Un testo crudo, doloroso, di solitudini e violenza, reso ancor più potente dalla narrazione in un monologo interiore che, pagina dopo pagina, dà forza alla storia
Questo lo si capisce quando la protagonista afferma «pensavo che l’amore di un uomo mi avrebbe riempito così tanto che non avrei avuto più bisogno di bere, mangiare, tagliarmi o fare di nuovo qualsiasi altra cosa al mio corpo. Pensavo che se ne sarebbe fatto carico al posto mio». La vita, che ha vissuto fino a quel momento, non l’appaga più. Come del resto si sente estranea ai tradizionali canoni femminili, in cerca della propria libertà. Un’operazione, che la rivolge a nuovi modi di pensare, in un modo in cui le donne si sono presentate e sono state presentate e al mondo femminile.
Atti di sottomissione, nella splendida traduzione di Tiziana Lo Porto, è un testo crudo, doloroso, di solitudini e violenza, reso ancor più potente dalla narrazione in un monologo interiore che, pagina dopo pagina, dà forza alla storia. Il testo della Nolan riesce nel suo intento.
Il lettore segue la protagonista in questo suo monologo, dimenticando rapidamente confini di forma e genere, questo permette di riflettere sui desideri e sulla volontà di essere donna. È in questi termini che la narrazione diviene universale.
Nolan descrive il baratro nel quale si trova la protagonista, una donna di una certa cultura, attratta da un uomo più grande, di una ricchezza intellettuale impressionante, che in un primo momento la appaga, colma il vuoto apparente che la rende insofferente, ma che a lungo andare si dimostra freddo, e non sempre consapevole di quanto la sua compagna gli chiede.
Nolan descrive l’abisso di un io, non si limita ad osservarlo a distanza, costringe a entrare il lettore, a toccando e ad immergersi in tutta la sua disperazione, la sua violenza e il disprezzo di sé, che prova la protagonista.
Ognuno degli atti di sottomissione nei confronti del mondo non è altro che un modo per umiliare se stessa, e cercare di appagare quella fame di consolazione e di accettazione, che fuori gli altri non le danno. L’alcolismo, i disturbi alimentari, l’autolesionismo, le ossessioni, il sesso usato come momentanea soddisfazione di una profonda mancanza, la subdola dipendenza affettiva, la violenza, lo stupro sono tutti momenti in cui l’io lacerato della donna è costretta a passare. Come se la lacerazione mentale avesse bisogno anche di quella fisica. Del corpo per essere completa.
La materia trattata è quanto mai complessa; la voce costruita dalla Nolan è cruda e diretta.
Nolan racconta una relazione tossica, che porta la protagonista sempre più a fondo in una spirale di dipendenza emotiva, disperazione, disprezzo e malattia. Ma, allo stesso tempo, dà voce al bisogno di infrangersi di antichi tabù legati al desiderio femminile. Che rimangono ancora nell’ombra, perché difficile da abbattere il contesto sociale, che li giudicherebbe poco.
La donna del romanzo si sente lontana. Estranea al mondo e alle sue stesse amiche. In qualche modo sente che un certo tipo di mentalità (quella patriarcale) è ancora radicalmente consolidata. Compiacere gli uomini è per la protagonista uno scopo primario, sottomettere se stessa, i propri desideri, il proprio corpo, ai bisogni dell’uomo e solo così può sentirsi appagata. Nel momento in cui esterna i suoi bisogni, questi le appaiono inappropriati e sbagliati.
Infatti, non può ad un certo punto non sostenere: «immagino volessi diventare necessaria per Ciaran, ignorando che lui aveva comunque bisogno di me. Volevo che vivesse in un mondo dove ogni sua potenziale esigenza fosse stata preventivamente soddisfatta».
La relazione con Ciaran la porta ben presto in un abisso di disperazione e umiliazioni e già da principio lo spirito con cui lei si aggrappa a questo rapporto tossico appare tragico, segnato dalla sofferenza e squilibrato.
Ciaran non è stato solo il primo bell’uomo con cui è andata a letto, o il primo per cui ha provato sentimenti ossessivi: ma è stato il primo che ha venerato, confessa ad un certo punto a se stessa.
Ciaran è solo un uomo che non riesce a comprenderla. Eppure il disgusto per se stessa, la spinge a umiliarsi in una relazione disastrosa. Ben presto la relazione con Ciaran si rivela vuota, tanto da far credere alla donna di non meritare amore e di poter colmare quel vuoto solo con l’alcol, con la privazione di cibo o il suo contrario, con l’ossessione, con la violenza sul proprio corpo, da punire, mortificare, ferire.
Atti di sottomissione è un racconto che ad un tratto si fa brutale, disturbante. In altri momenti disperato. Come quando la protagonista afferma «Lo supplicavo di perdonarmi, di rispondermi, di dirmi qualcosa, e lui non lo faceva. A volte durava ore, e per punire entrambi per l’umiliazione mi chiudevo dentro e iniziavo a tagliarmi».
Non c’è rinascita o improvvisa illuminazione, non c’è salvezza. Atti di sottomissione è il racconto crudo e diretto di chi è davanti ai propri demoni. E non può far altro che soccombere.
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