Martedi, 23/03/2021 - “Qui mi sento a casa, questa esperienza mi ha dato la voglia di riprendere in mano la mia vita”. Il viaggio di Mireille Ahou Esse è stato lungo e doloroso: da Abidjan (Costa d’Avorio) è arrivata a Latina 6 anni fa dopo una sosta in Libia prima di approdare a Lampedusa. La sua casa l’ha trovata nell’ambito del progetto di accoglienza realizzato dall’Atelier ACANThUS, il luogo dove ha imparato a cucire e, soprattutto, a progettare il suo futuro. “La sicurezza per me è avere un lavoro che ti permette di mangiare di curarti. E questo lavoro mi piace e mi fa guardare avanti, mi fa conoscere tante cose”. In un italiano elementare Mireille riesce ad esprimere opinioni complesse come quando le chiediamo che cosa è per lei la legalità e ci sorprende spiegando che “se non paghiamo le tasse non possiamo garantire le pensioni agli anziani, se non si pagano le tasse non c’è futuro per questo paese”. Ad accoglierci nell’Atelier ACANThUS, accompagnate dall’assessora Patrizia Ciccarelli nell’ambito del progetto “Donne, Sicurezza, Legalità’ sostenuto dalla Regione Lazio, è Pina Vallerotonda, referente della Cooperativa Astrolabio che per il progetto Siproimi (ex Sprar) del Comune di Latina aveva l’incarico di organizzare percorsi di accoglienza e integrazione per le migranti.
“L’obiettivo è stato raggiunto - spiega Vallerotonda - attraverso l’attivazione di una sartoria sociale che ha permesso a molte immigrate di imparare un mestiere fornendo loro lo strumento primario su cui costruire la propria autonomia. Il progetto continua a dare frutti: penso all’apertura di uno show room in centro a Milano, città dove ci sono molte possibilità di lavoro per le ragazze, e alla collaborazione con le studentesse dell’Accademia di Belle Arti”.
Mentre illustra i progressi del progetto, Pina mostra con orgoglio gli orli fatti a mano della biancheria per la casa realizzata in lino finissimo. Apre cassetti in cui sono riposti con cura indumenti per neonati o la linea di arredo studiata, su ordinazione, per gli yacht.
“Al di là della bravura artigianale - spiega -, dietro a questi prodotti c’è un percorso molto lungo dove le donne sono protagoniste, un percorso di conquista della stima di se stesse perché va detto che, quando arrivano, hanno perso tutti i loro punti di riferimenti affettivi e culturali, spesso hanno perso addirittura la voglia di vivere, nonostante la giovane età”.
Un punto di forza del progetto è aver affidato a ciascuna anche il ruolo di tutor di altre ragazze, in modo che potesse svilupparsi, in una relazione da pari a pari, un circuito positivo di responsabilizzazione e auto-aiuto.
“Abbiamo iniziato nel 2010 con le prime 15 nigeriane arrivate dopo un viaggio inenarrabile; erano giovani donne e molte le gravidanze indesiderate. Era davvero difficile comunicare con loro. Abbiamo pensato portare delle stoffe e una macchina per cucire: piano piano si sono avvicinate e, cucendo abiti per loro stesse, hanno cominciato ad aprirsi, a raccontare lo loro storie. Appena partite erano subito cadute in balia dei trafficanti, non sapevano neppure di trovarsi in Italia. Nel 2016 abbiamo inaugurato questo luogo, che è diventato un laboratorio di inclusione, una sartoria sociale in cui abbiamo anche potuto assumete 4 di loro”.
Qui all’Atelier si respira un’aria familiare e di pacata soddisfazione per un lavoro ben fatto, ma si coglie anche il fremito di chi sa che ancora molto si potrebbe fare. “Vogliamo rendere ACANThUS una nuova realtà imprenditoriale per le donne - dice Pina Vallerotonda - , perché questo è un modello di vera restituzione per donne che, provenendo da mondi attraversati da guerre e violenze, non per loro scelta sono state costrette a lasciare il loro paese. L’obiettivo, quindi, è di trasformarla in una start up che abbia una autonomia e una sostenibilità”.
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