Sin dalle prime pagine, si è immersi in un racconto straniante, doloroso. Il ritmo è febbrile, capace di mostrare al lettore "la stanza nera del mondo".
Lunedi, 18/08/2025 - Sin dalle prime pagine, si è immersi in un racconto straniante, doloroso. Il ritmo è febbrile, capace di mostrare al lettore "la stanza nera del mondo". Pagina dopo pagina, ci si ritrova coinvolti nei ricordi dell'io narrante che, snudando le immagini, le rilegge continuamente, come per volervi scoprire il significato nascosto.
Jamaica Kincaid fa un uso sinuoso della parola, scoprendone il fondo amaro, quello che più ci spaventa. "Autobiografia di mia madre" (Adelphi) è un romanzo femminista e coraggioso, capace di parlare di legami familiari tossici ma, soprattutto, di abbandono e di risentimento. Lo sguardo della protagonista, Xuela, è resiliente e disperato al tempo stesso: figlia di una donna cariba e di un uomo per metà scozzese, viene abbandonata dal padre dopo la morte per parto della madre, che diventa - per lei - il fantasma perseguitante di un'intera vita. Sempre Xuela si percepisce sola, venuta al mondo senza radici solide né ancoraggi.
Lacerata, ferita, destinata a guardare al mondo col disincanto di chi non può permettersi alcuna illusione, affronta le insidie della vita senza mai abbassare lo sguardo. L'assenza di un legame sacro sarà segno indelebile e parola necessaria.
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