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Anziani e giovani: gruppi marginali nelle società occidentali. Intervista a Carla Costanzi

Anziani e giovani: gruppi marginali nelle società occidentali. Intervista a Carla Costanzi

Se conta solo il lavoro produttivo, i gruppi sociali esclusi non hanno voce in capitolo nella società. È sbagliato e ingiusto. Queste due generazioni possono allearsi per modificare la situazione

Mercoledi, 24/08/2022 -

L’intervento della professoressa Carla Costanzi al Festival di Bioetica 2022 (Santa Margherita Ligure 27 e 28 agosto, Istituto Italiano di Bioetica) si concentra sul doppio binario della giovinezza e della vecchiaia, a partire dalle comuni accezioni, passando per le circostanze che accomunano queste due grandi fette della popolazione e arrivando alle prospettive future. Abbiamo raccolto alcune riflessioni, contenute nell’intervento che la prof.ssa Costanzi farà al Festival.  

Per quali ragioni lei definisce giovani e anziani “gruppi marginali” della società?
Le società occidentali da tempo sono focalizzate sul lavoro, in particolare nella sua accezione di l. produttivo, e di conseguenza sui gruppi sociali che sono attori in questo ambito; chi ha grosse difficoltà ad entrare in questa dimensione o ne è uscito è pertanto percepito come marginale (a riprova si veda il mancato riconoscimento del lavoro domestico e di cura delle donne considerato appunto come non produttivo). La marginalità di questi due gruppi si manifesta anche nella scarsa conoscenza, e quindi interesse a conoscere, delle loro reali condizioni. Così a proposito di anziani quando se ne parla si citano solo “bisogni”, riferendosi cioè prevalentemente alla quota, per fortuna esigua, più problematica di questo gruppo, mentre la maggioranza gode di condizioni buone o discrete. Ma gli anziani non hanno solo bisogni, soprattutto le generazioni dei baby boomers hanno aspirazioni, aspettative, progetti che desiderano realizzare, non vogliono cioè semplicemente sopravvivere, bensì vivere appieno, realizzare se stessi e i propri sogni. Tutto ciò è assolutamente ignorato da chi siede nella stanza dei bottoni. 

A suo parere queste circostanze potranno cambiare o dovranno cambiare?
Questo dipende dalla capacità di diventare protagonisti che questi due gruppi demografici saranno in grado di esprimere, di elaborare cioè prospettive diverse e impegnarsi a renderle concrete, superando cioè la logica della delega ad altri, superando la pura e semplice protesta per indicare alternative concrete. Per quanto riguarda i giovani ci sono, seppur circoscritti, segnali postivi in questo senso: abbiamo visto negli ultimissimi anni alcuni gruppi di giovani impegnarsi in politica, molti mobilitarsi per grandi cause come l’ambiente… In altre parole nei giovani ci sono grandi potenzialità che, se non ostacolate, potranno produrre risultati positivi. Per gli anziani la mia speranza è riposta nei baby boomers: tra costoro molti nella loro giovinezza sono stati attori di grandi cambiamenti, sia a livello collettivo sia nel privato e hanno sperimentato e verificato che condividere gli obiettivi e agire in gruppo porta a risultati. Oggi quelle generazioni devono ritrovare uno spirito analogo, la voglia di collaborare per cambiare a partire proprio dall’adozione - da parte loro in primis - di una nuova e più adeguata idea di vecchiaia. È un cambiamento radicale anche nelle modalità di azione, perché mai nei secoli passati gli anziani si sono organizzati e comportati come categoria sociale, ma proprio la maturazione di una consistente consapevolezza del loro essere ben diversi da come stereotipi e pregiudizi infondati li descrivono, potrà produrre cambiamenti sostanziali non solo nell’immagine prevalente, ma anche nel concreto modo di vivere questa tappa dell’esistenza. Qualche segnale innovativo si può cogliere in alcuni settori del mercato, che da qualche anno testimoniano nuove modalità di rappresentare la vecchiaia nelle varie manifestazioni della pubblicità, dai cosmetici alla moda; altri settori, a mio avviso, nel tentativo di innovare falliscono invece clamorosamente finendo col ridicolizzare gli anziani rappresentati. Tuttavia anche questi approcci, seppur non riusciti, possono essere letti come testimonianza di una nuova esigenza di adeguare il linguaggio alla realtà. 

Nell’opinione comune è diffusa la convinzione che un tempo, a differenza di quanto vediamo oggi, gli anziani godessero di rispetto condiviso e si riconoscesse loro saggezza ed autorità. È sempre stato così?
Ripercorrendo la storia delle culture sviluppatesi nel continente europeo ho trovato clamorose smentite a questo assunto. Solo quando la scrittura non era patrimonio condiviso, o comunque risorsa di pochi, gli anziani rappresentavano la memoria e il sapere del loro popolo. A loro ci si rivolgeva per dirimere le controversie, per avere consigli sulle decisioni da prendere e spesso erano considerati i capi naturali delle comunità di appartenenza. Ma già alcuni secoli prima di Cristo la situazione è radicalmente cambiata: sia la Grecia antica che Roma offrono testimonianze nette del discredito con cui venivano percepiti i vecchi (e le donne in particolar modo). Le fasi storiche ispirate al mondo classico (si veda soprattutto il Rinascimento) furono i periodi più negativi per gli atteggiamenti e i comportamenti verso gli anziani. Nell’insieme la storia della vecchiaia nel mondo occidentale traccia un percorso che alterna progressiva degradazione e fasi di indifferenza. Il perdurare per secoli di rappresentazioni negative della vecchiaia rende oggi particolarmente arduo modificare queste idee; anche il loro carattere prevalentemente irrazionale ne rende difficile il contrasto. Ma proprio la consapevolezza dell’assurdità di questo assunto può essere il punto di partenza per procedere nel percorso di decostruzione di queste negatività.
Intervista a cura di Tiziana Bartolini


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