Giovedi, 18/03/2021 - Il Centro Donna Lilith può raccontare una lunga storia di ascolto e accoglienza delle donne che subiscono violenza, una storia che è iniziata con Telefono Donna e con il Centro Antiviolenza attivati ben due anni prima dell’approvazione della legge regionale (L. 64/1993).
A raccontarla è l’attuale giovane presidente, Francesca Innocenti. “Dal 1991, in 35 anni abbiamo accolto più di 5.000 donne in cerca di sostegno. Vengono per svelare quello che accade nelle mura domestiche e perché vogliono dare un futuro diverso alle loro figlie e figli. Rappresentare per loro un luogo sicuro e protetto cui fare riferimento è importantissimo. Dal 2003 gestiamo una Casa Rifugio in cui sono ospitate donne quando non possono più vivere in casa loro a causa di grave pericolo per la loro incolumità e quella dei/lle figli e figlie. È un luogo in cuiiniziano a ricostruire la loro esistenza, libera dalla violenza. Ecco, quello che possono intraprendere con noi è un percorso alla conquista della libertà, a partire da una presa di coscienza e da un percorso interiore che hanno avviato e che le nostre operatrici supportano attraverso l’ascolto e il sostegno al loro percorso di uscita dalla violenza”.
A Patrizia Amodio, tra le fondatrici del Centro Donna Lilith, presidente per 28 anni e ancora presenza assidua e autorevole punto di riferimento, chiediamo il senso e il significato,in quel luogo,delle parole sicurezza e legalità. “I due termini dal nostro punto di vista sono strettamente connessi e prima di tutto tengo a sottolineare che il posto meno sicuro per la donna è la casa. Siamo giunte a questa opinione dopo aver seguito per anni i processi che si sono svolti presso il Tribunale di Latina (quello del Circeo e poi quello di Fiorella e altri) e ci siamo rese conto che per affrontare lo stupro e le violenze bisogna uscire dall’idea dell’emergenza, bisogna lavorare sull’abbattimento della cultura patriarcale e sessista. È stato un percorso impegnativo e, per noi che venivamo dai collettivi femministi, non è stato indolore darci una struttura e costituire l’associazione con uno statuto, ma era l’unico modo per interloquire con le istituzioni e per dare risposte concrete alle donne che si rivolgevano a noi; avere una rete stabile di servizi di riferimento è un fattore di sicurezza per loro. Siamo cresciute nel tempo e abbiamo lavorato molto sulla formazione delle compagne che accoglievano le donne.Quella di investire sulle giovani è stata una scelta premiante e oggila maggior parte delle operatrici sono under 40”.
A Patrizia fa eco Francesca. “Grazie al grande investimento nelle giovani oggi abbiamo una trasmissione dei saperi dalle fondatrici alle nuove arrivate. C’è stata una crescita personale, anche attraverso una costante messa in discussione di ciascuna. Accanto a questo abbiamo aumentato l’offerta di servizi e le opportunità nel territorio per le donne, così ad Aprilia è stato aperto il Centro antiviolenza al quale si sono rivolte più di 90 donne nell’ultimo anno. Ogni anni ci diamo obiettivi sempre più importanti e dal 2011 Latina ha due Case di Semiautonomia, strutture indispensabili in determinate circostanze, per donne che uscite dall’emergenza possono consolidare il percorso di re-inclusione sociale e lavorativa. Inoltre abbiamo potuto investire in un tassello che mancava: dare opportunità lavorative con il progetto che coinvolge il laboratorio la.b di Latina che lavora le pelli delle bufale. L’ultimo progetto ambizioso riguarda la formazione di un’équipe multidisciplinare per poter prendere in carico anche le migranti”.
Questo incontro, che si svolge nell’ambito del progetto sostenuto dalla Regione Lazio ‘Donne, sicurezza, legalità’ e accompagnate dall’assessora Patrizia Ciccarelli che fu tra le fondatrici del Centro, è occasione preziosa per chiedere a Patrizia se negli anni, con tanto lavoro fatto, qualcosa è cambiato nella percezione e nella gestione della violenza contro le donne. “Sicuramente abbiamo ampliato gli strumenti che riusciamo a mettere a disposizione delle donne, ma vedo un preoccupante arretramento a livello giuridico: le donne spesso non sono credute nei Tribunali e si verificano femminicidi nonostante le denunce e le misure di allontanamento del coniuge/partner violento. Chi dovrebbe dare credito alle donne che denunciano, non capisce. Non a caso una delle parole d’ordine lanciata dalla Rete Nazionale dei Centri Antiviolenza D.i.Re nel 2018 è Io ti credo. Oltre gli slogan, penso che sarà necessaria una presenza fisica e che le donne si mettano di nuovo in ascolto delle altre donne”. Francesca sottolinea un'altra questione di fondo. “Negli ultimi anni la violenza contro le donne, ancora troppo sottostimata, è trattata come un fenomeno emergenziale e non come un fenomeno endemico. Bisognerebbe applicare la Convenzione di Istanbul e smettere di pensare alle donne come a delle poverine bisognose di assistenza. È necessario entrare nelle scuole in maniera sistematica per smontare gli stereotipi, è l’unico modo per sradicare una cultura maschilista e patriarcale”.
Prima di concludere l’incontro, raccogliamo la loro esperienza durante i mesi di lockdown. “Nel 2020 non ci siamo mai fermate e abbiamo garantito assistenza alle donne che chiedevano aiuto. Soprattutto tra maggio e giugno c’è stato un incremento di richieste di supporto da remoto. Rispetto alla media annuale di 120/130 contatti, nel corso del 2020 abbiamo registrato un aumento di 30 richieste: sicuramente la convivenza forzata ha fatto crescere le violenze domestiche. Abbiamo visto vere e proprie fughe: donne scappate da casa senza nulla alle quali, oltre all’alloggio, abbiamo fornito abiti e un minimo di biancheria. In molti casi siamo state la garanzia di un porto sicuro e, probabilmente, abbiamo prevenuto accadimenti più drammatici”.
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