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Woody Allen torna nelle sale per far ridere e sognare ancora

Woody Allen torna nelle sale per far ridere e sognare ancora

Omaggio al cinema europeo, Rifkin’s Festival è anche riflessione sull’impermanenza della vita, delle relazioni e dell’amore

Martedi, 11/05/2021 - Un bel regalo del mese di Maggio è stato quello di tornare al cinema e non solo per i cinefili ma per tutti i lavoratori del settore: sia pur con le dovute precauzioni che richiedono il distanziamento dei posti assegnati, il fascino del grande schermo torna a sedurci, soprattutto se uno dei primi film distribuiti nelle sale, da Vision Distribution e Wildside, è proprio l’ultima fatica scritta e diretta dell’immarcescibile Woody Allen - regista amatissimo dal pubblico italiano con un attivo di oltre 50 opere - un delizioso piccolo film dal titolo “Rifkin’s Festival”.

Girato a San Sebastian, e presentato proprio alla 68esima edizione della nota manifestazione cinematografica della bella cittadina spagnola, il ‘San Sebastian International Film Festival’2020, il film - che ha resistito alla tentazione delle piattaforme on line - racconta le vicende di una coppia americana proprio durante un’ipotetica edizione del Festival stesso: Mort Rifkin (Wallace Shawn, per l’occasione perfetto alter ego di Allen) è un ex professore di cinema e fanatico di pellicole che ne hanno fatto la storia, come quelle della Nouvelle Vague, ed è sposato con Sue (la procace Gina Gershon), addetta stampa di cinema e in particolare dell’ultimo film del suo cliente Philippe (Louis Garrel), regista di successo, benché secondo Rifkin i suoi prodotti e le sue interviste denotino presunzione mista ad uno scarso valore culturale. In una delle battute di apertura il protagonista (e Allen con lui) afferma infatti: “Amavo i festival ma quando il cinema era arte”.

Il viaggio della coppia al Festival di Cinema di San Sebastian è turbato dal sospetto che il rapporto di Sue con il giovane ed aitante regista, stia per oltrepassare la sfera professionale, o l’abbia già travalicata. Mentre passeggia per le strade della cittadina, sperando di superare il blocco che gli impedisce di scrivere il suo primo romanzo, opera cui Rifkin cerca di dedicarsi da quando è in pensione, in preda ad ansia ed ipocondria, Mort incontra una giovane e bella cardiologa spagnola, Rojas, (l’incantevole attrice Elena Anaya vista in ‘La pelle che abito’ di Almodovar) appassionata di cinema ed infelice come lui perché il marito artista la tradisce, e fra i due nasce una amicizia platonica, fatta di gite, risate ed evasioni dalla realtà.

Tante le citazioni al cinema europeo (da ‘Quarto potere’ di Orson Welles a ‘Jules e Jim’ di Truffaut, da ‘8 ½ di Fellini’ a ‘Fino all’ultimo respiro’ di Godard e a ‘Il settimo sigillo’ di Ingmar Bergman), rivisitate in chiave comico-grottesca attraverso i sogni in bianco e nero del protagonista che irrompono nella colorata realtà priva di senso – secondo le migliori tradizioni alleniane – che ci circonda. Allen racconta la parabola di un uomo di mezza età, il cui Festival della vita si sta evolvendo in maniera inaspettata, ed è occasione per l’ironico regista, per riflettere in maniera surreale e malinconica, sulle stagioni della vita e del cinema. Proprio osservando la propria esistenza attraverso il prisma dei grandi capolavori cinematografici a cui è legato, Mort scoprirà una rinnovata speranza per il futuro, nonostante tutto. Con il suo consueto amaro ‘sense of humour’, Woody Allen mescola situazioni esilaranti, al limite dell’assurdo, battute irresistibili e storie dall’intreccio vetero-romantico.

Il film non è uscito in USA poiché, già da tempo, il regista è sottoposto a boicottaggio per le note vicende legate alle presunte molestie alla figlia, di cui Woody Allen è stato accusato dalla ex-moglie, e non si sa se mai verrà distribuito.

Prodotto da The Mediapro Studio, Gravier Productions e Wildside, “Rifkin’s Festival” si avvale di un grande cast, dove ciascuno è veramente al proprio posto: Wallace Shawn, Gina Gershon, Louis Garrel, Elena Anaya, Sergi López e Christoph Waltz.
Il direttore della fotografia è, come di consueto, il nostro bravissimo Vittorio Storaro, la scenografia è di Alain Bainée, il montaggio di Alisa Lepselter, i costumi di Sonia Grande e le musiche di Stephane Wrembel.

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