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“Specchio specchio delle mie brame: l’anoressia, il riflesso malato dell’io”

“Specchio specchio delle mie brame: l’anoressia, il riflesso malato dell’io”

Lei purtroppo non ce l’ha fatta. Isabelle Caro soffriva di anoressia nervosa sin da quando aveva 13. Con il suo libro e la sua campagna pubblicitaria anche a mezzo delle foto di Oliviero Toscani nel 2007, intendeva aiutare se stessa a capire e le altr

Lunedi, 11/07/2022 - BIANCA FASANO
“Specchio specchio delle mie brame: l’anoressia, il riflesso malato dell’io”
Si chiamava Isabelle Caro. È la ragazza anoressica protagonista della campagna pubblicitaria di Nolita, il fashion brand del gruppo Flash&Partners che ha posato nuda per il fotografo Oliviero Toscani nel 2007, allo scopo di mostrare a tutti la realtà di una malattia che insieme alla bulimia, vede coinvolte oltre due milioni di persone in Italia. Ha detto:-"Mi sono nascosta e coperta per troppo tempo, adesso voglio mostrarmi senza paura, anche se so che il mio corpo ripugna. Le sofferenze fisiche e psicologiche che ho subito hanno un senso solo se possono essere d'aiuto a chi è caduto nella trappola da cui io sto cercando di uscire". Isabelle Caro, giunta a pesare venticinque chili, con solo 2 litri di sangue nelle vene, si è mostrata anche in un libro autobiografico, La petite fille qui ne voulait pas grossir, uscito in Francia, nel quale racconta la sua storia fatta di dolore e sofferenze, per essere stata una bambina rinchiusa in casa per undici anni da una madre affetta da depressione, che le ha fatto conoscere l'inferno per paura di farla crescere. Oggi, a ventisette anni, è passata da venticinque a trentacinque chili, ha ripreso a studiare e soprattutto ha creato un'associazione per aiutare le ragazze anoressiche. Certo non è ancora in grado di andare in bicicletta o fare pattinaggio, ma è determinata ad avere una vita normale. Il nostro rapporto odio/amore con lo specchio miticamente nasce con Narciso, il bellissimo personaggio narrato da Ovidio nelle Metamorfosi. In fondo Narciso, condannato, da Nemesi, a innamorarsi della sua immagine riflessa nell’acqua, assomiglia a noi, condannati a cercare nel mondo dei sensi la nostra verità. Sensi che in tanti modi ci ingannano, specialmente quando rimandano di noi, allo specchio, un’immagine cui noi tentiamo di assomigliare, o, anche un’immagine deformata, che ci fa sentire inadeguati, grassi, poco adatta ad una società dell’immagine che sembra tendere alla perfezione.
Il primo passo che compie un bambino nella scoperta del suo “io” è proprio quello verso se stesso riflesso nello specchio. Lo psicoanalista Jaques Lacan sosteneva in proposito che il bambino fra i sei e i diciotto mesi attraversi la “fase dello specchio”, in quella fase il bambino vede l’immagine allo specchio e si riconosce in essa. Le altre persone – in particolare la madre - rinforzano questo falso riconoscimento che conduce il bambino a percepire l’immagine allo specchio come la somma fedele del suo intero essere, organizzato in questo modo in un tutt’uno completo. Lacan diceva che si tratta di un'idea di unità e completezza che crea l’Io del soggetto, conduce alla sua identità, ma è illusoria e immaginaria, poiché si forma soltanto con l’identificazione del sé con un’immagine. Nell’ultima tappa finalmente il bambino percepisce l’immagine riflessa come altra da sé. Lacan tuttavia sosteneva che “ l’io è un oggetto fatto come una cipolla, lo si potrebbe pelare e si troverebbero le identificazioni successive che lo hanno costituito” e asseriva che, al di qua dello specchio, rimane sempre frammentato e disperso, riconducendo quell’identità nello specchio come una finzione narcisistica. Secondo Erich Fromm (1973), gli istinti nell'uomo si sono talmente indeboliti che non riescono più a regolarne la condotta. Il loro posto è preso dal carattere, inteso come "seconda natura" (Fromm, 1973).
Gli individui affetti da "eating-disorders"(disordini alimentari), presentano una storia personale di disturbi nelle relazioni primarie, che portano ad una mancanza di sicurezza e a pronunciate difficoltà nei rapporti con gli altri, ad essere autentici alla presenza di altri. La relazione con la madre si presenta sia soffocante sia distanziante. La madre manca come specchio e comprensione empatica della figlia. Fino ad un recente passato non era stata indagata la funzione del padre. Ora sembra che esca il seguente quadro: narcisisticamente interessato al proprio successo, ama molto più l'immagine di se stesso come padre di una gradevole ragazza che non la persona reale della figlia. L'individuo anoressico è pieno di paura e non si separa psicologicamente dalla famiglia d'origine, la quale però offre poco appoggio e poca accettazione. Viene a mancare una base di sicurezza per la stima del proprio valore. Si rileva che l'orientamento sessuale, quale emerge dai sogni e dalla fantasia durante l'infanzia e l'adolescenza, è prevalentemente eterosessuale. Durante la pubertà si manifesta una paura della sessualità che rende più difficili i rapporti con i pari e che può ritardare la maturazione fisica e sociale. E' vissuto come schiacciante quanto richiesto dall'adolescenza in termini psicosociali e sessuali. Si presenta ogni sorta di paura: delle critiche, del rifiuto, del fallimento, della sessualità, della perdita del controllo. Le paure si accompagnano ai sentimenti della vergogna e del disgusto di sé. Nella metà dei casi, l'inizio dei sintomi coincide con la risposta negativa e povera dei genitori ai problemi della figlia adolescente. La malattia si può comprendere tenendo conto del quadro culturale contemporaneo, che pone come valore personale la magrezza e il controllo del corpo.
