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Corruzione e consenso sociale. La parola a Stefano Rodotà

Corruzione e consenso sociale. La parola a Stefano Rodotà

Intervista a Stefano Rodotà in occasione del convegno ‘Legalità e corruzione. Il NO delle donne’ (Roma, 13 novembre 2012)

Martedi, 13/11/2012 - “La corruzione si è insediata progressivamente e in modo sempre più devastante nella società e nel sistema politico italiano. Dico società, e non solo sistema politico, perché coinvolge un numero crescente di persone”. Stefano Rodotà ci tiene a spiegare bene, dal suo punto di vista, le dimensioni e il senso che ha assunto la corruzione, oggi, ed evidenzia con cura le differenze tra il fenomeno corruttivo ai tempi Mani Pulite e nell’attualità. “La vicenda di Mani Pulite rivelò un fenomeno grave e diffuso che tuttavia era per certi versi circoscritto al finanziamento pubblico ai partiti. Naturalmente questo portava con sé il fatto, gravissimo, che coloro i quali approvvigionavano i partiti trattenevano qualcosa o molto per i loro privati interessi. La fase più recente rivela che la corruzione (anche quella che attribuiamo alla sfera propriamente politica) è finalizzata all’arricchimento personale.”



Cosa è accaduto, cosa ha determinato questo ‘cambio di passo’, a suo modo di vedere?

“Oggi il fenomeno è ulteriormente aggravato dall’insediarsi nella nostra società di un’idea che la legalità sia un optional e che tutto possa essere privatizzato. Questo è il frutto di una mentalità che negli ultimi anni è stata fortemente incentivata anche dai comportamenti politici: il disprezzo per la legalità, l’idea che pagare le tasse sia semplicemente frutto di un’imposizione intollerabile, la confusione tra risorse pubbliche e risorse private. La diffusione di questa subcultura è stata accompagnata da tutta una serie di misure che hanno direttamente o indirettamente legalizzato i comportamenti corruttivi. Alcuni li conosciamo: quelli che riguardano il falso in bilancio, il traffico di influenze, la prescrizione. Si tratta di meccanismi che negli passati hanno favorito il diffondersi della corruzione e che sono difesi ancora oggi, visto che nella stessa legge appena approvata dal Parlamento questi punti non sono stati toccati, penso in particolare alla prescrizione e al falso in bilancio. Ma c’è stato di più, se consideriamo le giustificazioni addotte da tesorieri di partito, faccendieri, parlamentari o consiglieri regionali: a loro difesa hanno fatto riferimento all’esistenza di norme che permettevano quei comportamenti che, malgrado l’evidente loro gravità, venivano tranquillamente considerati legittimi. Faccio un esempio: per la Protezione Civile erano stati costruiti tutta una serie di meccanismi, poi per fortuna bloccati, per sottrarre a ogni forma di controllo le attività che venivano svolte dalle persone che avevano le responsabilità in questa materia; in quel modo ciò che valutiamo essere comportamenti corruttivi avevano trovato una loro copertura legale. Un altro esempio riguarda qualche consigliere regionale - come nella vicenda del Lazio - che ha dichiarato di essersi comportato conformemente a quanto stabilito dalla disciplina regionale. Allora la differenza con il tempo di Mani Pulite è nella pervasività della corruzione, rafforzata attraverso un sistema parallelo di norme e comportamenti che si dovrebbero ritenere (e che sono dal punto di vista politico e civile) assolutamente inammissibili. In sostanza direi che l’arricchimento privato è divenuta la molla, che è caduta qualche giustificazione più o meno nobile legata al funzionamento dei partiti, e che comportamenti che dovevano rimanere nell’area di illegalità sono stati trasferiti nell’area di una legalità parallela. Tutto questo ha determinato una disgregazione sociale e politica molto più forte.”



Le norme, quindi, sono importanti, ma possono bastare se l’obiettivo è determinare comportamenti socialmente virtuosi?

