Carla Cantatore: “la mia scelta, lavorare per la loro autonomia”
“… Ho sempre rivendicato i miei spazi di autonomia, nonostante le carenze dei Servizi e nonostante la società tenda a trattarti sempre come madre di persona con handicap …”
Martedi, 14/05/2024 - Oggi Simona e Daniele sono due adulti di circa 50 anni che, con una relativa indipendenza costruita con un lavoro monumentale lungo decenni e sempre in progress, vivono esistenze possibili nonostante le differenti difficoltà - psicologiche e motorie - che ciascuno gestisce. Difficoltà che non hanno impedito loro di laurearsi in Scienze politiche (Simona) e in Filosofia (Daniele). La famiglia ha messo al centro delle sue attenzioni le loro disabilità che, in particolare per la mamma, hanno costituito e costituiscono il perno attorno al quale tutto ruota.
Una vita impegnativa quella di Carla Cantatore la quale, nonostante una fatica difficilmente immaginabile senza provarla o viverla da vicino, riesce a raccontarla con incredibile grazia ed eleganza.
“Individuata l’entità dell’handicap di Simona, abbiamo cercato ed organizzato per lei il meglio possibile. Quello che le era successo doveva essere superato perché non essendo una malattia non poteva guarire”. La piccola durante il parto è stata letteralmente soffocata e il trauma le ha procurato un danno celebrale. “Si chiama asfissia pallida - specifica Carla - e appena nata l’anestesista, al contrario del ginecologo, è stato bravo a salvarle la vita, ma il cervello ormai aveva sofferto la carenza di ossigeno che ha toccato l’area degli automatismi. Simona ha imparato con la sua ferrea volontà e vivace intelligenza a crearsi meccanismi suoi per potersi muovere. Il braccio sinistro, che le era più facile muovere, le ha consentito e le consente una certa autonomia. Oggi lavora, usa il computer, il cellulare, si sposta guidando la sua carrozzina elettronica. Ha fatto tanti anni di terapie, anche dolorose, che oltre a me hanno richiesto la collaborazione di volontari. In una fase erano circa 40 le persone che ci seguivano tutto il giorno nel compiere gli esercizi. Non finirò mai di ringraziarli tutti”.
Un piccolo passaggio, nella testimonianza di Carla, da la misura delle difficoltà e delle speranze della piccola Simona, la quale amava un telefilm che davano in tv negli anni Settanta, era intitolato ‘La donna bionica’ e lei era affascinata dal fatto che la protagonista, finita in pezzi per un incidente, era stata rimontata e rimessa in funzione con sostituzioni di parti di ricambio”.
Altro aspetto di quegli anni, attraversati da speranze e fatiche, era il pellegrinaggio tra specialisti e centri per la riabilitazione - anche all’estero - nell’intento di aiutare Simona con cure adeguate.
“Quando nasce il fratellino, Simona è ancora piccolina e Daniele probabilmente ha sentito il peso di una sorella con un handicap visibile eppure così assertiva. Appena è riuscito ad esprimersi mi domandava ‘Simona ha un handicap e questo la rende importante, invece io cosa sono?’… Forse è stato anche questo senso di inadeguatezza a generare la sua fragilità a livello mentale che ha iniziato a manifestarsi in tutta la sua gravità dopo l’adolescenza”.
Le foto che Carla Cantatore ci mostra raccontano di feste, vacanze, passeggiate e ritraggono un giovanotto molto bello che sorride alla vita. “Guarda che spettacolo, avevamo la fila delle ragazze che gli correvano dietro.. molte facevano amicizia con Simona per arrivare a conoscere Daniele!”.
Poi la malattia mentale si è fatta sempre più insostenibile. “Dopo anni di tentativi abbiamo costretto le istituzioni ad occuparsi di lui; ha avuto tre TSO (Trattamento Sanitario Obbligatorio), tutti richiesti da me perché il padre non se la sentiva di fargli quella che sentiva come una violenza e che, invece, era per il suo bene. Poi con l’aiuto di un bravissimo psichiatra del CIM alla fine siamo riusciti a farlo entrare in una buona comunità psichiatrica da cui, per gradi, è passato in una Casa famiglia; il tutto per sostenerlo in un percorso verso una vita autonoma. Il momento in cui mi sono dovuta fare forza davvero è stato quando ho deciso di uscire da questa casa, che lui aveva ridotto a un letamaio perché viveva come un barbone; sono fuggita da questo appartamento che ho voluto fosse rimesso a posto, prima di rientrarci, ma senza di lui”.