Il termine anoressia letteralmente significa senza appetito, ma in realtà questo malessere è molto più serio di una semplice inappetenza giacché può degenerare in una vera e propria repulsione ossessiva nei confronti del cibo.
Matteo Balestrieri , precisa: "più del 50% delle adolescenti si considerano sovrappeso ed hanno effettuato almeno un tentativo di restrizione dietetica. In generale sia l'anoressia sia la bulimia nervosa hanno una prognosi di guarigione completa a 5-10 anni in circa la metà dei casi, tuttavia il tasso di mortalità non è trascurabile ed anzi, nel caso dell'anoressia, è forse il più elevato tra i disturbi psichiatrici". Quest’affermazione è assolutamente condivisibile e giustifica l'attenzione rivolta dal mondo scientifico in genere e dai nutrizionisti in particolare a questo tipo di patologia. Per quanto riguarda il genere, il sesso femminile è colpito da 10 a 20 volte di più rispetto a quello maschile. Secondo Lacan il processo che porta alla sessualizzazione, all’essere uomo o donna, non è naturale ma è assunto dal soggetto ed è un quindi, un fatto culturale. È proprio come soggetto sessuato che l’individuo s’inscrive nel linguaggio. Per Freud questo processo avviene nella donna tramite la messa in discussione del rapporto con la madre. La ragazza con un disturbo alimentare si trova a fare questa scelta in una condizione in cui è ancora troppo legata alla madre, continua a ricercare la sua Imago. Fallisce così il cambiamento dell’oggetto d’amore, non riesce cioè a passare dalla ricerca dell’affetto dalla madre, vale a dire dall’oggetto d’amore di sesso femminile, a quello maschile. Rifiutando così la sua sessualità di donna. Per il maschio questo cambiamento non è necessario, perché ricercherà l’amore in una donna, che ha lo stesso sesso dell’oggetto d’amore primario. Lacan annotava però che questa patologia colpisce anche il sesso maschile, a causa di una nostalgia verso qualcosa di originario che non viene abbandonata. Il discorso anoressico-bulimico si pone come sintomo sociale, una nuova declinazione del Disagio della Civiltà di Freud. Gli eventi traumatici della vita di una donna, che infondono un "senso di perdita o fallimento" possono essere fattori scatenanti specialmente quando si presentano in un momento di particolare vulnerabilità da parte dell’individuo. E la donna vive spesso in una situazione emotiva di debolezza: difficoltà lavorative o scarse prospettive di carriera e diseguali opportunità, carico familiare, cura delle figlie spesso dei famigliari anziani, problemi affettivi con il partner. La società industriale e post industriale è caratterizzata dalla logica del consumo, dove sempre di più l’individuo perde la sua specifica identità, la sua particolarità, per assumere un carattere di serialità. Jacques Lacan introduce “Il discorso del capitalista” , che si pone come quinto discorso rispetto al discorso dell’Isterica, dell’Analista, del Padrone, dell’Università . Nel “discorso del capitalista” troviamo l’atteggiamento della società post capitalista, che è una deformazione del “discorso del padrone”. La “mancanza a essere” dell’individuo è uno degli insegnamenti fondamentali della clinica di Lacan, principio secondo il quale il soggetto è strutturalmente mancante e proprio per questo “desiderante”, di un desiderio soggettivato, individuale, unico, che unicamente si esprime nell’incontro con l’Altro e nel desiderio di mancare all’Altro, di essere significato perché soggetto particolare. Come rileva Massimo Recalcati in molti dei suoi scritti, la società capitalista agisce proprio su questa specifica dimensione, operando una riduzione della mancanza a vuoto, della mancanza a essere alla mancanza dell’oggetto, che è anche quella propriamente implicata nel discorso anoressico-bulimico. Quest’analogia è ampiamente mostrata anche da Gabriella Ripa di Meana in Figure della leggerezza: anoressia, bulimia, psicoanalisi. La mancanza è ridotta a domanda. La società produce sempre nuovi ideali che si basano sull’immagine, sull’estetica, sul mostrarsi in un determinato modo, in un primato dell’apparire e dell’avere sull’essere direbbe Fromm. Il Prof. Recalcati precisa che l’anoressia, anche se si mostra con effetti simili, ha cause differenti e, quindi, non esiste l’anoressia, ma le anoressie. Comunque l’effetto esteriore è che l’anoressica, si riduce ad un vuoto del corpo, tangibile, sempre a disposizione, sotto gli occhi di tutti. Un vuoto però dal quale la dimensione dell’Altro è tagliata fuori, fine a se stesso e senza dialettica con l’esterno. Cosa che non avveniva in un passato, anche remoto, con le figure di sante e di religiose che digiunavano in nome di Dio, ma non si tagliavano fuori, appunto, da questa dialettica con l’altro. L’anoressica oggi è alla ricerca spasmodica di un'immagine ideale che non è mai raggiunta, di una magrezza che non è mai abbastanza. L’anoressica si sottrae alla logica capitalista