Martedi, 07/06/2022 - Celle-ci n’est pas une biographie. Questa non è una biografia. Non di quelle canoniche, almeno. Coco Chanel. Una donna del nostro tempo di Annarita Briganti (Cairo 2021) è un appassionato tributo a Mademoiselle Gabrielle Bonheur Chanel, detta Coco. Ma non è solo questo.
Le tradizionali biografie ricostruiscono quanti più particolari possibili della vita della persona, ogni sfumatura, ogni prospettiva. Talvolta sono un tale affastellarsi di elementi irrilevanti che, nella foga di mostrare proprio ogni cosa, rischiano di annoiare. Qui no. Annarita Briganti ricostruisce sì la vita di Coco Chanel, ma presto ci si accorge che i vari eventi sono quasi un orpello, scampoli di giorni riferiti neanche sempre in ordine cronologico.
È come se, spulciando alacremente tra archivi, documenti, articoli, l’autrice cercasse in realtà di legittimare il proprio percorso. Come se, dando un senso alla narrazione, cercasse semplicemente di darlo a sé, in un gioco di specchi da donna a donna di grande effetto.
Il racconto delle due figure si intreccia più volte, inaspettatamente, in un dialogo che si fa beffe della distanza temporale, e così, in pagine in cui credi di leggere di una, in realtà stai leggendo dell’altra. Ci si ritrova insomma di fronte a una giovane donna che cerca, attraverso i passi della sua eroina, l’esempio, la conferma di essere sulla strada giusta, come ad attenderne l’approvazione per andare avanti.
È un ritratto profondamente empatico, dove sin dall’inizio la scrittrice ci tiene a giustificare la freddezza di Mademoiselle Chanel, imputandola ai drammi attraversati sin da piccola: la morte della madre quando è bambina, l’abbandono del padre, la protezione delle suore del Sacro Cuore che l’accoglieranno in orfanotrofio. “La conseguenza di questo stress post traumatico è la difficoltà di Chanel di stare in una relazione, ma vedremo anche che il destino, il caso, la sorte, i suoi compagni, fanno la loro parte nel rovinare tutto”. Una sorte che le farà incontrare Boy Capel, il grande amore, per poi portarglielo via con un incidente d’auto. Coco Chanel è stata una fenice, bruciata mille volte e mille volte rinata dalle sue ceneri: ha sormontato la povertà, la perdita del suo amato compagno e mentore, la spagnola, due guerre mondiali.
A mano a mano che questi drammi si inanellano, si percepisce l’ammirazione viscerale dell’autrice per questa sbalorditiva artista, una che ce l’ha fatta in tempi durissimi, una donna sola che ha fondato un impero e l’ha ricostruito ogni volta che gli eventi lo hanno buttato giù. Una donna con tutte le sue fragilità, che vive nella sua casa elegante, ma va a dormire all’hotel Ritz, perché dormire da sola la spaventa.
“Chanel non si sarebbe mai ripresa dalla sua infanzia – per entrare nel suo cerchio magico bisognava avere subito un trauma da piccoli, essere stati abbandonati in tenera età, non avere conosciuto i genitori, averli persi, avere comunque vissuto dei drammi – e forse anche per questo avrebbe sempre amato l’autenticità, gli artisti capaci di trasformare in arte le loro cicatrici. L’orfana, la provinciale capace di fare innamorare chiunque, la donna sfuggente che rifiuta di essere da meno di un uomo e aiuta le donne a emanciparsi – una femminista de facto, sul campo, la combattente, la guerriera, la workaholic sempre all’erta che per addormentarsi si fa da sola una siringa di morfina, il mito: tutte le varie Chanel restano per sempre giovani”.
Provinciale: l’autrice ripete spesso questa parola, forse perché le risuona. Come a rimarcare che riscattarsi da una tale condizione rende la stilista già mitologica, una gigante, che cresce pagina dopo pagina, sempre più magnifica, sempre più potente a mano a mano che si affastellano le testimonianze, le narrazioni. Come le sue massime, imperdibili: “Un uomo può indossare ciò che vuole. Resterà sempre un accessorio della donna”.
