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Coscienza di classe e diritti delle donne nel libro postumo di Nicola Savino

Coscienza di classe e diritti delle donne nel libro postumo di Nicola Savino

Presentato in anteprima nazionale presso il Museo civico di Ariano Irpino alla presenza della figlia Eleonora, il libro del sociologo Savino illustra le condizioni dell'Italia in un quarto di secolo cruciale per la presa di coscienza

Giovedi, 29/08/2024 -

Un quarto di secolo di lotte operaie e contadine, la presa di coscienza dei diritti usurpati, i primi sanguinosi scioperi, la nascita delle associazioni sindacali e del Partito dei lavoratori, l’emigrazione, le avventure militari in Africa e i dibattiti nella sinistra, le prime leggi per tutelare le lavoratrici, tra le questioni del libro postumo del sociologo Nicola Savino "All’origine della coscienza di classe. Un quarto di secolo di lotte operaie e contadine (1889-1914)" edito da i Robin&sons.

Dalla civiltà rurale a quella industriale

Nonostante gli atavici problemi irrisolti del Regno d’Italia:il Vaticano che rivendicava lo Stato pontificio, i fermenti irredentistici, l’isolamento internazionale, lo stallo dell’economia e la povertà diffusa, all’inizio del 1900 si intravedevano le avvisaglie di una transizione dalla civiltà rurale a quella industriale. Almeno nell’area del futuro triangolo industriale: Genova-Torino-Milano, grazie alla rete stradale su gomma e su ferro che serviva la fascia settentrionale della Pianura Padana, rendendo quell’area attrattiva di investimenti pubblici e privati e collegandola alle nazioni più potenti dell’Europa occidentale,forti di una buona crescita industriale. I settori più trainanti della seconda fase della rivoluzione industriale passavano per la metallurgia, la siderurgia, la meccanica, l’elettricità. Furono ampliati gli stabilimenti nei settori del trasporto su rotaie e in quello armatoriale; nel 1881 nacque la Compagnia della Navigazione Generale Italiana. Nel 1884 la società Edison avviò l’era dell’energia elettrica; nel 1888 fu fondata la Montecatini, Società Generale per l’Industria Mineraria e Chimica. Lo sviluppo dell’industria pesante monopolistica richiedeva ingenti capitali e l’intervento statale, che significava aumentare il debito pubblico, finché il mondo della finanza non assunse un ruolo da comprimario. Non senza scandali, tanto che nel 1894, per farli cessare, l’intero sistema creditizio fu riorganizzato con la creazione della Banca d’Italia, unica autorizzata a emettere la Lira italiana. Il legame tra la borghesia industriale e quella finanziaria influenzò le scelte politiche dei governi che si succedevano in Italia. La borghesia si arricchiva nutrendosi di fondi pubblici e sfruttando il basso costo della forza-lavoro schiavizzata con 12-13 ore di prestazioni giornaliere e un salario a malapena sufficiente al fabbisogno alimentare, mentre al triangolo industriale si contrapponeva un impoverimento del Sud, dove la produzione agricola, prevalentemente cerealicola, sottostava a fattori ambientali-metereologici e a un’esasperata concorrenza internazionale.
Non solo: la realtà agricola del Sud si concentrava nelle mani di un’oligarchia agraria parassitaria, che aveva escluso il Meridione dalla crescita industriale, anche per la mancanza di investimenti infrastrutturali.