non consumando niente. La presenza di sintomi ossessivo-compulsivi ha portato alcuni ricercatori a domandarsi se un disturbo di personalità ossessivo-compulsivo coesista con l'anoressia. Lo stesso Freud, nella minuta G diretta a Fliess (1895) , aveva stabilito un nesso fra anoressia e depressione, oltre ad averla iscritta, in seguito, nella patologia isterica e ad averla correlata alle perversioni del carattere. Del resto storicamente l'anoressia è stata avvicinata ora alla nevrosi isterica (da Charcot, da Freud), ora alle forme psicoasteniche e ossessive, ora alle psicosi schizofreniche e alla depressione endogena. “Del resto l’insistenza della psicoanalisi sull’imprescendibilità della nozione di soggetto e della sua funzione di mediazione è già contenuta nel valore che Freud attribuisce più che al trauma in sé, al senso che esso riceve, retroattivamente, dall’interpretazione soggettiva. Inoltre, l’anoressia è la manifestazione di un disturbo del legame con l’Altro; ne sono testimonianza la tendenza all’isolamento e la diserzione della tavola come punto di incontro con il cibo e con gli altri. Ne consegue che la sregolatezza alimentare rinvia ad una sregolatezza relazionale del soggetto. Ma tale patologia, … è anche un tentativo di risposta al rapporto insostenibile con l’Altro, soprattutto l’Altro materno. In questo senso il sintomo vuole essere un tentativo, inconscio, di separazione dall’Altro troppo invasivo o del tutto assente. Questa “separazione” non consente al soggetto di raggiungere un’effettiva autonomia, ma lo inchioda al miraggio di un’autonomia illusoria frutto del raggiungimento del perfetto controllo di ogni bisogno; in altre parole, attraverso l’illusione di poter controllare ogni cosa della propria vita, il soggetto anoressico si convince di aver raggiunto quell’autonomia desiderata che in realtà altro non è che un’ulteriore forma di dipendenza. La cura dell’anoressia punta, allora, ad andare oltre il binomio autonomia-dipendenza, e a fare accettare la dipendenza dall’Altro, perché solo così si può sperare in una reale autonomia. In definitiva: un corpo odiato, vissuto come deforme, un corpo da distruggere, assottigliare, offendere, annullare: un corpo erroneamente percepito, che diviene il bersaglio di ogni insoddisfazione e senso di colpa. Un corpo che diviene lo strumento di comunicazione di ogni sofferto disagio e di ogni paralizzante bisogno di attenzione, mai dichiarato, mai chiesto, ma sempre agognato nel silenzio. L’Associazione Nazionale americana Anoressia Nervosa e Disturbi Correlati calcola che soltanto negli Stati Uniti ci sono otto milioni di anoressici, di cui la stragrande maggioranza (l’86%) ha cominciato a soffrirne prima dei 21 anni. Mentre in Italia il numero di casi di anoressia sono aumentati vertiginosamente, infatti, nel 1996 se ne contano 110'000, il doppio rispetto al 1988 quando se ne contavano 55'000. Inoltre i dati statistici dei paesi ricchi e industrializzati (nei quali il Giappone ha il record di queste sindromi) rivelano che, su 100 soggetti tra i 13 e i 25 anni, poco meno dell’1% soffre di episodi anoressici. Questo disordine alimentare colpisce soprattutto le ragazze dai 12 ai 25 anni, l’85% delle quali non è sposata.
Il periodico medico The Harvard Mental Health Letter riferisce che l’anoressia nervosa con il tempo oltre a causare gravi problemi di salute, può rivelarsi anche fatale, con una percentuale che va dal 3 al 5%, e il 15% di queste muore per problemi legati a insufficienza cardiaca o renale oppure a causa di qualche infezione. Di conseguenza l’anoressia è la prima causa di morte tra le malattie psichiatriche.
L’anoressia nervosa non è un disturbo tipico del nostro tempo, giacché era presente già nel Medioevo, anche se diversamente per quanto riguarda le motivazioni. Infatti nel Medioevo molte donne, le cosiddette ascetiche, raggiunsero la santità proprio imponendosi un distacco implacabile e assoluto verso ogni bisogno terreno, compreso quello del cibo necessario alla sopravvivenza. Nel passato le cronache dell’epoca ci rimandano l’immagine della moglie dell’imperatore d’Austria Francesco Giuseppe, la bella ed irrequieta Sissi, che soffriva di anoressia nervosa accompagnata da un’eccessiva e frenetica attività fisica. Forse il caso più clamoroso è quello descritto dallo storico americano Bell, che nel suo testo La santa anoressia, riconosce in santa Caterina da Siena (e in altre sante medievali) la figura dell’anoressica. Egli utilizza, in sintesi, i criteri diagnostici dell’anoressia nervosa e confrontandoli con le descrizioni autobiografiche delle sante giunge alla conclusione che i loro comportamenti alimentari vanno interpretati in senso patologico e che equivarrebbero ad un tipo di anoressia mentale. Patologia che esprimeva dal punto di vista culturale una protesta nei confronti della condizione femminile nel contesto sociale e religioso del Medioevo.
A livello scientifico, l’anoressia è conosciuta da tre secoli, da quando nel 1694 il medico inglese Richard Morton pubblicò il primo trattato medico a Londra, anche se fino a trent’anni fa è stata considerata una malattia rara. Nonostante il fatto che questa patologia non era del tutto sconosciuta, soltanto nel 1993 a Montecarlo, si è tenuto il primo congresso multidisciplinare sulle malattie legate all’alimentazione.

