Il nostro libro sta prendendo il volo: raccogliamo i commenti che arrivano in redazione (Tazza, Friggeri, Cornero, De Micheli, Mascia, Dati, Pascale, Cervoni)
LOREDANA CORNERO. Sono di pochi giorni fa i risultati della “Mappa delle parole” dell’Osservatorio Demos-Coop (Ass. Naz.le cooperative di consumatori). Alle persone intervistate sono state proposte una quarantina di parole, che evocavano diversi soggetti, eventi, valori. La mappa che ne nasce “proietta” le parole esaminate in base a due diversi “assi” di giudizio. Il gradimento espresso dagli italiani lungo l’ascissa, mentre dal basso verso l’alto sull’ordinata: le parole riflettono la tensione fra passato e futuro. Tre sono le aree che emergono: in basso a sinistra in marcia verso il passato troviamo quasi tutti i partiti politici - da M5S al PD, da FI alla Lega Nord – compresi i loro leader: Renzi, Salvini, Berlusconi, Grillo. Al centro - nel campo di battaglia che rappresenta il presente - l’euro, le proteste, gli immigrati, i social media, l’Unione europea, la televisione, i giornali, le unioni gay. Ma è nello spazio in alto a destra che si incentra l’interesse: il ponte verso il futuro condiviso. Ed in questo spazio che troviamo parole come Italia, popolo, democrazia, ripresa, volontariato, cuore, speranza, meritocrazia, radio. Ed è in questo quadrante di parole di speranza per il futuro condiviso, di ponte tra le diverse rive, di frontiere da superare e di confini che uniscono , di limes inteso non come "limite", muro, barriera, quanto piuttosto nel significato di strada, via di penetrazione all'interno di territori di recente conoscenza, che si inserisce il volumetto “A mano libera. Donne tra prigione e libertà” a cura di Tiziana Bartolini e Paola Ortensi, con la prefazione di Agnese Malatesta. Il carcere come confine, spazio chiuso, limite del corpo, distacco violento dal mondo senza possibilità di fuga. Ma al contempo spazio di libertà, determinazione di nuove opportunità, portatore di scoperte e di conoscenza. Un’esperienza che si può vivere dentro, ma anche fuori dal carcere, chiuse in prigioni che noi stesse ci costruiamo, da vincoli che ci condizionano la vita, da muri che innalza la nostra mente e dai quali è spesso difficile trovare vie di fuga. E le testimonianze in entrambi i sensi sono molte nelle pagine che scorrono: “Qui si rischia di morire giorno per giorno” dice Franca, ma “la vera me l’ho trovata in carcere – dice Lucia – Qui, contrariamente a quello che si possa immaginare, in questo luogo ho fatto esperienza di libertà” .
Le riflessioni sul tema della libertà e della prigione tra donne che vivono dentro e fuori il carcere, oltre ovviamente alla forza delle testimonianze che si alza oltre la semplicità faticosa del raccontarsi, è la grande novità rivoluzionaria del libro. E’ il confine dei cancelli che si aprono o si chiudono -indipendentemente da chi resta dentro o fuori - per portare ad un incontro di conoscenza, di scambio, di affetto, di curiosità, di empatia, di capacità di guardarsi dentro anche da fuori. Per rappresentare la realtà e anche per costruirla. Insieme. (luglio 2017)
HELA MASCIA. Tiziana Bartolini e Paola Ortensi con la loro ricerca “A mano libera “, effettuata nella Casa circondariale femminile di Rebibbia, sono entrate quasi come il cavallo di Troia fra le mura di un’istituzione chiusa in sé stessa. Hanno utilizzato un metodo conosciuto a noi donne, quello dell’autocoscienza, e la casistica “personalizzata” che il libro testimonia ci da un quadro della realtà completamente diverso: il carcere è vissuto come un luogo di riscatto e quasi di liberazione rispetto all’esistenze che le detenute vivevano fuori. La direttrice della Casa circondariale dott. Ida del Grosso ci spiega il perché del cambiamento: “tutte le attività trattamentali offerte non servono per passare il tempo, ma mirano a dare delle possibilità, ad aprire spazi mentali”. Le complesse problematiche delinquenziali stanno portando piano piano ad una “revisione della detenzione, intesa come riparazione del danno, verso un’ alternativa al carcere per reintegrare le donne nella società ……e sostenere i loro figli con l’ulteriore effetto di ridurre la possibilità che questi diventino a loro volta delinquenti” (Ufficio Studi Ministero della Giustizia 2015). Dalle testimonianze emerge un incredibile rapporto tra la motivazione individuale della detenuta con le persone che si occupano della sua formazione. La costruzione della nuova personalità richiede la conoscenza di informazioni di altri soggetti e diventa necessariamente un’ identità relazionale. Paradossalmente, in tal modo, la detenzione può essere un luogo di liberazione in cui matura la consapevolezza del sé. Virginia Woolf, un secolo fa, scriveva in “Una stanza tutta per sé” che se le donne fossero state libere dal peso del lavoro domestico e dalla mancanza di uno spazio tutto proprio – una stanza tutta per sé appunto – la storia dell’umanità sarebbe stata diversa e se riusciremo ad ottenere quello spazio il mondo cambierà. Per quanto riguarda lo spazio carcerario, occorre porsi un problema di coerenza e di affidabilità, se si vuole che il cittadino/a abbia fiducia nella Giustizia riparativa e non più punitiva. Quando i media ci sottopongono casi delittuosi, in genere la risposta che viene data dalle vittime dei reati, nel migliore dei casi, quando, cioè, rifiutano il principio dell’occhio per occhio, è che vogliono giustizia e non vendetta. Ma a quale concetto di giustizia esse fanno riferimento? la Giustizia di Atena raffigurata nell’immaginario collettivo come una giovane donna bendata, con la spada in una mano e la bilancia nell’altra o quella di Alessandro Magno che sbrigativamente voleva sciogliere con la spada il nodo Gordiano? Il discorso è molto complesso e ricerche come “A mano libera” servono a fare chiarezza sul concetto odierno di Giustizia che stiamo maturando. (luglio 2017)