Yezierska consegna una narrazione di donne forse sconfitte, che hanno una speranza, dura a morire (per fortuna!)
Anzia Yezierska, in Cuori affamati (traduzione di L. Crescenzi e M. Viazzoli, 2020, Mattioli 1885), consegna ai lettori una descrizione narrativa inedita del mito americano. L’intento dichiarato sin dalle prime pagine è quello di raffigurare «L’America come gli oppressi di tutti i paesi hanno sognato che sia, e l’America come è». L’impatto dell’opera avrebbe attirato ben presto l’attenzione di Samuel Goldwyn per la realizzazione del film muto Hungry hearts del 1922.
Yezierska individua personaggi femminili per narrare vicende che si intrecciano al suo vissuto. La povertà estrema patita a Plinsk, nei pressi di Varsavia, e le speranze riposte nel trasferimento a Manhattan, nel Lower East Side, le impediranno per lungo tempo di proseguire gli studi perché costretta a contribuire con sua madre al sostentamento della famiglia numerosa, nel disinteresse del capofamiglia, dedito unicamente allo studio del Talmud, sono alla base dei suoi racconti. Il suo desiderio di istruzione porta l'autrice, ad un certo punto della sua vita, a completare gli studi a diventare insegnante e a dedicarsi alla scrittura.
Le storie delle sue protagoniste ruotano attorno a due grandi temi: la profonda indigenza che diventa terreno fertile per le illusioni, e l’ostinato desiderio di non cedere alla sopraffazione del patriarcato, nell'idea di ricerca di una personale indipendenza – economica ed emotiva – nella lotta per l’emancipazione da un sistema miope.
I drammi vissuti nell’incapacità di tollerare relazioni improntate sull’umiliazione e la sottomissione muovono lo sviluppo di storie incentrate sul perenne conflitto interiore che domina i personaggi. Lo scontro tra le attese e l’improvvisa presa di coscienza di dover sottostare alle medesime condizioni di sfruttamento, sotto il peso del pregiudizio e della mancata accettazione sociale, portano i protagonisti della Yezierskaa a cercare di rintracciare una personale via per contrastare tali sopraffazioni, attraverso una profonda fede nell’idea di giustizia.
Molti racconti sono incentrati sul logoramento fisico e interiore di persone che lottano per rivendicare i propri diritti, scontrandosi con pesanti ineguaglianze sociali, come accade alla protagonista di Bellezza perduta, Hanneh Hayyeh tanto da portarla a dire: «Dunque è questa l’America? Per cosa ha combattuto il mio Aby? È stato solo un sogno…tutta questa gente, da tutte le terre e da tutte le epoche, ha desiderato, sperato e pregato perché l’America diventasse questo? Mi sono svegliata dai miei sogni per rivivere i tempi bui della Russia, sotto lo zar? Il suo volto, desiderato e amante della bellezza si contrasse in una maschera d’odio».
Nella prosa priva di orpelli, e orientata a privilegiare una linearità espressiva essenziale, si inseriscono riferimenti al libro della Genesi – come nei racconti intitolati Il grasso della terra o ne La mia gente – dove accanto alla narrazione della fame e della miseria, acuita dalle vessazioni, Yezierska indaga gli esiti dell’avidità, la corruzione degli uomini.
Nella povertà si fa strada una tensione contro l’imbarbarimento, per la sopravvivenza di tutte quelle figure che perseguono un miglioramento, pur consapevoli di non aver mai una reale possibilità di integrazione. Alla raffigurazione di una realtà ostile, inserita in un sistema complice di efferatezze, Yezierska oppone le speranze di figure che cercano una rivalsa.
Nella fitta serie di episodi conclusi ma non isolati, si scorge la descrizione della malinconia nella percezione di una vita perduta, la memoria di un passato doloroso, l’attesa, la desolazione della perdita, la forza inarrestabile che domina chi vive il bisogno di un riscatto.
Le donne della Yezierska desiderano l’emancipazione, sono fiere, desiderose di ottenere solo con i propri mezzi un'istruzione, a cui tengono più di ogni altra cosa, e un ruolo nella società. Ma spesso i loro sogni vengono infranti da uomini ottusi e indifferenti.
In Acqua e sapone, Yezierska traccia il profondo sconforto e la disillusione vissuti da una giovane donna che, dopo molti sacrifici, è riuscita a completare gli studi per l’insegnamento, mossa dal desiderio di nuovi stimoli intellettuali per poi scontrarsi con il pregiudizio di chi non la riteneva idonea al ruolo guadagnato, per il suo aspetto. «Volevo che il mondo intero sapesse che l’istruzione che dava il college non era democratica, che gli abiti rappresentano la base delle distinzioni di classe, che dopo il diploma le possibilità di ottenere una buona posizione erano riservate a chi si vestiva meglio, e gli studenti troppo poveri per alzare la testa erano incasellati e bollati come inadatti, e abbandonati alla misericordia del vento», si legge ad un certo punto. Con amarezza.
In Come trovai l’America c’è lo sradicamento e la nostalgia per «il silenzio profumato dei boschi che si estendevano oltre la nostra capanna di fango», i ruggiti e il frastuono delle macchine irrompono nella minuziosa descrizione del lavoro in fabbrica, tra i fragori.
Yezierska consegna una narrazione che rivela nella costante ridefinizione del catalogo emotivo che la forza delle donne. Donne forse sconfitte, che hanno una speranza, dura a morire (per fortuna!).
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