La malattia presenta tre stadi principali; dopo che la ragazza ha deciso di perdere qualche chilo entra direttamente nella prima fase dell’anoressia.
La prima fase è carica di uno stato di benessere per la ragazza che ha deciso di intraprendere una dieta, a parte le fatiche dovute alla restrizione alimentare che sono molte dure, vi possono essere ritorni positivi, come i complimenti di amici e parenti per la sua forma fisica ed il godimento che ne ricava osservandosi allo specchio. In seguito le fatiche e lo stress dovuti al cambiamento delle abitudini alimentari sono sostituiti da un senso di energia e da un generale stato di benessere. Questo cambiamento di umore, sembra secondo alcuni studi effettuati in merito, essere un meccanismo biologico essenziale per la conservazione della specie: difatti nei momenti di carestia (in questo caso all’inizio di una rigida dieta) è necessario che qualsiasi animale o essere umano faccia fronte a tal emergenza con un innalzamento dell’umore e di vitalità, per sopportare meglio le difficoltà. Purtroppo questo stato di benessere non dura a lungo e la sua scomparsa segna l’inizio della seconda fase.
Infatti, dopo lo stato euforico della ragazza dovuto alla perdita di peso, la sua mente viene via via invasa da pensieri ossessivi riguardanti il cibo.
Anche questi pensieri rivolti al cibo, esprimono un meccanismo che nasce dall’istinto naturale, ed essi governano la persona sino a quando non trova cibo per sopravvivere.
Man mano che il dimagrimento si fa più severo, la mente è invasa sempre più dalla paura di ingrassare e perdere il controllo. In effetti, il rischio di abbuffate esiste, di conseguenza l’anoressica accentua i rituali ossessivi e le rigide regole introdotte da lei stessa, per tenere sotto controllo la sua vita. Questi rituali con il passar del tempo diventano l’unica legge che governa la mente di queste ragazze, a tal punto che diventa impossibile ogni tentativo di convincerle a sottoporsi ad una terapia, se non quando toccano il fondo.

