Giovani Fattorini, già ginecologo a Bologna, racconta le radici di un servizio sociosanitario, il protagonismo delle donne e la validità di strutture che non possono essere valutate come aziende sanitarie
Giovanni Fattorini è stato ginecologo nei Consultori Familiari a Bologna, una lunga esperienza professionale che gli ha consentito di condensare un bilancio del loro operato in un libro (Consultori in Italia, L’Asino d’Oro, 2014) in cui ha messo in evidenza “quanto siano stati fondamentali per la promozione di una cultura laica sui problemi delle donne e delle coppie e per l'emergenza di temi quali il controllo della fertilità, le pari opportunità, la maternità libera e consapevole, la contraccezione, l'aborto”.
Lo incontriamo a Roma nella sede nazionale di AGITE, l’Associazione Ginecologi Territoriali in cui è ancora attivamente impegnato, per chiedergli di fare il punto sulla realtà di questi servizi, oggi, condividendo anche sue considerazioni a carattere più generale.
“I Consultori nascono un clima culturale e politico davvero incredibile in cui vengono approvate altre importanti leggi, come il nuovo Diritto di Famiglia o e la legge 180 quella che chiude i manicomi. Dal punto di vista sanitario è la prima volta in Italia che si prova ad affrontare in modo interdisciplinare, e a livello istituzionale, il tema della salute delle donne. Va riconosciuto che sono state proprio le donne protagoniste di quella stagione con la militanza e con la capacità di agire sul piano della rivendicazione. Era un momento in cui noi giovani medici, coinvolti nel sociale, sentivamo il dovere di continuare l’impegno politico anche sotto la forma dell’esercizio della professione. Partecipando alle varie iniziative non strettamente sanitarie non pensavamo di fare qualcosa di aggiuntivo,di estraneo ma avvertivamo una sorta di continuità tra impegno professionale e impegno sociale. Vedevamo i Consultori Familiari come luoghi in cui la pratica medica era in stretta connessione con i bisogni delle donne e delle famiglie; la stessa OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) aveva indicato questi servizi come esemplari e da imitare a partire dal fatto che mettevano al centro la salute della donna. In fondo i Consultori rappresentavano l’inveramento dello spirito della riforma sanitaria. Erano qualcosa che andava addirittura oltre. E per moti anni questa specificità si è mantenuta. Basti verificare come dimostrano i grafici il calo dei tassi di abortività in relazione simmetrica con l’aumento delle donne che si recavano e si recano nei Consultori per la certificazione. Sono dati eloquenti che certificano l’efficacia dell’approccio e dei servizi svolti. Se si osservano con onestà intellettuale non si può che concordare con questi dati. Purtroppo negli ultimi anni i Consultori sono scivolati in una narrazione negativa che li rende parte di quella storia democratica che si tenta di rimuovere Oggi infatti la parola Consultorio evoca l’idea di un luogo deputato unicamente all’aborto, quando invece la realtà dice assolutamente altro, visto ad esempio che le gravidanze seguite nei Consultori arrivano ad essere il 60/70% del totale, a testimoniare che per la maggioranza delle donne il Consultorio costituisce un’alternativa seria alla medicina privata e un punto di riferimento globale per tutti gli aspetti che riguardano la loro salute sessuale e riproduttiva. Paradossalmente tutta questa ricchezza ha giocato a sfavore dei Consultori. In una sanità infatti gestita con criteri prevalentemente aziendali entrano in gioco valutazioni più legate alle tempistiche o al numero degli interventi, parametri non paragonabili alle prestazioni date nei Consultori, dove a prevalere è l’ascolto, il dialogo, l’accoglienza della complessità. Attività che poco o nulla si prestano ad essere “quantificate” in termini esclusivamente produttivistici. Impossibile, quindi costringere queste “prestazioni” spesso molto complesse in una logica aziendalistica. E lo dico per la mia Regione, l’Emilia Romagna, cui pure va riconosciuto di aver fatto cose importanti anche grazie e alla razionalizzazione dell’organizzazione. Però è una realtà incontrovertibile che i Consultori si siano progressivamente indeboliti, sia all’interno dell’architettura sanitaria sia nella considerazione delle donne. In sostanza non si è voluto valorizzarli, nonostante abbiano operato con un approccio che la medicina moderna ha approvato a livello mondiale, per la quale la salute della donna non è un problema riducibile alla chirurgia e alle patologie legate alla genitalità femminile.
Il contenitore in cui agire in questo modo una medicina non solamente riparativa che mette al centro la persona e non solo i suoi organi genitali è proprio il Consultorio, che si muove in termini multidisciplinari. Vorrei aggiungere che se vengono a mancare i Consultori rimangono scoperti anche altri due aspetti importanti: la tutela delle relazioni affettive e l’ascolto degli adolescenti. Se non se ne occupano questi servizi, chi altro può farlo? Nel complesso, vediamo che si tratta di funzioni importantissime soprattutto in questa epoca. La scomparsa di questi servizi probabilmente non farà un immediato rumore, ma le conseguenze si vedranno nei prossimi anni”.
Questo articolo è parte del progetto 'I Consultori alla prova del passaggio generazionale' dell'Associazione NOIDONNE TrePuntoZero sostenuto con i fondi dell'8xMille della Chiesa Valdese
Tutti i materiali del progetto, qui https://www.noidonne.org/consultori-familiari/index.php
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