Ha abbattuto stereotipi e pregiudizi in tutta la sua carriera, diventando l’architetta dello genio e della sregolatezza. Noi Donne la vuole ricordare così, a pochi giorni dall’improvvisa scomparsa.
Come il decostruttivismo in architettura ha cercato di ridefinire gli spazi, lasciando carta bianca alla libertà della forma e della materia, invece di rispettare le regole canoniche della funzionalità di un edificio. Così è stata la vita di Zaha Hadid, pioniera di questa corrente.
Sempre interessata ad andare oltre le convenzioni, tutta la sua storia lo dimostra.
Zaha nasce a Baghdad sessantacinque anni fa in una famiglia dell’alta borghesia. Suo padre oltre ad essere un industriale, è anche fondatore del Partito Nazionale Democratico iracheno.
Gli anni in cui Zaha è una bambina sono anche gli anni nei quali l’Iraq è aperto all’Occidente. Lo stile di vita degli iracheni, i palazzi e le strade lo rivelano chiaramente, come lei stessa ricordava.
“Quando ero piccola, c’erano molti edifici moderni a Baghdad. E tutto questo mi affascinava. Abitavamo in una delle prime case di ispirazione Bahaus. Mio padre poi amava l’arte e l’architettura”.
Dopo una laurea in matematica conseguita all’università di Beirut nel 1971, Zaha decide però di realizzare il suo più grande sogno, quello di diventare un’architetta. Si trasferisce definitivamente a Londra. E tra 1972 al 1977 frequenta una delle scuole più prestigiose di architettura, l’ Architectural Association School, della quale in seguito diventerà anche direttrice.
Passano sei anni e nel 1983 il suo nome inizia a diffondersi grazie alla pubblicazione nella stampa di settore del progetto da lei messo su carta di un club da realizzare sulle colline di Hong Kong, dal nome the Peak. In questo modo la giovane Zaha irrompe nel mondo dell’architettura senza mai arrestare la sua crescita professionale.
Una mente geniale quella di Zaha che negli anni conquista di diritto un posto accanto ai grandi architetti contemporanei, tutti uomini. Vicino a Norman Foster e Frank Gehry, Renzo Piano e Massimiliano Fuksas, Jacques Herzog e Pierre de Meuron, appare anche il nome il suo nome. Ma per arrivare fino a lì, nulla è stato semplice e Zaha lo ricordava sempre.
“Le più grandi difficoltà che ho affrontato nella vita professionale dipendono prima di tutto da due fattori. Il primo è che sono una donna. Il secondo che sono di origine araba”, due elementi che non si escludono a vicenda, ma che hanno avuto un peso nella sue scelte.
Architetta affermata e pluripremiata, Zaha non si è mai sposata.
Immersa totalmente nel lavoro di progettazione e creazione, Zaha però non ha mai fatto mistero della difficoltà per una donna di mettere su famiglia. “Questo è un lavoro che ti impegna al 100%. Non si ha un minuto per respirare. E quando si decide di avere dei figli, si è consce del fatto che si può dare una battuta di arresto alla propria carriera” diceva.
Zaha ricordava come le donne dovevano dimostrare il doppio degli uomini. E anche quando ci riuscivano, la strada risultava essere in salita per diverse ragioni.
“La maggior parte delle architette sono assistenti, o sono ricordata all’ombra dei mariti architetti. Quando invece noi donne riusciamo ad imporci con progetti di importanza rilevante, ci sono i colleghi e c’è la stampa a dare poca importanza a quello che creiamo ed immaginiamo di realizzare, spendendo tempo a parlare di come ci vestiamo, delle scarpe che indossiamo invece di parlare del nostro lavoro” confidava.
Quello che è certo è che Zaha Hadid ha abbattuto tabù che vedeva l’architettura un settore riservato solo agli uomini con una carriera folgorante. Anticonformista per eccellenza tanto da conquistarsi l’appellativo di archistar, lei è stata anche la prima donna a vincere nel 2004 il Pritzker Prize, considerato il premio Nobel del settore.
Visionaria in tutto quello che realizzava insieme ai suoi collaboratori e collaboratrici dello studio che dirigeva e che oggi conta più di duecento persone, quello che rimane delle opere di Zaha sono il suo personale modo di plasmare ed interpretare il concetto di tradizione.
Per lei la forma e la funzione di un edificio non dovevano essere messi in relazione per forza. La fluidità ed il dinamismo si intersecavano in un tutt’uno, senza alcuna sbavatura nella costruzione.
Nelle sue opere è la stessa complessità della società contemporanea a prendere vita attraverso blocchi e materiali come il cemento, l’acciaio ed il vetro in grado di riflettere la forza della luce e della vita. Quella stessa forza e determinazione che Zaha, scomparendo ha lasciato in eredità a tutte le architette che verranno dopo di lei.
Tra le opere più importanti di Zaha Hadad ricordiamo il Centro Acquatico delle Olimpiadi e Paraolimpiadi di Londra del 2012, la Libreria dell’Università di Siviglia, il Centro Culturale Heydar Aliyev a Baku in Azerbaigian, il MAXXI di Roma, il Museo della Scienza Phaeno, a Wolfsburg in Germania, la Stazione della funicolare di Innsbruck in Austria, la Stazione marittima di Salerno e quella di Napoli, il ponte Sheikh Zayed di Abu Dhabi, la Torre di Pietra a Il Cairo, la Torre della compagnia marittima francese CMA a Marsiglia ed il Teatro dell'Opera di Dubai e quello di Guangzhou, in Cina.
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