Emigrazione o brigantaggio

Eccettuando i pochi insediamenti industriali nelle aree meridionali, il panorama socio-economico evidenziava forti diseguaglianze sociali in cui, a un esercito escluso dai meccanismi di produzione, non rimaneva che ribellarsi aderendo al brigantaggio o emigrando nei Paesi a forte sviluppo industriale dell’Europa occidentale o in Nord America. Nel 1889, con la Risoluzione della Conferenza Internazionale sull’Emigrazione e il 31 gennaio 1901, sotto il Governo Saracco, fu promulgata la legge per la “Tutela giuridica degli emigrati”, volta ad agevolare le “modalità d’espatrio” con la creazione del “Commissario Generale per l’Emigrazione”. La potente aristocrazia agraria meridionale la giudicò una “pericolosa disposizione”, preoccupata di perdere la sua forza lavoro a basso costo. In quel tormentato periodo storico l’emigrazione fu invece una sorta di riequilibrio delle disparità demografiche e degli esuberi di forza lavoro per contenere conflittualità e turbolenze sociali. Quell’imponente fenomeno di massa fu l’escamotage per la borghesia industriale e armatoriale per giustificare le avventure coloniali in Africa: ovvero, conquistare terre per i contadini italiani. Tra il 1873 e il 1900 gli espatri superarono i duecentomila all’anno. Emigrarono per primi i veneti, seguiti da friulani e piemontesi e al Sud i siciliani, campani, calabresi, lucani e pugliesi. Le rimesse di quel popolo, che si faceva carico anche dei familiari rimasti in patria, furono in gran parte introiettate dallo Stato per pianificare l’industrializzazione del Nord, attraverso l’offerta di Buoni del Tesoro.

I fasci siciliani, la Camera del lavoro, il Partito dei Lavoratori Italiani

Il 18 marzo 1889 si costituì a Messina il primo fascio del lavoro, subito bloccato dall’arresto del suo ispiratore, Nicola Petrina. Meglio andò al fascio di Catania, fondato il 1° maggio 1891 da Giuseppe De Felice Giuffrida. Il 1° ottobre 1891 nasceva a Milano la Camera del Lavoro, che segnò l’avvio del sindacalismo italiano. Il 29 giugno 1892 fu costituito il fascio di Palermo. Il 14 agosto 1892 a Genova, su iniziativa di Filippo Turati e Giulio Albertelli, alla presenza di oltre 400 delegati del Partito Operaio Italiano, della Lega Socialista Milanese, del partito Socialista Rivoluzionario di Romagna, dei Fasci Siciliani, del Comitato per la Rivoluzione Sociale, dei positivisti e di altre leghe e movimenti operai e anarchici, fu fondato il Partito dei Lavoratori Italiani, nato il 15 agosto, con l’approvazione dello statuto.

Il governo Crispi e le stragi contadine

Dopo le dimissioni di Giolitti, il 15 dicembre 1893 si insediò il governo Crispi, costretto ad affrontare le agitazioni popolari siciliane, che gendarmi e campieri iniziarono a reprimere nel sangue. A Giardinelle, il 10 dicembre, 11 contadini furono uccisi e 18 feriti; a Lercara, il giorno di Natale, 11 morti e 35 feriti; a Pietrapazza il 1° gennaio 1894, 8 morti e 15 feriti; il 3 gennaio a Morico, 18 morti e 50 feriti, il 4 gennaio a Santa Caterina, 13 morti. L’epilogo dei drammatici moti siciliani fu il Regio decreto che proclamava lo stato d’assedio dell’isola (4 gennaio 1894). Il generale Roberto Morra di Lavriano, nominato Commissario straordinario da Crispi con pieni poteri militari e civili, istituì tre tribunali militari, vietò le riunioni pubbliche, confiscò le armi, censurò la libertà di stampa, operò arresti di massa e fece vigilare l’ingresso all’isola. Molti sospettati ribelli furono obbligati al domicilio coatto e altri confinati. I fasci furono sciolti e i loro dirigenti arrestati e condannati con processi sommari. Un’epurazione politica per bloccare sul nascere la crescita dei movimenti, delle associazioni operaie e dei lavoratori e dei partiti di ispirazione socialista, che condannò degli innocenti, lasciando liberi di continuare a seminare terrore e morte i veri colpevoli: le guardie campestri al soldo della mafia e i gendarmi di Stato. Crispi in Parlamento giustificò le stragi mistificando i fatti: era stata fatta circolare ad hoc la voce di un sostegno francese ai fasci italiani, tacciati di ispirazione separatista. Le stragi pertanto erano un atto dovuto, in difesa dell’unità nazionale: ottenne un consenso pressoché unanime.

