#autismo / Due ricordi affiorano e uno consegna una riflessione
1991: "... io e mia figlia Chiara, con autismo, ce ne andavamo in giro, io 28 anni e lei 6, fregandocene già allora di quello che pensavano gli altri. Eravamo avanti!..."
Lunedi, 30/12/2024 - A me piacciono gli addobbi natalizi, a mia figlia Arianna no. Non posso mettere luci e decorazioni, o si scatena l’inferno. Perché? Al momento, Arianna non sa spiegarmi il perché, ma ci sta male e si vede: le vengono le crisi di nervi.
A me piace viaggiare in aereo, a mia figlia Chiara no.
Potrei elencare una serie di cose che pur piacendomi non posso condividere con le mie due figlie con autismo.
Chiara, oggi trentanovenne, spiega il perché in passato le capitava di urlare e agitarsi: in aereo le faceva “male” il rumore dei motori, a scuola le facevano paura festoni e cartelloni, che vedeva “storti” e così il cibo, eccetera. Era terrorizzata dalla sua percezione della realtà, che a definire fosse “fatta di cose storte” è Chiara stessa affermando anche che “ora non vede più storto”, ma all’epoca, non riuscendo a spiegarsi, comunicava il proprio disagio attraverso reazioni fortemente oppositive, spesso culminanti in crisi. Stavamo negli stessi posti, ma percependoli diversamente vivevamo realtà diverse.
Chiara, di sua iniziativa, mi ha recentemente confidato di “stare meglio perché le cose le vengono spiegate in maniera profonda”, ma anche perché “adesso ha capito gli altri”. È un vero miracolo, poiché in lei era particolarmente evidente il problema relazionale: un groviglio di percezioni ed emozioni del quale sembra avere trovato il bandolo che le permette di riavvolgere il filo dei ricordi e, nonostante i piccoli smarrimenti, di ritrovare sempre la strada.
- Marina, ti ricordi tutto di quando eri bambina?
- Ricordo bene soltanto ciò che mi è rimasto impresso.
- Dentro, abbiamo il cervello?
- Certamente.
- Dentro, abbiamo la memoria?
- Sì.
- Quello che non ricordiamo più bene col cervello ce l’abbiamo nella memoria.
… quel sapere della memoria al quale Chiara sembra attingere anche il grande coraggio col quale affronta i giorni e il mondo circostante nonostante il suo disturbo dello spettro autistico.
Passiamo ora alla giungla: il mondo con il quale siamo costretti tutti a fare i conti, incluse le persone con autismo.
Io sono un’anticonformista e non me ne è mai fregato niente di quello che pensa la cosiddetta gente, entro certi limiti però. Nella maggioranza dei casi, è vero, la gente non si compiace della nostra presenza, ma non è un nostro problema. Non è illegale per una persona con una disabilità psichica muoversi liberamente nel mondo, eppure, permane l’avversione per il cosiddetto diverso.
Vent’anni fa, Arianna e io ci trovavamo nello spogliatoio di una piscina e senza motivo, nel senso che la bambina era calmissima, una signora di mezza età, passandoci vicino, riferendosi a me in terza persona singolare, disse: “Ma perché non se la tiene a casa questa?”. Le dava fastidio Arianna in quanto disabile e la mia risposta fu andare in Direzione con due possibilità: le vie legali o l’espulsione dal circolo della signora, che venne espulsa. L’aggressione era stata gratuita, la donna aveva superato i limiti.
Tuttavia, nel caso in cui siano i nostri congiunti a palesare un grande disagio, ritengo sia nostro preciso dovere pensare a farli stare bene e a non imporre loro un modello sedicente inclusivo: avere il poderoso rispetto della persona, che è completamente nelle nostre mani.
Le mie figlie e io siamo andate ovunque, ma se mi accorgo che in un luogo si agitano andiamo via, senza aspettare che tra la gente qualcuno mi consigli che forse è meglio lasciare un posto dove palesemente non riescono a stare bene.
Eppure, vedo bambini e persone con gravi disabilità agitarsi in posti pieni di gente dove vengono condotte dai loro familiari o operatori, ai quali mi sento di dire: ma se una persona non in grado di spiegarsi in un luogo si dispera, vi viene in mente che forse sta vivendo un disagio? Poniamocela una vera domanda che ci conduca con la sua risposta al di là delle nostre istanze personali e rivendicazioni sociali.
Nel 1991 ero ventenne e abitavo con Chiara che aveva sei anni in provincia. Non c’erano le associazioni a fare rete, i diritti delle persone con una disabilità erano al loro esordio e la mia irriducibile bambina con autismo e io ci auto-includevamo un po’ ovunque, anche per la mia ingenuità. Un giorno arrivò il Circo.
- Mamma mi porti al Circo?!
- Va bene, sabato ti porto al circo.
Sabato al Circo:
- Mamma, perché mi hai portato al circo?
- Chiara! Prima mi dici portami al Circo e poi mi chiedi perché mi hai portato al Circo?!
La gente è palesemente scocciata. Chiara disturbata disturba. Lasciamo lo spettacolo.
Venticinque anni dopo a Roma.
Chiara viene da me e, sbellicandosi, mi chiede:
- Marina, ti ricordi quando siamo dovute andare via dal Circo perché io facevo un casino?
- Sì! Come dimenticarlo?
- Io ti ho detto portami al Circo e tu mi hai portato al Circo, ma non mi piaceva e io ti ho chiesto: perché mi hai portato al circo?! Allora, tu mi hai risposto: prima mi dici portami al Circo e poi mi chiedi perché mi hai portato al Circo?
Risate a crepapelle.
- E perché non ti piaceva?
- Perché mi andava.
Perché mi andava … il problema non era la orribile gente, ma uno spettacolo del quale a Chiara, presa coscienza di cosa fosse un Circo, non importava un fico secco, e lo comunicava a suo modo: molto rumorosamente. Aveva preso la scena! E io, così come avevo trovato normalissimo andare con mia figlia con autismo al Circo trovai normalissimo andarcene salutando l’unica persona gentile, perché uno si salva sempre, e pare che a Dio questo basti per non distruggere il mondo.
Dicono che le persone con autismo siano assenti, ma Chiara ricorda le esatte parole che ci dicemmo quel giorno lontano e mi stupisce l’ironia con la quale sa coglie l’aspetto comico di un ricordo. Insomma, anche all’interno di vite molto difficili si può passare dal coturno al socco e la morale della storiella è che se io mi fossi impuntata a voler rimanere in un posto dove mia figlia aveva chiesto di andare ma non voleva stare, magari prendendomela con la gente impaziente di vederci andar via, non avremmo avuto la possibilità di ricordare un episodio rivelatosi a distanza divertente per come io lo interpretai.
In ultima analisi, se una persona con una disabilità è disturbata da una situazione e lo manifesta rumorosamente, gli insofferenti e gli indifferenti fanno parte del quadro, ma se si fa la cosa giusta per sé restano mere comparse. E una comparsa chi se la ricorda?
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