Infatti l’altro aspetto, assai delicato, che non sfugge a Carla, sensibile sul fronte dei diritti delle donne, è quello del pericolo reale di subire violenza fisica. “Ho preso coscienza del rischio che correvo; da femminista so che i femminicidi delle Caregiver, cioè dei familiari che si prendono cura dei malati mentali, sono ormai la maggioranza. E lo sanno anche gli operatori dei Servizi. Sanno che se interrompono le cure possono diventare pericolosi. Infatti la giudice tutelare ha scritto che non posso ricevere mio figlio a casa da sola, deve esserci sempre anche il padre. Daniele, che è intelligente, mi ha chiesto perché e gli ho spiegato... 'Lo so che tu non hai nessuna pulsione violenta nei miei confronti, ma se non prendessi le medicine potresti farmi del male. Pensi che non potresti mai ma, certamente non per cattiveria, senza i farmaci potresti non riuscire a controllarti'“.
Quando si affronta il tema dell’assistenza e dell’organizzazione dei servizi, il problema è che la definizione ‘disabile’, come figura giuridica, è molto generica e non esiste un ‘tipo’ perché ogni persona è diversa. Non si può schematizzare. Questo vale soprattutto per le persone con malattia mentale. “Nei casi come Simona, la disabilità fisica e lì, si vede e non fa paura. Oltretutto lei è perfettamente in grado di difendersi, di pretendere ed ottenere ciò che le spetta - osserva Carla -. Quando ha avuto 18 anni lei ha voluto leggere tutte le carte del lavoro che ho fatto a suo tempo per l’abbattimento delle barriere architettoniche e per l’inserimento scolastico; si è resa conto che, anche se molto è stato ottenuto, molto ancora era da fare perché era ed è rimasto più o meno uguale”.
Oggi, a distanza di alcuni decenni, Carla condivide una riflessione. “Ero seccata che i miei figli non avessero una vita autonoma, che nessuno competente e remunerato potesse realmente occuparsi di loro, dovevo e potevo farlo solo io. Ho fatto la mia scelta: lavorare affinché potessero essere il più autonomi possibile. Simona è stata ricettiva e si è impossessata di tutti gli strumenti; oggi lavora, vive nel suo appartamento, guida la sua carrozzina... certo, so che fisicamente dovrà sempre difendersi. Comunque va avanti da sola, anzi cerca di aiutare la sua mamma anziana”.
E della donna, dopo tutto questo grande lavoro, cosa può dirci? “Negli anni ho sempre rivendicato i miei spazi di autonomia, nonostante le carenze dei Servizi e nonostante la società tenda a trattarti sempre come madre di persona con handicap, arrivando a criticare persino come ti vesti … Soprattutto quando hai un figlio malato di mente, ti arrivano messaggi in cui, in maniera strisciante, si insinua che in fondo un po’ deve essere colpa tua se tuo figlio è così”.
Difficile commentare queste ‘spigolature’ di vita vera o cercare di capire da quali ragionamenti siano generate. Meglio concentrarci sul seguito del racconto di Carla Cantatore, che ci mostra con orgoglio le sue tele disseminate alle pareti e ovunque nella casa.
“Oggi come oggi voglio e devo riappropriarmi di quel poco che ancora mi rimane di spazio, anche mentale oltre che fisico, visto che non ho più un mio laboratorio. Sono un’artista, amo dipingere e cerco di continuare a farlo”.
L’ultimo passaggio dell’intervista Carla lo dedica alle femministe “o donne che si definiscono tali, che sbagliano quando incolpano le madri di uomini autori di femminicidio di non averli educati al rispetto delle donne. Occorrerebbe più solidarietà femminile”.
Solidarietà che Carla non lesina, a partire dalle attività nelle scuole del suo quartiere come volontaria per l’UDI Monteverde sui temi della parità di genere. “Se una giovane donna mi chiede aiuto, io la lascio aggrappare e, se posso, la sostengo. È un modo di rendermi utile. Do quel che posso …”. Grazie, Carla, per una preziosa lezione di vita.
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