Gli scioperi femminili di Milano, le piscinine e la legge sul lavoro femminile

L’indignazione per la proclamazione dello stato d’assedio in Sicilia, scatenò in tutta l’Italia spontanee manifestazioni di popolo, spesso represse dalle forze dell’ordine. A Milano fece scalpore la protesta delle apprendiste sarte, cravattaie e stiratrici, con lo sciopero delle “piscinine”, bambine e adolescenti, tra i 9 e i 14 anni, che lavoravano 11-12 ore al giorno, sottopagate e per di più, sottoposte ad abusi e violenze nelle strade e nelle fabbriche. Stessi diritti delle piscinine rivendicavano le operaie del settore cotoniero, finché l’indignazione popolare per lo sfruttamento della mano d’opera femminile non si allargò all’intero stivale, tanto che la Camera approvò la legge sulla protezione del lavoro minorile e femminile. Veniva elevato ai 12 anni l’impiego minorile e fissata in 12 ore lavorative il massimo di una giornata lavorativa femminile nelle fabbriche. Il 29 giugno 1902 fu istituito a Roma, presso il Ministero dell’Agricoltura, Industria e Commercio, un organo collegiale e consultivo, incaricato di proporre la regolamentazione dei doveri e dei diritti del lavoro e del capitale. Non tutte le vertenze ebbero esito positivo: nella Lomellina gli scioperanti furono sostituiti con manodopera assunta dai paesi limitrofi. A Cassano delle Murge (agosto 1902), una manifestazione dei lavoratori della terra per i miglioramenti salariali, fu repressa dalla forza pubblica, con un 1 morto e 4 feriti. A Candela (8 settembre 1902), sui contadini che rivendicavano una tariffa salariale fissa per gli stagionali e aumenti economici per i giornalieri, i Ccarabinieri ne uccisero 7 e ferirono 40.

Anna Kuliscioff e la proposta di riforma elettorale

Il 28 aprile 1910 Luigi Luzzatti (incaricato di formare il governo il 31 marzo) illustrò alla Camera il suo programma, improntato all’orientamento laicistico dello Stato e un pacchetto di riforme sociali, tra le quali quella del Senato e quella elettorale, ottenendo la fiducia a larga maggioranza, sostenuta anche dai socialisti, fautori di una proposta di legge elettorale a suffragio universale maschile. Anna Kuliscioff, compagna di Turati, dalle pagine di “Critica sociale” sferrò un attacco al suo convivente, accusandolo di disinteresse per il riconoscimento del diritto di voto alle donne. Il 2 maggio gli indirizzò una lettera nella quale rivendicava con orgoglio l’impegno del movimento femminile per il diritto di voto. La legge sul suffragio universale maschile sarebbe stata approvata solo il 25 maggio 1912, ampliando il diritto di voto a tutti i cittadini maschi maggiorenni (21 anni) in possesso dei requisiti censitari e capacitari previsti dalla legge elettorale del 1892 o, in assenza, che avessero assolto il servizio militare, nonché maschi nullatenenti e analfabeti, che avessero compiuto 30 anni. Promulgata il 30 giugno 1912, la legge allargava la platea degli aventi diritto al voto dal 9,5 al 24% della popolazione. A completare l’avvincente quadro storico, un’appendice con gli eventi della campagna d’Africa, fino allo scoppio della Prima Guerra mondiale. Un libro indispensabile per chi non conosce la Storia o per chi volesse approfondirla, utile alla memoria e a scongiurare che i peggiori eventi si ripetano.

Alla presentazione in anteprima nazionale, presso il Museo civico di Ariano Irpino (AV), sono intervenuti: Eleonora Savino (figlia), Carla Moccia (Vizio di Leggere), Enrico Franza (sindaco di Ariano), Andrea Covotta (Rai Quirinale), Ottavio Di Grazia (studioso e scrittore), Luigi Lambiase (coordinatore Book zone).

NICOLA SAVINO
All’origine della coscienza di classe
Un quarto di secolo di lotte operaie e contadine (1889-1914)
Ed. i Robin&sons
Pagg.161 € 14

 

 


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