Conseguenze fisiche

L’anoressia è una malattia mentale che sconvolge la psiche, ma a causa delle cattive abitudini dell’individuo, si presentano anche conseguenze sotto l’aspetto clinico, in altre parole a livello biologico e fisico:
• - iperattività nel comportamento della persona
• - gonfiore e dolori addominali, dovuti all’eccessivo dimagrimento
• - sensazione continua di freddo soprattutto alle estremità
• - riduzione del ritmo cardiaco, fino a giungere alla brachicardia, in altre parole ad un rallentamento molto forte dei battiti del cuore
• - ipotensione, ovvero pressione sanguigna bassa, sia per la massima (sistolica) sia per la minima (diastolica)
• - crescita di una peluria diffusa, chiamato lanugo
• - ipotonia dell’apparato digerente (stipsi), ossia un funzionamento rallentante di tutti gli organi della digestione
• - formazione di petecchie, ossia di piccole emorragie esterne
• - l’assenza del ciclo mestruale nelle donne, questa è definita una conseguenza tuttavia reversibile
• - caduta dei capelli
• - pelle secca e squamosa
• - mani gialle all’interno dovute alle variazioni della carotenemia (ossia del contenuto del carotene nell’organismo)
• - osteoporosi, che è definita una conseguenza irreversibile
L’anoressia e la moda
Tra le varie ipotesi sull’’origine dell’anoressia, quella condivisa da tutti e collima con il desiderio di conformarsi al modello di bellezza, che nei giorni nostri presenta tratti esaltati di magrezza. Le ragazze possono iniziare una dieta inflessibile, che può condurle all’anoressia, nel determinato desiderio di assomigliare alle modelle proposte di continuo dai Mass Media. Gli effetti di queste modelle scheletriche non sono rilevabili soltanto sul pubblico, ma anche sulle modelle stesse. La moda non sembra badare al deleterio effetto della ricerca di magrezza. Si sostiene, difatti, che il vestito indossato non deve essere disturbato dalle forme troppo procaci di una modella. Come dimostra un sondaggio citato dalla rivista statunitense Newsweek, il 90% delle adolescenti di razza bianca sono insoddisfatte del proprio aspetto. Inoltre alcune di loro sono disposte a fare qualsiasi cosa pur di arrivare a somigliare alle modelle.
Da questa volontà a giungere ad una visione alterata per quanto riguarda i canoni di bellezza, il passo è breve. Una bellezza femminile distorta che spinge molte donne a cercare di raggiungere un peso che non è realistico. La dottoressa Christine Davies a questo proposito scrive: La donna media è alta 1 metro e 65 e pesa 66 chili. La modella è alta 1 metro e 80 e pesa 50 chili. Il 95% di noi non regge al confronto e non ci riuscirà mai.
L’autolesionismo

