Una ‘rivista fortemente politica’ e ‘attenta alla mutevolezza del contesto’ in cui ‘il femminismo, i femminismi, non sono un dogma definito una volta per tutte’
La storia e la vita di testate autonome delle donne è un capitolo importantissimo della lunga storia più generale del movimento delle donne. Molte di quelle testate non ci sono più purtroppo ma altre sono riuscite, tra difficoltà e coraggio, ad andare avanti. Leggendaria è una di queste. A raccontare il suo cammino è la direttora Anna Maria Crispino, animatrice fin dai primi passi di un prodotto editoriale originale e raffinato.
Che ruolo ha svolto in tutti questi anni? Che bilancio anche personale fai di questa esperienza?
Dopo il decennio di sperimentazione di una prima versione della rivista – “legendaria”, minuscolo e con una “g” sola – nata come supplemento “cangurato” dal mensile NoiDonne - la nuova Leggendaria (maiuscolo, due “g”) si è presentata come testata autonoma lanciando una forte scommessa: che ci fosse spazio e ragione per puntare su un pubblico di lettrici pronte a sostenere la produzione editoriale a firma femminile e, più in generale, la cultura delle donne. L’intento era non solo quello di valorizzare temi e autrici poco considerate da quotidiani e riviste “mainstream”, ma di lavorare ad una sorta di cartografia delle scritture delle donne, sia rintracciando e ricostruendo genealogie perdute (una dimensione per così dire “verticale” nel tempo) sia creando connessioni tra titoli e generi che autrici e studiose stavano producendo da ormai oltre un ventennio (dimensione “orizzontale”). Per questo Leggendaria non è mai stata - non ha mai voluto essere - una rivista “di scuola”, vale a dire un luogo in cui si potesse riflettere una “linea” della redazione: è stata, e crediamo che sia tuttora, una creatura “in divenire”, inclusiva delle differenze (anche al nostro interno), dialogante, priva di rigidezze ideologiche, in certo modo “nomade”, capace cioè di tornare “in luoghi in cui siamo già state” (Rosi Braidotti) perché particolarmente attenta alla mutevolezza del contesto. È questo tratto, io credo, che la connota come una rivista fortemente politica: il femminismo, i femminismi, non sono un dogma definito una volta per tutte. Basta sfogliare la collezione – siamo al 173esimo numero – per accorgersi di quanto sia cambiata, nei contenuti ma anche nella grafica, nei suoi quasi 30 anni di vita. E siamo qui, nonostante la fatica che costa produrre una rivista senza finanziamenti se non quello che forniscono le nostre abbonate. Personalmente, mi sento felice per una impresa che vive sulla colonna sonora di “bella e impossibile”, con discrezione…
Guardando indietro che passaggi, belli ma anche critici, ricordi più importanti per la vita di Leggendaria?
Un passaggio difficile è stato quando, alla fine degli anni Novanta, i grandi editori hanno smesso di investire in pubblicità sulle testate cosiddette “minori”: fino ad allora avevamo, con fatica, avuto un po’ di inserzioni dalle case editrici più sensibili e attente al fenomeno della crescita delle lettrici, poi i rubinetti si sono completamente chiusi. Altro passaggio faticoso è stato quello che ci ha costretto ad un salto tecnologico (informatico) che non avevamo i mezzi economici per affrontare. Ma è stato anche un bel momento, perché per rinnovare il sito (e renderlo “dinamico”) abbiamo lanciato la campagna “Madrine” – sì, proprio le fate buon accorse alla culla della neonata Aurora – che chiedeva alle lettrici che ne avevano la possibilità di sottoscrivere un abbonamento maggiorato per finanziare il nuovo sito. La campagna è andata bene, la risposta è stata generosa e la formula è spontaneamente diventata fissa e non emergenziale. Poi c’è stato l’apertura parallela della pubblicazione (e relativi abbonamenti) dei numeri in Pdf, decisa anche per incoraggiare le lettrici più giovani… e così via.
Leggendaria è nata all’interno di una storia di una rivista storica delle donne, NOIDONNE. Poi ha preso la sua strada di autonomia. Oggi è possibile sfogliare e rileggere sull’archivio digitale di NOIDONNE questi bellissimi fogli nati dalla esigenza di dare più spazio e valore alle produzioni culturali delle donne. Che pensieri ti vengono su questa storia?
Pensieri, direi in almeno due direzioni: la prima è il riconoscimento di un forte debito di gratitudine per NoiDonne, come testata, appunto, “storica” ma anche come collettivo di donne in carne e ossa che hanno affrontato venti e tempeste per tenerla in vita. Credo che la rivista dell’Udi sia stata dalla fine degli anni Settanta, uno straordinario laboratorio di pratiche e di dialogo tra la tradizione emancipazionista – forte e nobilissima in Italia – e il femminismo. Anche nelle sue forme più radicali. L’ho vissuto personalmente quando, dopo Roberta Tatafiore e Silvia Neonato, sono entrata in una redazione che ha agito quel confronto. In secondo luogo, la storia di NoiDonne, di Leggendaria e di altre (poche) riviste di donne ci interroga, io credo, su quel “di più” che occorre per creare e tenere in vita imprese originali, fuori dal già previsto e capaci di “inventare” prodotti e pratiche che nascono da esigenze ed esperienze di passione e curiosità intellettuale e politica.
Il problema di parlare e interloquire veramente con le giovani generazioni è una delle questioni cruciali con cui tutte le espressioni del vasto e differenziato mondo femminista e femminile si misura. Leggendaria come si è misurata e si misura con questo problema?
Beh, nel nostro piccolo abbiamo fatto tutto ciò di cui siamo state capaci per favorire la lettura – ma anche la scrittura – di quelle “venute dopo di noi”. Alcune rubriche di Leggendaria sono state e sono tuttora, anche piccoli laboratori di scrittura, quel tipo di scrittura non accademica ma cólta e informata che ci sforziamo di praticare come nostra cifra. Le giovani lettrici (Under-35) hanno una tariffa agevolata per l’abbonamento alla rivista. Nel tempo è cresciuta la quota di coloro che ci scrivono, anche dall’estero, per avere suggerimenti bibliografici per tesi e ricerche e dall’anno prossimo speriamo di avere un archivio informatico che possa agevolare questo tipo di ricerche. Vorremmo però evitare il rischio di un eccessivo maternage: come disse una giovane donna geniale in una delle riunioni del femminismo italiano a Paestum (2012, “Primum, vivere anche nella crisi”): siamo tutte contemporanee.
Lascia un Commento