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ZEN, autodeterminazione e antimafia sociale

ZEN, autodeterminazione e antimafia sociale

- A Palermo l’associazione Laboratorio Zen Insieme contribuisce a costruire comunità a partire dalle donne e dai bambini.

Mirella Mascellino Sabato, 28/02/2015 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Marzo 2015

Mariangela Di Gangi è una giovane donna di 29 anni e da circa tre anni è la presidente dell'associazione Laboratorio Zen Insieme, che opera nel quartiere omonimo e difficile di Palermo, coordina un team di educatori, attiva e segue progetti trovando fondi, facendo rete con altre associazioni del territorio che lavorano in quartieri difficili della città, scambiandosi e condividendo pratiche e know-how.



Come definiresti lo “Zen”?

Lo definirei certamente in modo diverso da come fa la maggioranza delle persone a cui rivolgeresti questa domanda e come io stessa lo avrei definito prima di trascorrervi il tempo che vi ho trascorso. Lo Zen è un quartiere ed una Comunità. È anche una periferia, particolarmente isolata e molto trascurata dalle istituzioni. Ma è, innanzitutto, una Comunità di persone. Donne e uomini che ogni giorno si scontrano con mille difficoltà, prima tra tutte, quella del pregiudizio. Io ho incontrato gente che ce la mette tutta per andare avanti, per migliorare lo stato delle cose, e che ha imparato a non aspettare che altri lo facciano per loro.



Che cos'è il Laboratorio Zen Insieme?

Laboratorio Zen Insieme è un'associazione di volontariato, la più antica tra quelle che si sono insediate nel quartiere. Nasce nel 1988 con l'intento di costruire percorsi innovativi nell'ambito del contrasto alla mentalità mafiosa. Negli anni, il modo di operare si è evoluto, ma la mission rimane la stessa di sempre, convinti come siamo che l'antimafia, chiamiamola antimafia sociale, oggi si faccia proprio intervenendo sulla povertà e sulla capacità di autodeterminazione delle persone.



Vi occupate di donne, bambini, ragazzi o di tutto?

Storicamente l’associazione ha rivolto le proprie attività principalmente ai bambini, agli adolescenti e alle donne, anche perché pensiamo che intervenire sulle madri sia utile a migliorare la condizione dei più piccoli. In questo momento, ad esempio, stiamo svolgendo un importante intervento contro l'abbandono scolastico degli adolescenti che, non ricadendo nell'obbligo scolastico, tendono a non comprendere il valore reale dell'istruzione, abbandonando gli studi. Noi, insieme ad altri soggetti del terzo settore attivi nel quartiere, proviamo a mettere insieme tutti gli ambiti che costituiscono la cosiddetta comunità educante, attivandoci affinché si faciliti la permanenza degli adolescenti nel circuito scolastico. Contemporaneamente ci occupiamo di avviare un percorso di formazione per giovani donne del quartiere, attraverso cui esse potranno garantire un servizio per l'infanzia nei locali della nostra associazione. Proviamo a non trascurare neanche l'aspetto della riqualificazione degli spazi del quartiere, grazie al ruolo attivo degli abitanti stessi.



#foto5dx# Come vivono le donne nel quartiere?

Come sempre, quando un luogo è carente di servizi e di opportunità, a farne le spese sono principalmente le donne, alle quali viene sottratta l'opportunità di pensarsi diversamente dal ruolo che il contesto ha immaginato per loro. Se l'occupazione è un problema generale, è certamente più difficile l'accesso delle donne al mercato del lavoro, soprattutto in un quartiere in cui è più semplice pensarsi come mogli e madri, soprattutto se servizi come gli asili sono solo miraggi.



Quali sono le attività e i progetti che seguite?

Attualmente siamo più impegnati nel ripristino della piccola produzione artigianale di borse, già realizzata in passato, coinvolgendo le donne del quartiere. Stiamo investendo molto su questo percorso, fondamentale per dare opportunità reali di emancipazione alle donne. Il nostro prodotto, oltre ad essere il risultato di un progetto "sociale", deve essere innovativo, di qualità e “alla moda”.







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