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Well_B_Lab* - Pari Opportunità: in attesa di un piano nazionale ci pensa l’UE

Well_B_Lab* - Pari Opportunità: in attesa di un piano nazionale ci pensa l’UE

EUROPEE, COME E PERCHÈ /1 - Le italiane hanno buoni motivi per voler bene all’Europa e per desiderare che il suo peso politico sia sempre più forte

Badalassi Giovanna Lunedi, 05/05/2014 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Maggio 2014

Tra i vari argomenti di discussione in vista delle elezioni europee poco si parla di donne e di pari opportunità. Eppure si dovrebbe, perché le donne sono protagoniste a pieno titolo della vita economica e sociale del paese e perché anche da loro dipende la possibilità di tornare a crescere. Merita allora cercare di capire come e se le politiche comunitarie incidono sulla nostra vita. 
Dal punto di vista normativo l’Unione ha influenzato in modo consistente la nostra normativa nazionale, sia direttamente in termini di attuazione delle direttive comunitarie, sia indirettamente promuovendo attraverso la legislazione europea una maggiore sensibilità verso le tematiche di genere. Basti citare alcuni riferimenti: le pari opportunità tra donne e uomini sono un principio alla base dei valori sui quali si fonda la UE ; è presente sia nel Trattato (art. 2 e art. 3, par. 3), che nella Carta dei diritti fondamentali (2000, art. 21 e art. 23); la parità di retribuzione è entrata nella normativa comunitaria sin dal 1957 (Trattato di Roma), mentre il Trattato sul funzionamento della UE consente di operare per le pari opportunità nell’ambito delle politiche per il lavoro (art. 153), di agire con azioni di discriminazione positiva a favore delle donne (art. 157), di combattere contro la violenza sulle donne (art. 168). Diverse direttive, poi recepite a vario livello dai paesi della UE, hanno inoltre sancito il principio di parità tra donne e uomini ad esempio in materia di sicurezza sociale (direttiva 79/7/CEE del 19 dicembre 1978), di attività autonoma e di tutela della maternità (direttiva 86/613/CEE), di sicurezza e della salute sul lavoro delle lavoratrici gestanti, puerpere o in periodo di allattamento (direttiva92/85/CEE), di accesso al lavoro, alla formazione e alla promozione professionali e le condizioni di lavoro (direttiva 2002/73/CE).

Dal punto di vista delle iniziative politiche, le politiche comunitarie si possono leggere con differenti livelli di aspettative e giudicare in modo diverso. Di certo in questi ultimi anni se in Italia si è parlato, anche se non abbastanza, di pari opportunità, lo si deve in gran parte a iniziative finanziate dai progetti dell’Unione Europea. La maggior parte dei progetti provinciali e regionali in materia ad esempio di lavoro, di imprenditoria femminile e di contrasto alla violenza sulle donne sono stati infatti finanziati da fondi europei, sia diretti, cioè erogati direttamente dall’Unione per i vari programmi (Daphne, Progress, etc), che indiretti attraverso i POR (Piani Operativi Regionali) e la programmazione nazionale. Dal punto di vista finanziario nell’ambito del ciclo di programmazione appena concluso (2007-2014) merita ricordare il programma Progress, con un budget complessivo di 658 milioni di Euro per tutta l’Europa, che prevedeva la parità di genere tra le 5 priorità; nonché il programma Daphne contro la violenza sulle donne, 116,85 milioni di Euro, che ha finanziato anche una parte importante delle attività dei Centri antiviolenza in Italia. Sono certamente importi insufficienti in una dimensione continentale, ma che rappresentano un impegno nella parità di genere di certo proporzionalmente superiore a quello dimostrato dall’Italia a livello nazionale.

Un altro merito dell’Unione Europea è quello di fungere da stimolo continuo verso gli Stati membri, mettendoli di fronte alle proprie inadempienze in modo spesso impietoso, soprattutto per l’Italia. I numerosi report statistici della UE che vengono prodotti in tema di pari opportunità sui più disparati argomenti collocano infatti sistematicamente l’Italia in fondo a quasi tutte le graduatorie dei paesi europei. Questo specchio è di fondamentale importante per rendere più consapevole l’opinione pubblica italiana del bisogno di fare un salto di modernità su questo tema. La funzione di richiamo e di monito agisce anche nell’ambito dell’affermazione e tutela dei diritti. Basti pensare all’ultimo rapporto europeo sulla legislazione italiana in materia di parità di genere, dove l’Italia subisce un giudizio severo, che riconosce una dotazione normativa adeguata ma sostanzialmente disattesa . Il nostro paese è stato infatti richiamato ad esempio per l’impossibilità oggettiva di attuare il diritto all’aborto a causa dell’obiezione di coscienza, per la complessità delle procedure di divorzio, per lo scarso numero di donne in politica, per l’impossibilità di dare il cognome delle madri ai bambini (unico paese in Europa).

Un altro aspetto importante riguarda l’approccio di medio-lungo termine delle politiche di genere comunitarie. L’Unione infatti adotta sempre uno documento strategico di pianificazione e di programmazione per le pari opportunità che agisce in parallelo sia ai cicli sessennali di programmazione dei Fondi Comunitari che, in una visione più ampia, alla grande strategia “Europe 2020”. L’ultima strategia comunitaria per la parità tra donne e uomini, valida per il periodo 2010-2015, ha ad esempio fissato quali obiettivi da perseguire :

1. la pari indipendenza economica per le donne e gli uomini ;

2. la parità delle retribuzioni per un lavoro di uguale valore ;

3. la parità nel processo decisionale;

4. la dignità, integrità e fine della violenza nei confronti delle donne ;

5. la promozione dell'uguaglianza di genere fuori dai confini dell'UE ;

6. le questioni orizzontali (ruoli di genere, strumenti normativi e governativi).

Certo, si potrà opinare che si tratta di obiettivi irraggiungibili, ma rimane comunque importante avere una strategia pluriennale alla quale orientare tutte le decisioni quotidiane e di breve periodo. Il tema della parità di genere nasce infatti da una condizione secolare di discriminazione delle donne. Si possono quindi raggiungere risultati importanti solo se si adotta una visione più lunga, che indichi un obiettivo da raggiungere per tutta la collettività, con una tempistica ragionevole e fattibile. Ad oggi invece in Italia l’approccio prevalente è di tipo estemporaneo, che affida le politiche di genere ad una logica di urgenza, alle pur lodevoli iniziative di politiche/i illuminate/i, a campagne mediatiche spesso strumentalizzate. In questo senso l’Unione Europea dovrebbe essere per noi una fonte di ispirazione per predisporre un piano nazionale per le pari opportunità decennale, periodicamente aggiornato, condiviso da tutto l’arco istituzionale, perseguito con fondi strutturali e con investimenti pluriennali. Certo per arrivare a questo risultato ci vorrebbe che il tema della parità di genere assurgesse a priorità nazionale, che superasse la dimensione minoritaria e di nicchia nella quale si trova al momento. Ci vorrebbe che la parità di genere venisse considerata per quello che effettivamente è, un valore sociale primario, ma anche un formidabile potenziale di sviluppo economico e sociale per il nostro paese.

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