrebbe, forse, che nelle loro vite, finalmente, i conti torni, ma nei sentimenti tutto è molto più complicato che nei numeri.
I due uomini, apparentemente uniti, giungono, verso la fine del romanzo, quasi a dividersi affettivamente. Anche la breve frase pronunciata, «Nostro padre era …», dà una svolta al loro rapporto. Forse, da qui, ambedue potranno rivedere con occhi diversi il difficile e contrastato legame con il padre e fra loro stessi.
Emilio e Germano, divisi da storie diverse ma parallele, spesso rivali negli affetti, hanno ora la possibilità di scegliere se ricomporre i ricordi di un passato andato in frantumi e poi guardare al futuro.
Il tema del romanzo è se il dolore dei figli può diventare voragine, quando il dolore dei genitori è ormai completamente rimarginato. E di come i bambini (solo apparentemente) abbiano il grande potere di elaborare il lutto in grande velocità. Ma anche quanto possa essere pesante, sulle spalle dei figli, anche una separazione necessaria come quella tra Giovanni e Edda e poi tra Giovanni e Costanza.
Altro tema è l’istinto di sopravvivenza che non riguarda solo il corpo, ma anche lo spirito. Ma anche dell’anima, che può essere più persistente, non si lacera, non sanguina nel vero senso del termine, ma a un certo punto raggiunge il culmine del dolore. Anche se con tempi più o meno lunghi, l’essere umano tende al riassestamento e, soprattutto, alla fuga da ciò che gli nuoce.
Ma è anche un romanzo in cui una donna scrive un libro nel quale gli uomini sono i protagonisti. Ha provato (e c’è riuscita) a immergersi nei loro panni maschili, e assorbirne tutto quel laconismo che tanto li fa soffrire in silenzio. Le donne, in questo romanzo le madri, sono il coro, coloro che nella tragedia, consigliano, consolano, ascoltano o lardellano i silenzi degli uomini, che, però, hanno i loro tempi e, per natura, non ascoltano nessuna donna, pensandola come Cassandra. (Purtroppo!)
Romana Petri sfida il topos e la realtà, che infrange le illusioni e gli idilli, ma è anche in grado di ricostruirli: attraverso una discesa dentro di sé necessaria. Sembra un grande ottocentesco, ma che conosce delle istanze, delle lacerazioni, ma anche delle gioie del Novecento. Un romanzo di debiti, a partire da Omero per finire con Tabucchi, ma anche fatto da una scrittura neutra, ma al tempo stesso elegante e raffinata, quella della Petri.
La storia è al presente escamotage narrativo e l’uso di uno stile asciutto, calibrato e perfettamente controllato, permette alla Petri scandagliare le ragioni psicologiche di una inimicizia tra i due. Il lettore segue senza fatica la cronaca minuto per minuto,perché l’autrice non usa nessuna anticipazione, nessuna debolezza di tono fa prevedere l’evolversi della vicenda.
Nel corposo romanzo (di 200 pagine) l’autrice costruisce personaggi e vicende che non sono mai chiusi, entro il mondo letterario. La bellezza dei personaggi e delle vicende narrate contemplano sfumature, funzionali all’assunto narrativo.
Il lieto fine arriva quasi come un sospiro di sollievo dopo un giro tortuoso e sempre sotteso. Confermando, però, che per Romana Petri la letteratura è la rappresentazione del mondo come si vorrebbe che fosse; una specie di risarcimento per quanto di disordinato, inspiegabile, imprevedibile, incontrollabile, volgare e entusiasmante è la realtà.
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