Il Congresso di Legacoopsociali: occorre ripensare strategie, esperienze e strumenti per affrontare le sfide del futuro. Intervista a Eleonora Vanni, presidente uscente
Con questo Congresso Eleonora Vanni passa la mano a Massimo Ascari, primo presidente uomo dopo tre donne. Una novità per un settore molto caratterizzato da un protagonismo femminile sia nella base lavorativa che nei vertici amministrativi e rappresentativi.
Per fare un bilancio della sua esperienza incontriamo Eleonora Vanni nella sede di Legacoop per una intervista che dia spazio ad elementi di riflessione più personali. Non si conosce, infatti, Eleonora Vanno se non si parla della sua passione artistica, molto di più di un rifugio in mezzo a tanto lavoro sociale, un filo forte che ha accompagnato tutte le fasi della sua vita.
La prima sorpresa che viene fuori dal colloquio è proprio questa: l’incontro con il mondo cooperativo avviene attraverso e grazie alla sua passione e professionalità artistica.
“All’Istituto d’Arte di Lucca dove studiavo chiedono di una esperta per partecipare all’attività formativa e sperimentale di una cooperativa, la coop Crea, promossa da un prete operaio, che organizzava laboratori di ceramica per disabili. Là si sono incontrate le mie due nature, quella artistica e quella dell’impegno sociale, da lì è iniziato un lungo percorso che mi ha portato nel mondo della cooperazione sociale Toscana e poi in quello nazionale. Da quell'anima artistica, però, ho imparato il gusto ma anche le competenze” creative” della progettazione sociale”.
Nel tuo lungo percorso cooperativo quale è l’idea più forte che ti ha accompagnato?
Quella di promuovere una partecipazione attiva dei cooperatori e di fare sentire l’associazione partecipe e partecipata perché la rappresentanza deve avere tratti che assomigliano a quelli delle cooperative. Non solo per gli interessi concreti delle cooperative, ma per quello che i cooperatori possono mettere in campo sul terreno delle idee e della creatività sociale. Da lì siamo partiti con alcuni progetti e giornate di lavoro comune che avevano come obiettivo quello di confrontarci su temi che potevano anche sembrare lontani ma che introducevano ambiti nuovi di riflessione comune offrendo uno spazio che nella quotidianità i cooperatori non potevano ritagliarsi. Abbiamo promosso think tank cooperativi: laboratori di idee per interpretare e immaginare il cambiamento, per rivisitare la nostra visione di inclusione lavorativa delle persone fragili e abbiamo dedicato molto tempo al tema della salute per ripensare i servizi socio sanitari. Uno dei primi incontri è stato sul diversity management, tema di cui si parla oggi molto e su cui c’è ancora molto da fare per noi.
Abbiamo assistito in questi anni a passaggi che hanno fatto emergere i nuovi bisogni e dall’altra parte forti elementi di crisi degli assetti del welfare sia nel campo sociale che sociosanitario. Su cosa avete puntato a fronte di questi processi?
Il punto centrale che ci ha mosso in tutti questi anni è quello di considerare lo sviluppo del welfare non come un costo o una spesa ma un investimento per il benessere generale del paese. Il problema delle risorse è essenziale anche a fronte dei divari che caratterizzano ancora il paese. Pensiamo al tema dei servizi per l’infanzia laddove in tante parti del paese è ancora un lusso e anche quando sono stati fatti con le risorse del PNRR non dispongono di risorse per funzionare. Come cooperazione sociale il nostro impegno continuo è stato di leggere e rispondere concretamente ai nuovi bisogni progettando e mettendo in campo nuovi servizi per rispondere al tema della non autosufficienza delle persone con disabilità, alle esigenze delle persone anziane, al tema sempre molto grave della salute mentale. Abbiamo lavorato non solo per aumentare i servizi, ma anche per accrescerne la qualità intervenendo sull’idea e sugli strumenti. Il tema su cui anche oggi combattiamo è quello delle risorse perché sussiste una frattura tra il settore sociale e quello sanitario e sempre di più prevale l’ottica della sostenibilità economica su quella della qualità e della rispondenza ai bisogni delle persone.
Quale è il progetto o le attività che ti hanno dato più soddisfazione?
