Sabato, 12/07/2014 - “Diario partigiano”, scritto dal 13 settembre del 43 al 25 aprile del 45 da Ada Gobetti ( Einaudi 2014), rappresenta senza dubbio un esempio unico di una narrazione in tempo reale relativa ad un periodo particolarmente tragico della nostra storia. Ma ciò che rende singolare questo libro è anche e soprattutto il fatto che a scrivere sia una donna impegnata nella lotta clandestina, dunque ben attenta ora per ora, minuto per minuto, a non lasciare traccia di nomi e luoghi legati alla sua attività sovversiva. Consapevole dell’importanza del momento storico ma anche dei rischi, quasi ogni giorno annota su un quaderno quello che le accade avvalendosi di un inglese criptico, quasi cifrato, difficilmente decodificabile.
Lei è Ada Prospero Gobetti Marchesini, nata a Torino nel 1902, giovanissima suffragetta di inizio secolo, insegnante di inglese, traduttrice anche dal russo e autrice di libri per l’infanzia, ma ricordata innanzitutto come autorevole esponente del primo antifascismo e della successiva lotta di Liberazione. Nel 23 aveva sposato Piero Gobetti, morto a 25 anni a Parigi in seguito alle percosse subite dai fascisti; due mesi prima era nato il figlio Paolo. Ada continuerà a mantenere aperta la sua casa alla cospirazione antifascista, soprattutto quella legata al gruppo “Giustizia e libertà”, insieme al secondo marito Ettore Marchesini; con lui e col figlio diciottenne condividerà la lotta partigiana. Anche questo dato rappresenta un elemento assai significativo che conferisce particolare densità e pregnanza umana all’esperienza resistenziale narrata e ci consegna una immagine di madre inedita, estranea alle logiche proprietarie della figura materna tradizionale. La prima edizione di “Diario partigiano”, scritto nella sua completezza due anni dopo la Liberazione, uscì nel 56 con una nota di Italo Calvino.
Fu proprio Benedetto Croce, in un’Italia finalmente liberata, a chiederle di riscrivere in forma leggibile quel diario perché, di fronte a discordanze e accentuazioni retoriche, desiderava capire meglio cosa fosse stata nella realtà l’esperienza della Resistenza. Quest’anno il libro è stato ripubblicato da Einaudi e, oltre alla nota di Calvino, ripropone dall’edizione del 1996 l’introduzione di Goffredo Fofi e una postfazione di Bianca Guidetti Serra, partigiana anche lei e organizzatrice insieme ad Ada dei Gruppi di Difesa della Donna in Piemonte. Mi è sembrata questa dell’editore una scelta molto opportuna, in un momento in cui da più parti si va ricordando nel nostro Paese il settantesimo della Resistenza con una sorta di reiterata e colpevole disattenzione sull’apporto specifico delle donne nelle sue varie forme. Ada infatti, nel restituire eventi e protagonisti della sua esperienza di partigiana, colloca la Resistenza là dove è effettivamente accaduta: nel quotidiano fluire della vita e nell’interezza delle soggettività coinvolte, della sua innanzitutto. Una passione fortemente radicata per la libertà e la giustizia, una sensibilità e una intelligenza non comuni nel leggere la realtà umana, sociale e politica, un coraggio alimentato dalla fiducia negli altri e da una certa più o meno consapevole incoscienza, la capacità di autoironia ed empatia, ma anche i timori, le incertezze, le paure di madre e di compagna, il dolore e l’orrore e, non ultimo, il corpo con la sua fragilità e le sue insospettabili risorse: tutto questo è al centro di una narrazione al di fuori di ogni retorica, avvincente, vera, insostenibile a tratti.
È così che nel suo racconto, tra pagine di diario e successive integrazioni della memoria nei vuoti temporali imposti dagli eventi, la Resistenza armata si intreccia e si alimenta con la Resistenza civile e la Resistenza privata, restituendo valore politico a gesti che sono a fondamento di una civiltà nel vivere relazioni umane basate sulla cura ad ogni costo: ad esempio ospitare gli ebrei, nascondere e rivestire i soldati italiani sbandati , portare indumenti, viveri, armi e stampa clandestina ai gruppi partigiani, dare sepoltura ai fucilati o impiccati o, semplicemente, non lasciare soli i loro corpi prima che arrivino i parenti.
Sono soprattutto le donne le protagoniste di tutte queste forme di resistenza, di lotta, di solidarietà e tante sono le presenze femminili, molte senza nome, che animano le oltre 400 pagine del libro. Ad esse si affiancano protagonisti prestigiosi dell’antifascismo, molti purtroppo caduti nella lotta, altri che ritroveremo attivamente impegnati per la costruzione della democrazia nell’Italia libera. La sincerità di una memoria, che non vuole restare ingabbiata da opportunismi o contrapposizioni ideologiche, arriva a dare parole anche alle beghe tra donne di diverse appartenenze all’interno dei Gruppi di Difesa delle Donne su cui lei sarà chiamata a trovare mediazioni, o tra le forze alleate da lei contattate nella Francia liberata, dove Francesi e Inglesi tentati da inopportune competizioni rendono più lenti i tempi dell’aiuto ai partigiani operanti nelle valli piemontesi.
E il “nemico” non viene spogliato mai del tutto della sua umanità per cui Ada si trova a considerare una vera fortuna per lei il fatto che in circostanze particolarmente pericolose non sia stata infine costretta a sparare al soldato tedesco che si è trovato davanti sulla sua strada. Uno sguardo materno, che ritroviamo spesso nel racconto di altre testimoni, è quello che la salva dal rischio di precipitare nella barbarie non di rado vissuta come inevitabile, naturale prodotto della guerra e della lotta.
Pochi giorni prima della Liberazione di Torino la sua analisi lucida e realistica della situazione le suggerisce dubbi e timori circa la capacità di realizzare il tipo di società vagheggiata nei lunghi mesi di occupazione, a fronte di interessi particolari che a suo giudizio sarebbero riemersi, vecchie abitudini che si sarebbero riaffermate e pregiudizi duri a morire.
Così scriverà nel 49 “…si trattava di combattere tra di noi e dentro noi stessi, non per distruggere soltanto, ma per chiarire, affermare, creare” e mantenere ”quella piccola fiamma di umanità solidale e fraterna che avevam visto nascere il 10 settembre e che per venti mesi ci aveva sostenuti e guidati”. Un chiaro invito il suo ad una trasformazione radicale delle coscienze come presupposto indispensabile per la costruzione di una società e una politica nuove. Quanta lungimiranza! Nella modestia che la contraddistingue esprime le sue perplessità anche di fronte alla richiesta che le viene fatta di fare la vicesindaco: sarà mai all’altezza? Accetta naturalmente. Ricorda Bianca Guidetti Serra alla fine della sua postfazione “A Torino l’insurrezione si protrasse per qualche giorno a partire dal 26 aprile. Vediamo ancora Ada, in uno dei suoi atteggiamenti caratteristici, percorrere il 28 su una bicicletta sgangherata le vie della città, infestate dai cecchini. È il nuovo vicesindaco che tenta di raggiungere il Municipio”. È questo un libro da leggere e far leggere anche nelle scuole. Quando si parla di Padri della Repubblica, non dimentichiamo mai di nominare e chiedere che vengano nominate e ricordate le Madri: Ada Prosperi Gobetti Marchesini è senza dubbio una delle tante Madri da non dimenticare.
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