Lunedi, 30/10/2017 - Tenere vivo e costruttivo il canale di dialogo con i musulmani al fine di evitare la ghettizzazione e l’auto-isolamento di una comunità che è la prima in termini numerici in Italia e in molti Paesi europei. Questo l’obiettivo dell’incontro organizzato dalla rivista Confronti a Roma (Camera dei Deputati, 27 ottobre 2017) in occasione della Giornata ecumenica del Dialogo Cristiano-Islamico e che si è concentrato su “Il ruolo delle donne nel dialogo interreligioso”. Le donne al centro della riflessione perché è su di loro che hanno un impatto continuo e pesante le tante questioni che si intrecciano con la convivenza di diverse culture e con le differenti religioni. Tutto questo in un contesto in cui “il problema del terrorismo, della sicurezza e la crisi socio-economica stanno rendendo molto difficile il dialogo interreligioso e alimentano un pericoloso sentimento di islamofobia” ha osservato Mostafa El Ayoubi, caporedattore di Confronti. “A 16 anni dalla sua istituzione, la Giornata si trova ora di fronte a una grande sfida culturale e sociale: quella di potenziare il dialogo rendendolo fruttuoso. E, affinché ciò possa avvenire, occorre un maggiore sforzo di tutti coloro che hanno creduto e sostenuto questa esperienza: dalle comunità religiose alle istituzioni, fino alle realtà laiche e a quelle dei giovani e delle donne. Queste ultime, in particolare, devono essere protagoniste anche alla luce della forza che possono esprimere sul piano numerico, essendo il 52% degli immigrati oggi in Italia come ha rilevato il Dossier Statistico sull’Immigrazione Idos recentemente presentato”.
Una realtà composita che richiede la costruzione di “una narrazione differente, anche critica, ma nel senso del dialogo” ha affermato il direttore di Confronti Claudio Paravati, prima di presentare le relatrici e di ringraziare l’On Luigi Lacquaniti, il quale nel suo saluto ha sottolineato che “il futuro dell’Europa è multiculturale e che il protagonismo della donna dovrà sempre più essere posto al centro dell’azione politica”. Accanto a questo ha rilevato “la necessità di una legge quadro di riforma per la libertà religiosa considerato che l’Italia è ferma a quella del 1929”.
Nella mattinata le varie riflessioni, sviluppate nel quadro di riferimento delle diverse appartenenze religiose, si sono incontrate anche con il contributo portato da chi osserva laicamente la realtà. È emerso un quadro complesso, con una articolazione di sguardi e approcci, sempre al femminile, che offrono un contributo originale ad una crescita culturale indispensabile per affrontare le problematiche del nostro tempo.
“Quando parliamo di unità, di cosa parliamo? - si è chiesta Letizia De Torre, esponente del Movimento dei Focolari -. Poter entrare l’uno nell’altro non crea confusione né relativismo, anzi richiede a ciascuno identità e conferma nella propria fede. In questo modo la pace diventa una naturale conseguenza e, superando addirittura il concetto di dialogo, si arriva a pensare insieme”. L’esperienza del Leaving Peace ne è testimonianza con un progetto di educazione alla pace iniziato al Cairo e che proprio in questi giorni, coinvolgendo 25mila ragazzi di 200 scuole in 136 città di 103 Paesi e raggiungendo oltre 200mila studenti e formatori, “ha sviluppato amicizia ma anche azione insieme sollecitando riflessioni sulle ingiustizie sociali e sui vecchi e nuovi colonialismi”.
Il tema del dialogo e dell’incontro è stato sottolineato dal contributo di Fatma Zohra Benabli, mediatrice culturale con l’associazione Astalli e insegnante di lingua araba e francese, che ha ripercorso le iniziative degli ultimi Pontefici, da Paolo VI fino a Papa Francesco, che sollecita a ‘fare qualcosa’ a fianco degli immigrati e dei rifugiati, con parole presenti anche nel Corano “accogliere, proteggere, promuovere e integrare”. Un messaggio che deve passare prima di tutto nelle scuole, luogo di incontro e di educazione per eccellenza. Alle scuole ha fatto riferimento anche Aouatif Mazigh, del Centro islamico culturale d’Italia, sottolineando che “il dialogo c’è e c’è sempre stato specialmente da parte della donna, portatrice di integrazione, soprattutto nelle scuole”. E ha portato l’esempio di un progetto in corso di attuazione a Firenze che ha l’obiettivo di portare i bambini a frequentarsi anche nei luoghi di culto delle rispettive religioni perché “dalla conoscenza giusta parte il dialogo giusto”.
