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Come sono diventata femminista - recensione di Caterina Bavosi*

Come sono diventata femminista - recensione di Caterina Bavosi*

Nel libro di Rosangela Pesenti la trasmissione dell'esperienza femminista e la pluralità di significati che mette insieme l'esistere come donna e l'ingiustizia sociale

Lunedi, 15/06/2020 -  Rosangela Pesenti, Come sono diventata femminista, Manni 2020

Che cos’è il femminismo? Domanda Valentina alla zia. In realtà, sono tante le questioni che la nipote vorrebbe porre e per questo chiede alla ziona di raccontare la sua storia. Da questo ideale dialogo, dalla titubanza iniziale, si dipana un flusso di pensieri, uno sciame di ricordi volto a ricostruire la vita più vera. Non c’è una narrazione lineare, non è un’autobiografia. Sono le immagini a parlare, immagini che scaturiscono da moments of being, momenti di intensità. Dalle figure dell’infanzia, ai riti domenicali, dal lavoro d’insegnante e alle compagne di partito fino alle tenere presenze dei nipoti.Il faticoso racconto diventa così memoria generazionale e collettiva, una memoria di cui abbiamo estremamente bisogno per riconoscerci e per proiettarci in avanti. Dopotutto, il femminismo è come una zia. Lo scrive così Rosangela Pesenti. Le zie sono figure rare ma indispensabili, anche perché spesso sono elettive. Un vincolo che non nasce dalla carne e dal sangue, ma dal cuore e dalle corrispondenze. È proprio in virtù di questo legame affettivo che il racconto diventa memoria collettiva, uno di quegli esempi alla latina necessari per riconoscerci ed ispirarci. Per molto tempo, siamo stati indotti e indotte a credere che solo gli uomini vivessero vite interessati che meritassero di essere raccontate; la narrazione è stata univoca. Sono stati esempi interiorizzati anche dalla scuola e dalla televisione. Eppure, alcuni dei loro tratti, per cui sono tanto lodati, sono caratteristiche non esclusivamente a loro appannaggio, ma che appartengono al genere umano. Le donne, in questo senso, sono state fatte sparire dalla storia,dalla scienza, dalla letteratura, dall’arte e dalla politica.Abbiamo subito e continuiamo a subire una privazione della voce. Ed è proprio su questa tematica che negli ultimi anni si sta riflettendo, si è partiti dalla domanda come sarebbero state le vite delle cosiddette minoranze se avessero avuto anche loro degli esempi, se la narrazione non fosse stata sempre unilaterale. Le donne sono maggioranza eppure libried esperienze come quelle narrate in Come sono diventata femminista sono ancora essenziali, perché rispondono alla nostra esigenza di proiettarci nel mondo. Infatti, essere femminista, si dice nel libro, è solo un modo di esistere come donna .Un modo che non è univoco, certamente, ma è un’identità e una pratica che si basa sulla solidarietà e sulla condivisione.Insomma, è inclusivo:il femminismo, viene detto, mi ha insegnato a guardare le donne, a indovinare le vite reali delle donne anche dietro la recita a cui ci adattiamo.Guardare per comprendere e per non lasciare indietro nessuna: fai ogni giorno una cosa per te, una cosa per una donna che ti è vicina, una cosa per il tuo genere.
Rosangela ed io siamo femministe di generazioni diverse, eppure, per me è stato impossibile non riconoscermi nell’esperienza ancora pungente di dichiararci per quello che siamo. Femministe. Oggi, come ieri, anche solo prendere posizione, dire ad alta voce ciò che sentiamo ci rende scomode. Diamo fastidio. Allo stesso tempo è necessario ammetterlo. Ci stereotipizzano senza ascoltarci, ridimensionando i problemi, cercando di spostare l’attenzione sempre su altro. Esempio lampante, presente in maniera molto sottile anche nel libro, è la declinazione al femminile di termini usati al maschile – soprattutto se è un lessico che orbita attorno alla sfera lavorativa detentrice di un certo potere. Suona male. Ci stride la parola avvocata, ministra ecc. ecc. Eppure sono forme corrette della grammatica italiana.
Femminista per Rosangela ha una pluralità di significati e coinvolge diversi strati della società. Non si parla solo di donne. La protagonista, infatti, ammette di aver bisogno di una parola che metta insieme l’esistere come donna e la condizione dell’ingiustizia sociale. Si parla degli invisibili, di tutte quelle persone che dall’alto delle nostre belle case diamo per scontate e senza le quali la nostra vita sarebbe più difficile, ma che ci ostiniamo a non vedere. Per molti, per molte,la libertà è ancora un privilegio.
Nella casa in riva al mare, come un tempium sereno dell’anima, la protagonista attende la nipote, in un tempo sospeso in cui si intrecciano battaglie pubbliche e private, ma anche affetti presenti e amori passati. L’attesa è un limbo agrodolce, una posizione privilegiata da cui guardare indietro, riflettere sulla strada percorsa, sui successi, sulle insoddisfazioni, ma dalla quale ci si può proiettare anche in avanti verso le battaglie che verranno. In attesa di Valentina, in attesa di un femminismo che verrà, di un femminismo che ripenserà al corpo della donna e alla sua libertà.
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Caterina Bavosi, nata a Urbino nel 1994, laureata in Storia dell'arte, vive a Bologna dove frequenta la Scuola di archivistica, paleografia e diplomatica presso l'Archivio di Stato.

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