Innanzitutto il lavoro che abbiamo iniziato da qualche anno sulle nuove tecnologie e sui processi formativi per l’acquisizione di nuove competenze. Abbiamo creato un Corso di Alta formazione sulle nuove tecnologie per la salute e la tutela delle persone in collaborazione con gli Istituti Dirpolis e Biorobotica della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa. Abbiamo promosso numerose sessioni di Summer School in collaborazione con l’Istituto italiano delle tecnologie di Genova. Tutto questo sta dando risultati: molte cooperative stanno sperimentando forme nuove di applicazioni sulla domiciliarità e nelle strutture territoriali lavorando con i medici di medicina generale e di cooperative che si occupano di tecnologie allargando gli orizzonti. Il secondo ambito su cui ho molto lavorato è quello della collaborazione con la cooperazione che si occupa delle abitazioni non solo per attuare insieme progetti riguardanti l’abitare sociale ma più in generale, per mettere al centro degli interventi di realizzazione abitativa e di interventi nelle periferie un'idea più ampia di abitabilità e benessere che preveda anche l’offerta di servizi integrati sia sul piano sociale che culturale. Ma c’è un'attività che è insieme formativa e culturale a cui tengo molto: il percorso intrapreso in oltre un anno su tutto il territorio nazionale per una riflessione e per la creazione di una comune attrezzatura immateriale sul tema del linguaggio e delle parole che devono caratterizzare un mondo come il nostro, che è insieme imprenditoriale e sociale. Lo abbiamo chiamato “le nostre parole”. Un modo nuovo, aperto alle persone, alle comunità dove operiamo e anche al mondo degli esperti per affrontare il problema della nostra comunicazione, che è un nodo critico della nostra lunga e bella esperienza. Le parole hanno una forza ma sono fragili di fronte a forzature e cattivi utilizzi specie quando riguardano persone fragili.
Durante il tuo mandato ti sei trovata ad affrontare l’emergenza pandemia. Che bilancio fai di quel periodo?
Prima di tutto sono orgogliosa della capacità delle cooperatrici e dei cooperatori di continuare a stare vicino alle persone in un momento così difficile e dei grandi sacrifici richiesti in particolare agli operatori e operatrici che lavoravano nelle strutture per anziani. Si è quindi stati capaci di reagire studiando modalità alternative in vari servizi, da quelli per l’infanzia alle attività per anziani e non autosufficienti studiando e mettendo in atto modalità alternative di presenza e intervento per stare vicino alle persone bisognose di cura e assistenza e alle loro famiglie. Tutto questo non è stato merito dell’associazione ma dei cooperatori. Come Associazione di rappresentanza abbiamo cercato di esserci e di offrire delle opportunità di lavoro e di approfondimento e confronto Abbiamo fatto molti incontri a distanza che approfondivano tematiche specifiche sia sulle difficoltà che si stavano affrontando che sulle prospettive di uscita dalla situazione di emergenza. Tutta la struttura associativa è stata molto attiva per far sentire la vicinanza e il supporto concreto alle cooperative. E’ in quel periodo che è iniziato il lavoro di studio e di ipotesi di messa in pratica dell’utilizzo delle tecnologie come modalità diversa o aggiuntiva riguardo all'organizzazione dei servizi più consolidata. Particolare attenzione si è data all’aspetto di utilizzo di queste tecnologie per accrescere e migliorare le forme di vicinanza alle persone più fragili e alle loro famiglie e per sviluppare forme nuove di attività educative e riabilitative. Mi ricordo che il percorso di Alta formazione sulle nuove tecnologie promosso in collaborazione con la scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, pensato prima della pandemia, iniziò con una sessione a distanza in concomitanza con l’inizio della pandemia.
L’ultima domanda che faccio ad Eleonora Vanni riguarda il rapporto tra le donne e la cooperazione sociale. Una presenza diffusa nella base lavorativa e sociale e che ha trovato una visibilità con il succedersi di tre donne ai vertici delle strutture di rappresentanza. Che bilancio fai di questa caratteristica?
L’alta presenza delle donne nel nostro settore è legata ad un fattore sociale e culturale: l’onere della cura, che storicamente riguarda le donne. Negli anni, però, accanto alla presenza fisica femminile è cresciuta molto la formazione e il riconoscimento di titoli e professioni e quello che sembrava una tendenza naturale delle donne è diventata una qualità professionale importante riconosciuta dando anche un valore nuovo e forte al fatto che tante donne hanno scelto negli anni di mettersi insieme e operare in una forma imprenditoriale partecipativa e cooperativa per meglio rispondere a bisogni delle persone e dare anche un contributo al welfare attraverso un lavoro riconosciuto. In relazione a questo e all’alto livello di formazione che caratterizza questo settore va letta la larga partecipazione femminile a livello dirigenziale e dei consigli di amministrazione. Ma detto questo io penso che si dovrebbe valorizzare di più il modello femminile che spesso caratterizza questo settore, fatto di una gestione tipica delle donne che sa mettere insieme l’accoglienza, la cura e il senso pratico in grado di gestire un’impresa. Questa è la caratteristica e la forza specifica su cui è cresciuta tanto la cooperazione sociale in tutti questi anni e in questo senso per me “la cooperazione sociale è femmina”.
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