Com’è risaputa l’anoressica maltratta il suo corpo lasciandolo morire di fame, e purtroppo il passo da quest’atteggiamento all’autolesionismo non è per niente lungo. Infatti, spesso si può notare come il maltrattamento del corpo costituisca un richiamo irresistibile per l’autolesionismo.
A questo proposito, alcuni studi molto recenti hanno mostrato, come il processo di autodistruzione in certi casi, possa subire un acceleramento attraverso strade diverse. Questo succede ad esempio quando il disturbo sfocia verso un polo psicotico. Infatti, l’autolesionismo può essere una conseguenza alla dismorfofobia, (dal greco dis – morphé, forma distorta e φόβος, phobos = timore), è la fobia che nasce da una visione distorta che si ha del proprio corpo, oppure può presentarsi come un aiuto nel raggiungere l’annullamento di questi.
L’autolesionismo assume un ruolo molto simile a quello del vomito autoindotto a stomaco vuoto, in altre parole un’ulteriore strumento che permette al soggetto anoressico di punirsi.
La dinamica dell’autolesionismo è ancora più pregnante di quella del vomito: il valore simbolico che questa pratica assume, rende l’anoressica ancora più soddisfatta della punizione inflitta da lei stessa. Inoltre le cicatrici rappresentano per le anoressiche una visibile testimonianza dell’autodisciplina e rivestono una funzione di rassicurazione circa la loro condotta impeccabile. Ciò che differenzia l’autolesionismo dal vomito, è la sua maggior visibilità. Lo scopo delle ferite non è quello di essere viste dagli altri, bensì è rivolto verso l’individuo stesso. Di conseguenza l’anoressica in genere preferisce ferirsi le braccia o le gambe, perché queste parti del corpo sono meno in vista di altre.
Quando accade che le ferite siano viste da altre persone, il soggetto prova un profondo senso di vergogna, poiché lo rende oggetto di attenzioni e ciò rappresenta una successiva colpa da espiare.
Inoltre, dal punto di vista psicologico, il dolore fisico può rappresentare la dinamica del guarire un dolore con un altro più intenso. Ovvero causare un dolore, in modo consapevole e controllato, per distogliere l’attenzione dal dolore precedente, che è incontrollabile perché causato da fattori interni. Questo dolore che l’anoressica non è in grado di controllare può essere un dolore dell’anima che è affievolito da un dolore più forte, quello corporeo, che si è in grado di gestire e controllare.
Appunto per questo continuo bisogno di punirsi, la pratica del ferirsi è molto più comune tra le ragazze anoressiche che sono state educate con mezzi rigidi, che prevedevano anche punizioni corporali.

Lei purtroppo non ce l’ha fatta.
Isabelle Caro soffriva di anoressia nervosa sin da quando aveva 13.
Con il suo libro e la sua campagna pubblicitaria anche a mezzo delle foto di Oliviero Toscani nel 2007, intendeva aiutare se stessa a capire e le altre (la percentuale femminile nell’anoressia è molto alta), a non caderci. Nel 2006 era arrivata a pesare 25 chili e cadde in coma. Divenne famosa dopo aver posato nuda proprio a mezzo della successiva e controversa campagna pubblicitaria.
Morì il 17 novembre 2010, di ritorno da un viaggio aereo proveniente da Tokyo dopo circa due settimane di permanenza all'hôpital Xavier-Bichat di Parigi, dove era stata ricoverata appena arrivata; aveva 29 anni e pesava 31 chili per 1,64 di altezza. La notizia della morte giunse soltanto il 29 dicembre successivo.
Il padre di Isabelle, Christian Caro, non accettò che la causa della morte, fosse attribuita a una generica polmonite, e denunciò l'ospedale per omicidio colposo.
Il 4 gennaio 2011 la madre di Isabelle, Marie Caro, si è tolta la vita.
Isabelle diceva di sé: «Ho avuto un'infanzia molto complicata, molto difficile, molto dolorosa. La più grande fobia di mia madre era che sarei cresciuta. Trascorreva il suo tempo a prendermi le misure. Mi faceva indossare vestiti di una bambina di 4 anni perché rifiutava che io crescessi. Lei non mi permetteva di uscire perché aveva sentito che l'aria fresca faceva crescere i bambini e per questo mi teneva chiusa in casa. È stato molto traumatico.»
Nel 2009 uscì il libro autobiografico scritto dalla stessa Caro, dal titolo “La ragazza che non voleva crescere”.

[1] Isabelle Caro (Aubergenville, 9 settembre 1980 – Parigi, 18 novembre 2010) è stata una modella e attrice teatrale francese.

[2] J. Lacan, Il seminario. Libro I

[3] Docente di psichiatria all'Università di Udine

[4] In Del discorso psicoanalitico del ’72

[5] J. Lacan, 1969-70

[6] Analiste Membre de l’Ecole (A.M.E.) della Scuola Lacaniana di Psicoanalisi’ si occupa da anni, all'interno del panorama psicoanalitico italiano, della clinica dei disturbi del comportamento alimentare (anoressia e bulimia).

[7] ROMA : ASTROLABIO, 1995 (PSICHE E COSCIENZA)

[8] E’ possibile leggere la copiosa corrispondenza che Sigmund Freud intrattenne con il collega ed amico Wilhelm Fliess, per una serie di fortuite condizioni che permisero a Mme Marie Bonaparte di acquistare il suddetto carteggio.

[9] Psicoanalisi dell'anoressia: il corpo devastato. Silvia Cherchi, Università degli Studi di L'Aquila, 2005-06

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