“Faccio di mestiere il giurista e dovrei rispondere facendo l’apologia della norma e della sua sufficienza. Invece rispondo di no. Le norme sono assolutamente necessarie, così come è necessario consentire che coloro i quali devono custodire la legalità (cioè in primo luogo la Magistratura) possano operare conformemente a queste norme. Non è un caso che negli ultimi anni si sia cercato di impoverire lo strumentario legislativo che dovrebbe consentire di combattere la corruzione e che adesso si assista a qualche tentativo di ripristinare principi minimi, come nel caso della recente legge sulla corruzione. Ma non basta, perché negli ultimi anni quello che ha favorito la corruzione è stato un clima sociale propizio alla giustificazione dell’arricchimento privato (quale che fosse il modo in cui veniva realizzato), un clima propizio alla privatizzazione delle risorse. Si è creato una sorta di consenso sociale che ha accompagnato il fatto che la corruzione fosse ‘normale’. Persino i professionisti (che hanno guadagni anche notevoli) sono stati contaminati, come è testimoniato dagli scandali che hanno interessato medici, primari, ingegneri o avvocati. La società ha ritenuto che esistesse un canale parallelo a quello della legalità formale che consentiva di accompagnare questi comportamenti con una certa acquiescenza sociale. Questo è il fatto più grave, perché quando poi si modificano le norme non è detto che si riescano a modificare consenso sociale e comportamenti legittimati. In questo c’è una grave responsabilità imputabile al sistema politico in quanto tale. L’esempio ci viene dai Paesi con cui ci misuriamo: leggiamo continuamente di dimissioni ‘eccellenti’ per episodi trascurabili mentre da noi tutto questo non c’è ed è stato sostituito dal criterio del ‘non penalmente rilevante’. È scomparsa l’etica pubblica ed è scomparsa la responsabilità politica. E solamente quando c’è un accertamento della Magistratura dell’esistenza di un reato - accertamento che magari arriva dopo dieci anni - si ritiene che le persone che hanno tenuto quei comportamenti debbano essere sanzionate. Ecco perché facevo riferimento alla legittimazione e al consenso sociale. Nella nostra organizzazione sociale si è insinuata una maniera di percepire taluni comportamenti con una sorta di indulgenza. Attenzione, la responsabilità politica è una cosa diversa dalla responsabilità penale: ci sono comportamenti che non sono penalmente rilevanti, ma che sono politicamente e socialmente gravissimi. Questo è un punto che abbiamo perduto, che è stato cancellato da meccanismi di autodifesa di un ceto politico che, all’ombra della mancanza o del dubbio sulla responsabilità penale, ha ritenuto che comportamenti, frequentazioni o operazioni che inquinano il funzionamento della politica e costituiscono un esempio sociale devastante potessero essere tranquillamente accettati. Non bastano le norme se sono viste in modo strumentale o se si cerca di aggirarle o di diminuirne la portata o sono addirittura considerate uno scudo. La Costituzione, dicendo che le funzioni pubbliche devono essere adempiute con ‘onore e disciplina’, dà per scontato che si devono rispettate le leggi e che c’è qualcosa che va oltre ed è un di più al semplice rispetto della norma. Ecco tutto questo, che è poi la regola diffusa in tutti i paesi con cui più o meno possiamo confrontarci, è stato semplicemente azzerato. Da noi chi solleva tali questioni è considerato un moralista. Tanto per comprendere l’abisso che ci separa da altre situazioni, ricordo il fatto che Helmut Khol, lo statista che ha guidato la riunificazione della Germania, accusato di avere una responsabilità per risorse non lecite arrivate al suo partito, ha ipotecato la sua casa per restituire quei fondi. Il nostro, invece, è il paese del ‘a mia insaputa’, cioè della non assunzione delle responsabilità conseguenti ai ruoli che vengono ricoperti. Nella politica e fuori.”



La corruzione in relazione alla pesante crisi economica che stiamo vivendo, e che non ci abbandonerà né facilmente né rapidamente, è un tema su cui si dovrebbe riflettere maggiormente. Cambiamenti profondi nell’etica pubblica e nel modo di stare insieme saranno indispensabili, non trova?

“La crisi sta comportando dei costi sociali terribili. Sinceramente sono sbalordito di fronte a forme di insensibilità: penso alla minaccia di non accendere i termosifoni ma anche ai tagli ai fondi destinati alle persone malate di SLA… il solo pensare che queste persone possano essere abbandonate (che significa determinare tragedie personali e familiari enormi) è il segnale che qualcosa non funziona più in queste nostre società e che la predominanza dell’economia sta facendo terra bruciata di tutto ciò che è rispetto della dignità e dell’umanità delle persone. Detto questo, c’è un’altra faccia positiva che riguarda la lotta all’evasione fiscale. I cosiddetti blitz a Cortina certamente sono gesti simbolici importanti, ma occorre andare oltre … ci si domanda perché l’Italia non imita i Paesi (Stati Uniti, Francia, Germania) che hanno stipulato intese con le banche svizzere per contrastare l’esportazione illegale dei capitali all’estero. Il punto è che non abbiamo un forte spirito civico in questa materia e quindi ciò che in altri Paesi è agevole, in Italia diventa più difficile. Noi abbiamo avuto un Ministro - Cesare Previti - che ha dichiarato di aver usato il condono per sistemare questioni legate all’evasione fiscale. Come si diceva prima, l’idea è che mi metto al riparo dalle sanzioni e sul piano legale sono a posto, ma un politico che ha evaso l’obbligo costituzionale di pagare le tasse e che ritiene di dover rimanere al suo posto è il segno della debolezza civile. Tutto questo è stato accettato, è diventato senso comune: ecco perché in Italia è tutto più difficile. Le norme sono utilizzate per legittimare un comportamento politicamente e civilmente inammissibile. Il punto riguardante norme o non norme diventa particolarmente importante perché la debolezza della attuale legge sulla corruzione non è una debolezza tecnica, ma è l’effetto del ricatto di una parte dell’attuale maggioranza - quella identificabile con la maggioranza berlusconiana - che non ha voluto che tutta una serie di provvedimenti più incisivi fossero introdotti in questa legge. Quindi, indirettamente, questa resistenza ha manifestato una volta di più la volontà di mantenere consenso sociale intorno al comportamento di chi usa la prescrizione per sottrarsi alle conseguenze dei propri comportamenti e di chi continua a falsificare i bilanci e per tutto questo non è sanzionato. Socialmente la falsificazione del bilancio, quindi, viene accettata.”



