Giovedi, 08/10/2020 - Cosa sta succedendo ai diritti delle donne? A quei diritti che affermano la loro libertà, la loro dignità e sanciscono la loro autodeterminazione? Purtroppo ogni giorno assistiamo sgomente al loro arretramento nei nostri territori, in Italia, in Europa, nel Mondo.
L’elenco è lunghissimo: l’attacco, ormai costante alla l.194 sull’interruzione volontaria di gravidanza, sia cercando di metterla in discussione con nuove norme che ne minano l’impianto (vedi il ddl Gasparri che vuole modificare l’art. 1 del codice civile, che stabilisce che la capacità giuridica si acquista dal momento della nascita, proponendo di anticipare quella attribuzione di soggettività al momento del concepimento; in questo modo, automaticamente, qualsiasi interruzione della gravidanza diventerebbe un illecito da perseguire; formalmente non si tocca la l.194 ma di fatto è un vero tentativo di abolirla), sia boicottandola concretamente con il problema mai risolto dei medici obiettori che in alcune regioni praticamente impedisce alle donne di ricorrere all’Ivg nel territorio di residenza, sia, come sta succedendo in Piemonte e in Umbria, limitando l’accesso delle donne all’aborto farmacologico in day hospital e rendendo difficoltoso e mortificante per la donna abortire, sia con l’attivazione, in alcune regioni, di sportelli informativi all’interno degli ospedali ad associazioni di volontariato (leggi movimento per la vita) o di mozioni che istituiscono “bonus” per la donna che decide di non abortire, o con proposte come quella dell’ introduzione del “registro nazionale dei bambini non nati” (già approvata nel comune di Marsala)
L’ultimo e grave episodio di stigmatizzazione della scelta di abortire è quello portato alla luce da una donna romana che sette mesi dopo aver subìto un aborto terapeutico ha scoperto che il feto era stato inumato al cimitero Flaminio senza alcun consenso. Non solo, era stato sepolto con una croce, ma sulla croce era stato scritto il nome della donna, a violazione delle più elementari norme sulla privacy. I cimiteri di feti sono presenti in moltissime città, come d’altronde appare normale, visto che la legge nazionale prevede che i feti possano essere seppelliti sino alla ventesima settimana di età intrauterina su richiesta dei genitori, e dopo obbligatoriamente se non vi provvedono i genitori. Quello che non è normale è che questi cimiteri abbiano nomi quali “Giardino degli angeli” e che se ne occupino associazioni di volontariato cattoliche come “Difendere la vita con Maria” e che le regole cambino da Regione a Regione o addirittura da Comune a Comune contravvenendo spesso alla legge nazionale e senza che i genitori ne vengano informati. Tutto sembra andare in un’unica direzione: colpevolizzare le donne che scelgono di interrompere la gravidanza.
Di questi giorni è anche la notizia che è stato nuovamente ricalendarizzato il Ddl Pillon in commissione Giustizia al Senato, dopo le numerose e forti proteste di un anno fa del movimento delle donne e di molta parte della società civile contro questa riforma ideologica, iniqua e pericolosa.
Le donne restano esposte al femminicidio, alla violenza maschile, alla vittimizzazione secondaria, spesso vengono private dei loro figli in base alla negazione della violenza subita e alla falsa e inesistente teoria dell’alienazione parentale. Incontrano limiti all’autodeterminazione delle scelte riproduttive, restano in larga parte espulse dal mercato del lavoro e vivono diverse condizioni di sfruttamento del loro tempo e della loro vita.
E non va certo meglio sul fronte internazionale dove stiamo assistendo a una deriva culturale ultraconservatrice tesa a demolire i diritti e le libertà delle donne: la Polonia dopo aver fallito il tentativo di cancellare la già restrittiva legge sull’aborto con l’iniziativa “Stop aborcji” a tutela della vita dal concepimento alla morte naturale, ha deciso di intraprendere il percorso per recedere dalla Convenzione di Istanbul, sulla prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne. E già altri Paesi si stanno organizzando per seguirla: Slovacchia, Turchia, Ungheria (che non l’ha mai ratificata)
Per non parlare degli Stati Uniti dove Donald Trump ha nominato Amy Coney Barrett a nuova Consigliera della Corte Suprema in seguito alla scomparsa della mitica Ruth Bader Ginsburg; Barrett, antiabortista convinta, ha paragonato il diritto conquistato dalle donne americane nel 1973 alla pena di morte. Chiaro segnale sulle politiche che l’amministrazione americana, se sarà guidata ancora da Trump, vorrà intraprendere sui diritti sessuali e riproduttivi.
Tutti questi segnali ci sgomentano ma non ci sorprendono : è una politica ben riassunta dal documento portato alla luce, nel 2017 dall’EPF – European Parliametary Forum “Ristabilire l’Ordine naturale. Un’agenda per l’Europa” .
Gli estremisti che fanno capo a questo movimento si sarebbero dati una ventina d’anni per frenare quella che per loro è “una ideologia perversa”. I loro obiettivi sono vietare la contraccezione, l’aborto, l’omosessualità e la procreazione assistita. L’ispirazione del movimento è data dalla citazione ripresa dal Manifesto del progetto: «C’è una legge naturale, che la ragione umana può discernere e comprendere, ma che volontà umana non può alterare» e, ancora, «il compito e lo scopo di tutta la legislazione positiva è di recepire e applicare la Legge Naturale».
A Verona, al Congresso delle Famiglie nel marzo del 2019, il movimento è venuto allo scoperto e ha definito la strategia da attuare nei diversi Paesi per limitare la libertà delle donne nell’ambito della riproduzione, della sessualità e della vita in generale e per sostenere forti antagonismi nei confronti delle persone LgbtQ+.
Ora stiamo constatando quanto fosse fondata la preoccupazione diffusa da quella pubblicazione e quale rischio reale sta correndo L’Europa: arretrare rispetto ai diritti umani fondamentali legati alla sessualità e alla riproduzione e far emergere il vero obiettivo. Quello di mantenere il controllo sulle donne e sulla loro autodeterminazione. In questo momento di grande preoccupazione il movimento delle donne, anche a livello internazionale, deve dare prova di grande responsabilità e consapevolezza e unirsi, superando le divisioni, le barriere identitarie di ciascun gruppo. La forza dell’unità può essere determinante in questa battaglia: è quello che sta cercando di fare, in Italia, il movimento femminista Dalla stessa parte o la Casa internazionale delle Donne con l’Assemblea della Magnolia il 10 e 11 ottobre. Uniamoci, riallacciamo i rapporti con le donne nel mondo usando tutti i canali a nostra disposizione, lanciamo una nuova Conferenza delle donne come fu quella di Pechino nel 1995, una Internazionale femminista perché come dice Joni Seager nell’introduzione all’Atlante delle donne: «L’ importanza di queste conquiste (quelle degli ultimi decenni n.d.r.) non deve essere sottovalutata, anche se la lista di “storie di successo” è breve in modo scoraggiante. Le persone lontane dal femminismo credono che le femministe siano arrabbiate e a loro rispondo: “Sì ogni tanto lo siamo!”, anche se, in verità, c’è molto per cui essere arrabbiate».
Ecco incanaliamo la nostra rabbia per quello che ancora ci deve essere riconosciuto e per quello che ci stanno togliendo ogni giorno. Facciamolo tutte insieme, tutte dalla stessa parte.
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