Un’artista che ha dettato legge nell’abbigliamento, nel costume, che ha creato il profumo più celebre al mondo, una professionista che ha sempre perseguito l’ordine e l’essenziale, forse per mettere ordine in un’esistenza difficile: mai uscire senza rossetto, niente gioielli di valore, “una donna non dovrebbe mettere al collo il suo denaro”, togliersi sempre qualcosa quando ci si specchia prima di uscire. Non mancano imprescindibili consigli di vita: “Indosso sempre un cappello così, se arriva qualcuno, posso dire che me ne sto andando”, o sentenze indiscutibili, “La moda passa. Lo stile resta”.
Una signora che farà girare la testa a donne e uomini, che sceglierà con chi avviare una relazione e stabilirà quando chiuderla, certa di non concedere mai troppo di sé, ché quello accade una volta sola, e forse due non sarebbe elegante. Sicura di sé, ironica, distaccata al punto giusto: “La mia epoca mi aspettava. Non ho dovuto fare altro che arrivare. Lei era pronta”. Capricciosa, che un giorno ti cercava a il giorno dopo ti cacciava. Costantemente generosa nell’aiutare gli artisti in difficoltà economiche. Sardonica, tagliente, rigorosa, meticolosa. Sola. Ma decisamente lucida.
Verso la fine del libro, Annarita Briganti riporta le parole di Karl Lagerfeld, erede nella Maison Chanel, da cui straripa l’ammirazione per Coco, come donna rivoluzionaria e come artista carismatica e intuitiva, e ne difende, anche lui, la rigidità figlia di una vita ardua.
È una conferma per l’autrice, che esulta di riconoscenza e accoglie le parole dello stilista come fossero destinate anche a lei, a noi: “Che bello avere qualcuno che capisce la nostra ironia, la nostra durezza, la nostra distanza dal passato, le nostre cicatrici. Degli uomini di carattere si dice che abbiano carattere, delle donne che hanno un brutto carattere, ma quelle che preferisco sono indocili, ribelli, sporcate dalla vita, piene di cicatrici, e di talento. E comunque, non dobbiamo la verità a nessuno”.
Eccolo, il punto di fusione: abbiamo visto l’autrice saltare sui taxi, infilarsi nei vicoli, rovistare in cerca di una scia lasciata da Mademoiselle, inseguirne il fantasma nel suo caffè abituale, dove le indicano il suo tavolo, e ancora sbirciare in case, uffici, percorrere Rue Cambon e Rue de Rivoli a Parigi, lungo le vite di coloro che hanno ruotato attorno a quella di Coco Chanel. Una rincorsa a perdifiato fino a riconoscersi nelle sue battaglie, fino a cancellare i confini e a sposarne le rivendicazioni. Felicità, rispetto, ascolto, indipendenza: chi non si assocerebbe?
E così, le guerre mondiali superate da Chanel si sovrappongono alla pandemia della Briganti, le considerazioni amare sugli uomini dell’una risuonano nell’altra, e ancora la bellezza, il riscatto sociale, l’iniziare da zero, l’amore per i libri, la forza, i calci “contro i cattivi pensieri”, la felicità contro il dolore.
Del resto, è alla vita che è dedicato questo lavoro, quella conclusa ma ancora irraggiante di Coco, quella giovane e colma di curioso stupore di Annarita Briganti. Esistenze che si sfiorano e si interpellano, si confrontano e si arricchiscono. La vita citata in esergo, che “è un enigma”, e che sarebbe molto più lieve se avessimo una guida come Coco a mostrarcela tanto chiaramente: “La gente crede che io abbia trovato tutte le porte aperte, ma la verità è che le ho spinte”.
Dopo un dialogo tra le due che percorre in filigrana l’intero libro, sembra quasi di scorgere l’autrice rivolta alla sua maestra, che la osserva dall’alto dei suoi giri di perle, del cappello, dei polsini con la croce di Malta e della sigaretta tra le labbra, e lì le chiedesse, profumando di Chanel N° 5: che dici, vado bene così?
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