Questo significa che la devastazione cui faceva riferimento - leggi o non leggi - in pratica continua…

“Secondo me sì…. Perché i nostri ‘anticorpi naturali’ sono più deboli che in altri paesi, avremmo bisogno di maggior rigore e maggior attenzione per quanto riguarda i comportamenti , soprattutto da un punto di vista politico. Ci sono comportamenti che devono produrre sanzioni perché l’accettazione sociale assolutamente deve venir meno. So che questi sono processi difficilissimi e lunghi e che non sono tutti imputabili - come origine - solo a quanto è avvenuto negli ultimi anni, sono processi che hanno una storia lunga e radici sociali profonde. Per un certo tempo sono stati tenuti sotto controllo, ma hanno ricevuto un sostegno politico e sociale che poi nell’ultimo periodo ha consentire il dilagare della corruzione.”



Vede uno ‘specifico femminile’ quando si parla di corruzione, anche nel senso che le donne hanno un particolare interesse che la situazione cambi?

“Ho un’impressione.. ciò che è attribuito ‘naturalmente’ al genere femminile è la capacità di cogliere gli aspetti della vita materiale fino in fondo, cioè della vita vera al di là delle forzature, degli orpelli, delle mistificazioni. Le donne riescono ad andare alla radice delle situazioni, a cominciare da ciò che riguarda lo svolgimento quotidiano della vita. Non è un caso che sia venuta dalle donne l’idea dei diritti al quotidiano, che ci consentono poi di cogliere la struttura profonda di un paese. Considerati da questo punto di vista, elaborazioni, riflessioni, indicazioni, comportamenti che possono essere indotti dalla presenza e dal pensiero delle donne sono molto importanti. Nella mia esperienza parlamentare, in particolare dall’83 all’87, la collaborazione con le elette mi ha permesso di mettere a fuoco tutta una serie di questioni profonde di civiltà, di legame sociale e vita materiale che non avevo visto prima. Lavoro da tanti anni sul tema dei rapporti tra la vita e le regole (Rodotà, La vita e le regole, Feltrinelli, 2006, ndr) e non c’è dubbio che questo rapporto è vissuto e costruito in modo diverso in base al pensiero delle donne. Quindi c’è una grande responsabilità politica di coloro i quali non si rendono conto dell’assoluta necessità di rendere praticabile un cammino che le donne hanno nitidamente indicato. Oggi il punto è rendere possibile l’utilizzazione di tutta la ricchezza che viene da quel pensiero e che mai come in queste situazioni critiche, attraverso il diverso rapporto con i dati di realtà, può essere un antidoto sia alla pervasività delle logiche corruttive sia, attraverso questa sensibilità profonda, per produrre anticorpi democratici. È proprio nel pensiero delle donne, che è stato giustamente impietoso nei confronti dei sistemi formali, che possiamo trovare forza rigenerativa della democrazia, evitando che sia ridotta ad un involucro. Penso infatti che una democrazia che non riesce a cogliere i dati di realtà, e che non riesce a dare alla vita e all’umanità delle persone il ruolo che meritano, è una democrazia straordinariamente povera.”



Non a caso, crediamo, il prof Stefano Rodotà ha preso in prestito da Hannah Arendt il titolo del suo nuovo libro, in uscita per Laterza, ‘IL DIRITTO DI AVERE DIRITTI’…



Contributo al dibattito in occasione del convegno ‘Legalità e corruzione. Il NO delle donne’ (Roma, 13 novembre 2012)

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