Aborto farmacologico: ancora un tabù in Italia. Intervista a Giovanna Scassellati
Il Ministero della Salute ha pubblicato le Linee di Indirizzo ma le Regioni non sono tenute ad applicarle. E il centrodestra punta al movimento per la vita nei consultori
Venerdi, 26/02/2021 - È a partire dalle Linee di Indirizzo pubblicate nel sito del Ministero della Salute nell’agosto 2020 che prende avvio la riflessione di Giovanna Scassellati, ginecologa responsabile del "Day Hospital-Day Surgery 194" dell'ospedale San Camillo di Roma, il reparto dove si fanno le Interruzioni Volontarie di Gravidanza. “Le professioniste che svolgono il loro lavoro ogni giorno, supportando con amore e disciplina le donne che scelgono di fare un’Interruzione Volontaria di Gravidanza (IVG) farmacologica possono testimoniare quanto sia ancora troppo poco valorizzata nel nostro paese, che è ancora troppo arretrato i questa pratica. A volte facciamo un piccolo passo in avanti, ma poi nuovamente tanti all’indietro”.
Il punto che Scassellati sottolinea riguarda il ritardo con cui l’Italia, rispetto all’Europa, ha recuperato un ritardo. Sono, appunto le Linee di Indirizzo sul Safe Abortion emanate dall’attuale Ministro della Salute l’11 agosto 2020. “Grazie a questo provvedimento alle donne italiane è stato permesso di sottoporsi ad IVG farmacologica fino a 9 settimane, come previsto in tutta Europa da anni”. Ci tiene a sottolineare inoltre un aspetto, molti significativo. “In Italia Exelgin non aveva mai chiesto il riconoscimento del farmaco nella consapevolezza che sarebbe stato bocciato. Ha preferito seguire la strada del mutuo riconoscimento dopo il Portogallo nel 2009. Grazie al prof Locatelli sono state pubblicate le Linee di Indirizzo”.
Ma la tortuosa strada per consentire l’accesso alla’IVG farmacologica non si è conclusa con questo documento ufficiale. “Il nostro Sistema Sanitario Nazionale prevede che siano le Regioni a deliberare l’avvio ad una procedura ambulatoriale al fine di evitare la degenza, lasciando loro – nei fatti – la reale applicazione della legge e l’accoglimento delle disposizioni ministeriali”. In effetti del conflitto di competenze tra Stato e Regioni stiamo vedendo gli effetti durante la pandemia, con differenti modelli di assistenza. “Tutto questo ci parla di una urgenza di rivedere il SSN superando le frammentazioni e i modelli di privatizzazioni che spesso hanno prodotto una distruzione della medicina di base e dei consultori – spiega Scassellati, e continua - . Bisogna ripensare il modello di salute pubblica, e l’IVG è parte della sanità pubblica”.
In questa direzione si è mossa la Regione Lazio che, seguendo l’indirizzo dell’assessore Alessio D’Amato, ha istituito una Commissione regionale di esperti di cui la dr.ssa Giovanna Scassellati ha fatto parte come Responsabile dell’Ospedale San Camillo. “L’obiettivo della Commissione era stilare le Linee di Indirizzo ambulatoriali, che sono state pubblicate il 30 dicembre scorso e che permettono di portare parte della procedura fuori da un percorso di ricovero. L’importanza di queste Linee di Indirizzo, acquisite formalmente con una Determina, consiste nel fatto che sono state acquisite e rese operative le Linee di Indirizzo volute dal ministro della Salute Roberto Speranza. È vero, i Direttori delle ASL non sono obbligati a seguire questo indirizzo, ma io credo che saranno molte ginecologhe a farla camminare. Piano piano prenderà piede e questo consentirà di allinearci all’Europa”.
Per invertire la tendenza della sempre meno applicata legge 194 a causa dell’alto numero di obiettori di coscienza c’è bisogno di molto lavoro anche con un piano dell’informazione e della sensibilizzazione. “Molte donne non conoscono i loro diritti, bisogna fare campagne informative e lavorare anche sulla prevenzione dell’aborto. Purtroppo in tanti remano contro, per esempio le Regioni governate dal centrodestra - penso all’Umbria, alle Marche, all’Abruzzo - oppure al Veneto che ha deliberato di mettere nei Consultori persone del movimento della vita affinché parlino con le donne che fanno richiesta di IVG. È un’intrusione inaccettabile che lede l’autodeterminazione delle donne, che intende affermare un’idea di donna deputata a fare figli. Non posso dimenticare la battaglia che nel Lazio abbiamo combattuto per anni contro le proposte della consigliera regionale Tarsia raccogliendo 90.000 firme durante gli anni di Storace e poi di Polverini. Battaglia che abbiamo vinto, ma a costo di tanto lavoro e impegno con continue riunioni alla Casa Internazionale delle Donne di Roma”. C’è chi punta sull’aumento delle nascite pensando di obbligare le donne a fare figli e cita i recenti dati Istat che restituiscono per la prima volta il primato delle morti sulle nascite, anche a causa del Covid-19. “Non si possono forzare le donne, l’autodeterminazione è stata una battaglia di progresso che ci ha portato a scegliere i tempi e i modi di fare famiglia, per esempio oggi ci sono tante famiglie anche monoparentali. Il problema vero è il lavoro e le difficoltà della gestione dei figli, per la quale è indispensabile un supporto familiare. Quindi ci vogliono politiche che aiutino la conciliazione di orari e tempi di vita con più possibilità di scelta di un lavoro flessibile o part time. Siamo ancora molto lontani - sottolinea Scassellati - , e occorre molto lottare per avere servizi adeguati e reclamare diritti, diritti che, ricordo alle giovani, non sono mai acquisiti per sempre. Sono beni da tutelare giorno per giorno, da consegnare alle nostre figlie e nipoti”.
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