Il cammino è ancora lungo e alcune considerazioni in merito le ha fatte Mirella Manocchio (video), presidente dell’Opera per le Chiese evangeliche metodiste in Italia. “Quest’anno ricorre il 50mo anniversario del pastorato femminile nelle chiese metodiste e valdesi. Ci sono voluti 450 anni per le chiese che si rifanno teologicamente alla riforma di Lutero (di cui ricorre il cinquecentesimo anniversario) perché si arrivasse ad attuare il sacerdozio universale. Pensare all’impegno richiesto per arrivare sin qui ci aiuta a capire quanto anche nel protestantesimo la questione del femminile sia ancora presente in tutta la sua ampiezza e complessità. Il fatto che sia una questione non risolta e ci mette tutti nella condizione di riflettere e, soprattutto, mette noi donne di fronte alla riflessione consapevole sul nostro ruolo nella società e nella religione. Calzante, in tal senso, è l’esempio del femminicidio: frutto di un substrato culturale comune a società diverse tra loro e che si ciba dell’assunto esplicito o implicito che la donna è inferiore se non addirittura proprietà del maschio. Così come le varie professioni cristiane hanno firmato un impegno per compiere azioni concrete per combattere questo tipo di cultura, analogamente dovremmo fare a livello religioso con i fratelli e le sorelle dell’Islam. La religione ha delle ricadute nella società e comprendere il ruolo della donna è tra queste. A partire dalle interpretazioni dei testi biblici da cui discende e trae forza molto di quell’atteggiamento patriarcale o misogino che vorrebbe la donna proprietà del maschio. Noi donne cristiane di diverse confessioni abbiamo lottato - senza ancora raggiungerla del tutto - per ottenere una parità e per vedere riconosciute le diversità. Oggi dovremmo sviluppare una riflessione al femminile in solidarietà, compiendo uno sforzo di comprensione verso le donne di altre fedi che hanno introiettato valori patriarcali che non riescono a scrollarsi di dosso. Occorre moltiplicare i luoghi di incontro e di studio, tra donne e con gli uomini, soprattutto in un momento in cui alcuni vorrebbero ricreare le condizioni di una guerra di religione. Le società devono fare un balzo in avanti, a partire dalle questioni femminili. In particolare come cristiane e musulmane, pur con tutte le difficoltà, dobbiamo continuare a varcare le soglie che ci erano precluse e dobbiamo farlo con gli uomini, stringendo con loro una nuova e necessaria alleanza, che parta da quegli orizzonti simbolici che le donne hanno saputo aprire nel corso di questi secoli e che ancora necessitano di essere aperti”. Sulla stessa lunghezza d’onda la giornalista Karima Moual (video) che, da laica, ha sottolineato il ruolo di Papa Francesco nel sollecitare il dialogo interreligioso. “Non serve a nessuno nascondere i problemi che attraversano la quotidianità italiana e anche i conflitti interni del mondo musulmano. I problemi vanno affrontati, soprattutto a partire dalle donne che sono il simbolo per eccellenza della realtà sul piano culturale, religioso, identitario. Tutto passa attraverso la loro testa e il loro corpo”. L’intervento di Karima ha sollevato il tema della narrazione pubblica del mondo islamico (“sempre rappresentato da donne con il velo”) mentre “il fermento del femminismo islamico non è raccontato, non c’è nelle discussioni e nei libri e invece vorrei che arrivasse alle giovani generazioni, unico modo per evitare di rimanere nel passato”. E ha esposto chiaramente la strada da prendere: “come donne occorre conquistare spazi a partire dalle moschee: luoghi per eccellenza della fede in cui non c’è dibattito”. Non tutto è negativo, però. E ha citato le riforme in atto in Arabia Saudita, sulla cui attuazione occorre vigilare.
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